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Die Toteninsel (L’isola dei morti)

Die Toteninsel (L’isola dei morti)

Die Toteninsel (L’isola dei morti)

Una famosa foto scattata il 12 novembre 1940 nella Cancelleria del Reich a Berlino, ritrae Adolf Hitler mentre insieme a Joachim Von Ribbentrop (ripreso di spalle) incontra il Ministro degli esteri sovietico Vjaceslav Molotov per la stesura definitiva di quell’accordo di non belligeranza tra Germania nazista e Unione Sovietica comunista che darà il via alla Seconda Guerra Mondiale e che sarà sciolto il 22 giugno del 1941 quando Hitler tenterà di invadere l’Unione Sovietica andando incontro alla prima, forse decisiva sconfitta che segnerà l’inizio di una lunga agonia europea culminata con la morte dello stesso Hitler e l’ingresso delle truppe sovietiche a Berlino, il 30 aprile 1945.

In quella foto di pessima qualità si intuisce sullo sfondo la sagoma di un quadro la cui storia mi ha affascinato; venne dipinto dal pittore svizzero Arnold Böcklin nel 1883 ed è la terza versione pervenuta a noi in 4 interpretazioni diverse, delle 5 dipinte dall’artista tra il maggio del 1880 e la fine del 1886. Dopo la caduta di Berlino il quadro venne trafugato dai russi, portato a Mosca e non se ne seppe più niente sino al 1980 quando l’Unione Sovietica l’offrì alla Nationalgalerie di Berlino, ove adesso si trova; delle altre versioni, la prima è a Basilea, la seconda a New York e la quinta a Lipsia, mentre la quarta, dipinta su di una lastra di zinco, si ipotizza sia andata distrutta durante un bombardamento a Rotterdam quando venne colpita la casa del proprietario, il barone Heinrich Thyssen-Bornemisza.     Die Toteninsel (L’isola dei morti)

 

 

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Prima versione,1880 - Basilea, Kunstmuseum
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 Seconda versione,1880 - New York, Metropolitan Museum of Art
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BLG 060117-00-662 Alte Nationalgalerie

    Terza versione,1883 - Berlino, Alte Nationalgalerie
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Quarta versione, 1884 - Foto, quadro distrutto durante bombardamento su Rotterdam
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Quinta versione,1886 - Lipsia, Museum der bildenden Künste
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Il quadro appena intuibile nella scura foto in bianco e nero rappresenta una piccola barca sulla quale si trovano due soggetti: un barcaiolo ed una figura in piedi completamente avvolta in una sorta di lenzuolo bianco con a prua una cassa che altro non può essere se non una bara, visto che la barca si appresta ad approdare su di una piccola isola rocciosa in cui gli scogli fanno da cornice ad un luogo di sepoltura immerso in una piccola selva di cipressi. La scena, evocativa di molte suggestioni (Caronte che traghetta verso l’Ade, l’ultimo saluto ad una persona cara, il distacco dalla vita terrena), è intrisa di profonda tristezza, ma anche di grande serenità; essa ha subito numerose modifiche da parte dell’autore, sia per correggere evidenti errori (come il barcaiolo che nella prima versione è seduto – cosa che renderebbe più facile l’allontanamento dall’isola che non l’approdo su di essa – per poi venire dipinto in piedi), sia per completarla con la bara e la figura avvolta in un telo bianco, aggiunte in seguito anche alla prima versione ove originariamente non c’erano.                                Die Toteninsel (L’isola dei morti)

 

 

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     La passeggiata, il tempio di Apollo - Giorgio De Chirico, a sinistra
La vera immagine dell'Isola dei Morti di Arnold Böcklin all'ora dell'angelus -
      Salvador Dalì a destra (cliccare immagini per miglior risoluzione)

 

L’opera suscitò allora ed ha continuato a suscitare anche nei decenni successivi curiosità ed emozioni; “Potrete immergervi nell’oscuro mondo delle ombre, al punto da avere la sensazione di avvertire il leggero, tiepido alito di vento che increspa il mare, e al punto che, pronunciando una parola a voce alta, avrete il timore di disturbare quella quiete solenne (1)”, scrisse Böcklin al suo committente. Queste sensazioni ed altre ancora devono aver provato Lenin, Freud (2) e D’Annunzio cosi’ da voler avere almeno una copia del quadro nelle loro dimore (D’Annunzio l’appese addirittura sopra il letto nella sua camera al Vittoriale), oppure Salvator Dalì, ed il primo De Chirico, nell’aver cercato spunto da quell’unica opera (tra molte altre di non pari valore e notorietà del pittore svizzero); per non dire di Sergej Rachmaninov il quale nel 1909 compose l’opera sinfonica “l’Isola dei morti”, e della scenografia allestita al Festival di Bayreuth dal 1976 al 1980 per tutte le numerose repliche de “L’Anello del Nibelungo” durante le celebrazioni wagneriane, sicuramente ispirata al quadro di Böcklin.              Die Toteninsel (L’isola dei morti)

