Alla fine ha vinto Trump. L’evento inimmaginabile, e anche indicibile, la cui possibilità era smentita da tutti i sondaggi e da tutti gli analisti, si è verificato con numeri che lo fanno sembrare la cosa più ovvia e naturale del mondo; anche se il voto popolare appare sostanzialmente in pareggio, addirittura con Hillary avanti, il numero degli stati che sono finiti nel carniere del miliardario più screditato d’America non ammette repliche, e la carta degli States si è tinta quasi tutta di rosso.

Oggi è facile dire che Hillary non stava simpatica a nessuno, e che gli americani erano stanchi di politici di professione più o meno corrotti o corruttibili, asserviti a tutte le lobby del denaro e del potere: se tutto ciò fosse vero Obama, che è la quintessenza del politico in carriera, non avrebbe vinto due elezioni pur essendo nero, e Trump, che invece oggi ha vinto a braccia alzate, e anche contro pronostico, non avrebbe mai potuto ambire a tanto perchè sta probabilmente antipatico pure ai suoi figli.

E quindi? Per quale motivo un uomo che sulla carta si presenta come il peggiore dei presidenti possibili ha invece vinto in modo tanto chiaro e netto? Gli elettori sono impazziti? Sono forse degli stupidi?

In parte lo sono sempre, sia quando vincono George Bush o Donald Trump, sia quando vince Clinton, nel senso di William Jefferson, o Barack Obama; del resto se il corpo elettorale fosse veramente intelligente saprebbe sempre distinguere il meno peggio dal peggiore, e non voterebbe mai per imbecilli, canaglie o criminali, come tante volte capita.

Cosa è successo questa volta? Difficile e rischioso fare analisi in tempo reale, ma alcune di osservazioni credo si possano azzardare.

La prima, Hillary era il peggiore dei candidati possibili, persino contro Trump, non parla alla pancia di nessuno, e molto poco al cervello degli elettori democratici, salvo forse che alla sparuta minoranza che ha già avuto tutto dalla vita: i giovani sono scappati da lei perché la considerano una politicante opportunista, marchiata dal rapporto col mondo degli affari e della finanza; gli intellettuali, dai professori universitari alle star di Hollywood, non le perdonano l’appartenenza organica all’establishment e le scelte sbagliate in politica estera, dalla pessima figura in Libia al disastro siriano, senza dimenticare gli ambigui rapporti con i sauditi e le opache commistioni con Daesh; la classe media e la classe operaia, anche se in qualche modo tutelate nel mandato di Obama, non l’hanno ritenuta capace di fare quello che Trump, che comunque non teme sicuramente di mentire, ha dichiarato di voler fare, e cioè riaprire le fabbriche e assicurare il lavoro agli americani a scapito degli immigrati.

Alla fine ad Hillary è mancata quella fetta di voto di sinistra che Obama era riuscito a muovere e compattare, sia perché lei, figlia primogenita della terza via di Bill, di sinistra fino in fondo non lo è, e lo sembra persino meno di quanto in effetti non sia, sia perché non ha il carisma necessario per mobilitare le persone che scelgono con la pancia e non col cervello: facile dirlo col senno di poi, anche se qualcuno lo aveva detto anche prima, ma se si doveva perdere una elezione come questa contro Trump era meglio provare con Sanders, che il voto di sinistra lo avrebbe preso, e più di così a destra difficilmente ne avrebbe persi; non a caso i sondaggi, per quello che valgono, evidentemente molto poco, hanno sempre rilevato un vantaggio maggiore di Bernie rispetto ad Hillary, nei confronti di Trump.

Quello che l’elettorato di sinistra pensa di Hillary lo ha detto con chiarezza pochi giorni fa Slavoj Zizek (tradotto e pubblicato su Modus), immagino senza sapere di aver citato Montanelli, quando ha dichiarato che la candidata democratica è così impresentabile e pericolosa che bisogna augurarsi la vittoria di Trump: alla fine è successo.

Credo ci sia però una seconda sostanziale questione, che enuncio senza avere la pretesa di dimostrare: siamo ormai vicini al quarantesimo anno di liberismo sfrenato, che nel cuore della globalizzazione ha determinato una robusta redistribuzione dei redditi su scala planetaria, con pacchetti di punti di PIL che si spostano da un continente all’altro, normalmente a spese dei paesi ricchi dell’occidente.