 

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                     Molotov, Ribbentrop e Hitler a Berlino

 

 

Ma ciò che ha affascinato ancora di più gli storici dell’arte è la ricerca dei luoghi e degli eventi che hanno dato lo spunto all’autore nel dipingere un soggetto così inconsueto ed inquietante; e l’indagine non deve essere stata facile perché le conclusioni si prestano a dubbi ed interpretazioni e la parola fine a questa vicenda è stata scritta in tempi relativamente recenti.                   Die Toteninsel (L’isola dei morti)

A complicare notevolmente le cose, la vita errabonda di Böcklin il quale appena diciottenne lasciò la natia Basilea per viaggiare in molti paesi d’Europa tra i quali l’Italia, con un lungo soggiorno a Roma ove sposò la giovane Angelica Pascucci ed a Firenze; ulteriore difficoltà si sono trovate a causa della travagliata vita familiare ricca di gioie, ma anche di laceranti dolori.                                             Die Toteninsel (L’isola dei morti)

 

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 Le cinque versioni allineate da sinistra a destra
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Alla ricerca del possibile luogo di ispirazione, sono state identificate alcune isole lungo le coste del Mediterraneo, tra le quali una delle più accreditate risultava essere l’isolotto di Pontikonisi, vicino a Corfù e altri simili per conformazione, situati in prossimita’ della costa dalmata; non sembrerebbe però che questo sia verosimile in quanto in tutti quei luoghi, Böcklin non si recò mai mentre è documentato il fatto che raggiunse, durante uno dei suoi lunghi soggiorni in Italia, l’Isola d’Ischia ove si trova il promontorio con il castello di Federico di Aragona che, pare Böcklin avesse dichiarato al suo allievo Friedrich Schmidt, essere stato il vero luogo ispiratore.

 

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         Castello aragonese ad Ischia
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Di fronte al castello aragonese si trova un approdo che porta al vecchio cimitero abbandonato dell’isola d’Ischia, oggi difficilmente raggiungibile via terra, e questo sembrerebbe assomigliare molto all’approdo immaginato da Böcklin sulla sua misteriosa isola. Questi indizi hanno fatto propendere i ricercatori a stabilire che l’idea del quadro sia venuta a Böcklin ricordando il suo viaggio nel sud Italia ed in particolare a Napoli e Ischia, durante il 1862, 18 anni antecedenti la stesura della prima versione.
           Die TotenislelToteninsel

 

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  Approdo che porta al vecchio cimitero abbandonato dell’isola d’Ischia

 

Altra questione importante è l’evento scatenante, il motivo per cui ha dipinto quel quadro. Nell’aprile 1880 Böcklin non attraversava un periodo economicamente florido; fu allora che ricevette nel suo studio Marie Berna-Christ, vedova facoltosa del dott. Georg Berna, in procinto di sposarsi per la seconda volta, la quale commissionò a Böcklin “un quadro da sognare” (queste sono le parole riportate da Hans Holenweg, il più famoso biografo del pittore), per celebrare l’evento imminente. In quel periodo Böcklin stava già affrontando la prima stesura dell’opera per conto del suo mecenate, Alexander Günther. Con il primo quadro già quasi pronto, Böcklin pensò immediatamente di farne una seconda versione completandolo con la figura avvolta nel telo bianco e la bara, a voler significare il distacco definitivo di Marie dal suo primo marito defunto, mentre si accingeva ad andare nuovamente all’altare. Il risultato lo colpì e lo indusse a correggere, come detto, anche il primo quadro, il quale si trovava ancora sul cavalletto, in quella che sarà la versione definitiva di un’opera non esattamente allegra, perfettamente coerente con lo spirito ottocentesco incarnato dal Simbolismo tedesco di cui Böcklin ha fatto parte, ma che ebbe grande successo, al punto da compensare abbondantemente l’impegno dell’artista e rimpinguarne le casse perennemente vuote.               Die Toteninsel

 

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    Autoritratto con la Morte che suona il violino - Arnold Böcklin  (1872)
   Berlino, Alte Nationalgalerie (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

Questo è tutto quanto, in riassunto c’è da sapere sull’opera; almeno è ciò che la storiografia ufficiale ci ha raccontato. Esiste però anche un’altra interpretazione che si intreccia con la prima e che ci rende la figura di Böcklin in tutta la sua umanità; egli infatti fu padre, secondo la critica d’Arte Marisa Volpi, di 12 figli, 6 dei quali morirono in giovane, talvolta giovanissima età (3). Seguendo la cronologia dei fatti che hanno caratterizzato la sua vita, si vede che tutti i figli erano già nati prima che Böcklin dipingesse la prima versione del suo quadro più famoso. In particolare accadde che durante uno dei suoi lunghi e ripetuti soggiorni a Firenze, Böcklin perse la figlia Maria morta ad appena 7 mesi di età, l’ultima dei 6 prematuramente scomparsi ; il pittore volle venisse tumulata in un piccolo cimitero ad appena poco più di un chilometro dal suo studio: si trattava di un’area che era stata acquistata dalla comunità protestante agli inizi del 1800, originariamente adiacente all’esterno delle mura cittadine, ma che improvvisamente, con i lavori di preparazione al trasferimento della Capitale da Torino, e l’abbattimento della cinta muraria medievale, venne a trovarsi nel mezzo ai viali di circonvallazione, all’interno della città, cosicché appena pochi mesi dopo che Maria vi era stata tumulata, il cimitero venne reso inagibile.           Die Toteninsel (L’isola dei morti)

 

 

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Da allora la piccola isola immersa nella città è un monumento come tanti altri e la capacità per il turista di intuire la similitudine tra il soggetto del quadro del pittore svizzero e la sagoma del Cimitero degli Inglesi (così è comunemente chiamato) dipende molto dalla direttrice di accesso dello stesso alla piazza; altrettanto difficile paragonare le calme acque sulle quali la barca lentamente si avvicina all’approdo nel quadro, con il traffico caotico che, specialmente nelle ore di punta, avvolge il piccolo lembo di terra; non altrettanto difficile immaginare che il padre, appena tre anni dopo la scomparsa della figlia Maria, nel suo studio vicino al luogo dove il piccolo corpo giaceva e nel momento in cui si è trovato a dover trasporre su tela un soggetto così profondamente triste, abbia pensato di accostare quel luogo, oggi meta di un turismo distratto, al tragico evento che lo aveva da poco colpito, e si sia rammaricato di dover accettare che alla sua morte, avvenuta sempre a Firenze il 16 gennaio 1901, non avrebbe potuto riposarvi; immagino però che sarebbe stato consolatorio per lui sapere che la piccola Maria sarebbe stata in seguito traslata all’interno della tomba del padre, nel Cimitero Evangelico degli Allori.          Die Toteninsel (L’isola dei morti)

La critica attribuisce al bisogno di denaro la determinazione di Böcklin nel raffigurare più volte il quadro che lo ha reso, anche al tempo, famoso, ed il numero delle copie dipinte non corrisponde a quello dei figli che lo hanno abbandonato prematuramente. E’ facile intuire però come, in questa vicenda si intreccino in modo inestricabile suggestioni diverse e, probabilmente tutte hanno un loro fondamento di verità.                             Die Toteninsel (L’isola dei morti)

 

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    Il Cimitero degli Inglesi a Firenze
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Note:

1. Lettera pubblicata per la prima volta nel saggio di H.A. Schmid dal titolo “Die neuerworbenen Gemälde Arnold Böcklin” in Jahresbericht der Öffentlichen Kunstsammlung Basel, 1920, nuova serie XVII, p.28

2.Ne “L’interpretazione dei sogni“, al capitolo “Materiale recente ed indifferente nei sogni”.

3. Böcklin ebbe 12 figli che nacquero dal 1854 al 1877, dei quali 6 morirono nello stesso anno di nascita o l’anno successivo:

Federico (1854 – 1855) – Robert (1858 – 1858) – Ralph (1860 – 1860) – Maurizio (1865 – 1866) – Beatrice (1876 – 1877) – Maria ( 1877 – 1877).

Sopravvissero al pittore:

Chiara (1855 – 1928) – Arnold (1857 – 1932) – Hans ( 1863 – 1943) – Angela (1867 – 1906) – Carlo ( 1870 – 1934) – Felix ( 1872 – 1912).

Le notizie storiche sulle vicende familiari sono abbastanza controverse tant’è che vi sono fonti le quali riferiscono di 10 o addirittura 14 figli. Il numero di 12 sembra essere quello più accreditato; la ricostruzione dei dati sopra riportati è frutto dell’incrocio di più fonti.

Bibliografia:

Isole del pensiero (Giovanni Faccenda – ed. Electa 2011)

Böcklin (Marisa Volpi – Art Dossier n. 165 del 03/2001)

 

 

 

Die Toteninsel (L’isola dei morti)

 

 

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