Le grandi ricchezze accumulate in questi decenni hanno smesso di scendere anche verso il basso, alimentando il reddito e le aspettative della classe media; dal punto di vista dei grandi fondi di investimento la collocazione geografica del denaro e del lavoro può anche essere indifferente, ma dal punto di vista della working class che si impoverisce e perde fiducia nel futuro è all’opposto una questione di fondamentale importanza, e ovunque questo fenomeno si sia determinato si è scatenata l’onda lunga del populismo, alimentata da politici spregiudicati e dai nuovi poveri che non si sentono più tutelati dai loro governi.

Può anche essere che il liberismo stia mostrando la corda, che si stia in qualche modo consumando come si era consumato 40 anni fa il modello di welfare nato nel dopoguerra, e che il suo produrre diseguaglianze sempre più radicali passi il punto di non ritorno della tenuta del sistema, e già successo, ce lo racconta magnificamente Ben Fountain in un articolo pubblicato sulle nostre pagine, ma se anche fosse, di fronte a questa crisi si vedono le risposte della destra, dai muri al protezionismo, ma non si vedono quelle della sinistra, sia perché sono più complicate da elaborare e far comprendere, sia perché se anche esistono sono nella testa di qualche testa d’uovo, ma non in quella dei politici di prima fila, e non certamente in quella di Hillary.

In pochi mesi si sono riprodotti nel cuore dell’occidente anglosassone due risultati sorprendenti e politicamente scorretti, nei quali è stata scelta con chiarezza l’opzione sbagliata, e se ancora manca il terzo indizio per fare la prova, forse è giusto cominciare a farsi qualche domanda; nella Brexit e nell’elezione di Trump una fetta consistente dell’elettorato tradizionalmente di sinistra ha votato con la destra più reazionaria e forcaiola, e se in parte questi risultati possono essere ascritti per così dire alla poca saggezza del corpo elettorale, peraltro lo stesso che negli Stati Uniti aveva eletto per due volte Obama, dall’altro è anche vero che fra il politico cattivo, e quello cattivissimo, vince spesso il secondo, forse perchè l’originale è più convincente dell’imitazione.

 

Fuor di metafora, mi pare che funzioni sempre meno l’opzione che dovrebbe portare istintivamente alla scelta del male minore, non perché sia particolarmente difficile da identificare, ma perché, soprattutto nella grandi crisi di sistema i meccanismi identitari si allentano, e l’interesse immediato o il rancore diventano determinanti nel guidare le scelte; per prevalere servono coraggio e innovazione, progetti ed idee forti che scuotano le coscienze delle persone, autorevolezza e credibilità, senza le quali non si rinsaldano i legami spezzati.

Quella di Trump è un’idea forte, sbagliata ma forte, chiudiamo le frontiere e prendiamoci il lavoro, diamo un calcio a questo governo e a questa classe dirigente che ci ha impoverito, e non importa se lui personalmente ne ha impoveriti come pochi altri, di cittadini americani, i quali perdonano qualunque mascalzone o qualunque puttaniere quando è riuscito ad assicurare loro un decente benessere, o quando promette di farlo nel momento del gelo e dell’insicurezza.

Hillary al contrario di idee forti non ne aveva, ha giocato la carta di una competenza in molti casi discutibile e che non scalda il cuore di nessuno, ma soprattutto era un passo indietro rispetto a Barack Obama, che non a caso l’aveva battuta ed era andato oltre di lei e oltre i valori che rappresenta; magari non è così vero che Obama è un uomo compiutamente di sinistra, ma come tale è stato percepito, e non si è mai speso come uomo della terza via, ossia uno di quelli che gioca con sussiego nel campo dell’avversario, senza cercare di scardinarne le regole e di imporre le sue.

 

Nel momento in cui il modello liberista dominante mostra dei vistosi problemi di tenuta, accettarne le regole da sinistra e proporre semplici correttivi o il modello riformista dei piccoli passi mi appare una scelta politica perdente, perdente perché troppo conservatrice nella forma e sostanzialmente sbagliata nel merito, ma quando si sbagliano le scelte nei momenti di crisi succede che stravincono gli altri, anche questo è già successo, e spesso le avventure conseguenti sono state tragiche.

Forse è facile dirlo adesso, ma Hillary non aveva il carisma, non aveva la forza e non aveva le idee, anzi, è stata probabilmente considerata debole e conservatrice, capace di dare risposte solo a chi ne aveva già, e forse per questo è stata sonoramente battuta, dal peggiore dei populisti possibili.

 

Trump, Trump!

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