le muse

Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Frank Zappa sosteneva che due stecche ripetute sono l’inizio di un arrangiamento.
Un concetto estremo con cui voleva trasmettere la sua visione innovativa della musica che, secondo lui, poteva includere anche passaggi anomali.

La casualità di certi episodi in musica, per così dire difformi dalla perfezione interpretativa (più frequenti di quanto si creda), costituiscono un fenomeno su cui ci si potrebbe soffermare, soprattutto in relazione al suo aspetto emozionale. Concetto che si può estendere ad altri ambiti , di natura non solo artistica, in cui il coinvolgimento emotivo della proposta non sempre è in linea con la sua qualità formale.

Tralasciando il concetto di stecca in senso proprio – che riguarda un altro aspetto, deteriore, del tema –  tali difformità si presentano esclusivamente in occasione di una esibizione live. Perché nelle registrazioni in studio – a parte le possibilità di correzione pressoché infinite che la tecnologia oggi offre – si può sempre ricorrere ad un integrale (o parziale) rifacimento del pezzo non perfetto. Un po’ come avviene nei palcoscenici dei teatri rispetto al girato cinematografico.
Naturalmente si sta parlando di musicisti, di artisti, quelli che salgono sul palco esibendo le loro qualità speciali. Quelli che ci trasmettono profonde suggestioni, spesso uniche ed irripetibili.

La fruizione della musica dal vivo, in modo diretto, comporta da un lato ineguagliabile coinvolgimento – sia per gli spettatori/ascoltatori che per gli interpreti – in un flusso crescente e alternato di adesione; dall’altro espone il musicista, proprio  in virtù di questo stato di eccitazione conseguente alla partecipazione emozionale, al rischio del passaggio incerto.
Quante volte i cosiddetti critici, quelli che scrivono di musica, delle esecuzioni sulla scena (sempre degli altri, ovviamente, ad ognuno il proprio compito…) ci affliggono con analisi dettagliate, maniacali se pur inappuntabili, analisi spesso focalizzate proprio sul fraseggio imperfetto, sullo stacco ritardato/anticipato, sul (spesso unico) momento debole di una serata strepitosa, perdendo di vista, così, il turbamento ineguaglabile che il concerto ha saputo trasmettere?
Sono dell’idea che sia preferibile una esibizione anche con qualche (trascurabile…) imperfezione ma che ci emozioni e ci coinvolga, ad una esecuzione tecnicamente ineccepibile ma fredda e distaccata.

Ricordo uno spettacolo live, di molti anni fa, di colui che una autorevolissima rivista di settore definiva “il miglior chitarrista acustico italiano”. Locale affollato, molti fan e alcuni musicisti. Ogni pezzo scandito in maniera impeccabile, ma in una atmosfera distante ed algida. Durante una breve pausa il musicista disse: “..che atmosfera fredda, non mi state coinvolgendo, non sento partecipazione”. Brutta serata e non so di chi fosse la colpa…

Per non dire della complicità, visibilmente espressa, che i musicisti del gruppo sanno instaurare sulla scena, proprio in occasione di una svista di qualcuno. Volendo analizzare il dettaglio, l’effetto che ne scaturisce è quello di trasmettere l’effetto squadra: il sorriso con cui si perdona l’errore al compagno di avventura.

Per illustrare meglio quanto sia importante non fermarsi alla pecca, all’episodio imperfetto, ma, invece, il lasciarsi trasportare dall’onda emotiva che il concerto sa creare, ho trovato questi due esempi. Esempi che appartengono a due concerti tra i più belli (per qualità interpretativa e partecipazione del pubblico) che i due protagonisti abbiano mai fatto.

Li ho visti e sentiti in DVD, ma credo che tutti noi avremmo voluto essere lì, insieme alle centinaia di migliaia di spettatori. Eric Clapton, Londra, Hyde Park, 1996; Carlos Santana, Città del Messico, 1993.

Davanti a noi due “mostri sacri”.
Steve Gadd, il batterista preferito di Clapton, durante l’esecuzione di “I Shot The Sheriff” e Carlos Santana in “The Wings Of Grace”.

Guardate ed ascoltate attentamente.

 

 

 

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6 comments

  1. Blue 25 ottobre, 2015 at 19:14

    Carlos, stonando, stecco’, e Steve stacco’ staccando Eric sul tempo che di stucco resto’, stinchi cercando di Steve. Stanchi di stecche e stacchi, tutti stettero strani, storto l’umore.
    Solo sapienti sorrisi seppero spegnere subito sopiti sibili di serpi.
    Ah, la musica… 🙂

    • Tigra 25 ottobre, 2015 at 23:45

      Mi tocca di confessare che non avevo sentito per intero il pezzo di Santana, e non credevo che la stecca fosse sua.
      Certo che la tua è stata veramente una trappola perfida…, tanto più che lo avevi scritto in modo assolutamente onesto.

  2. Genesis 25 ottobre, 2015 at 17:25

    Ai saggi di fine anno (concerti veri e propri) i maestri ordinavano agli esecutori che nel caso si fosse sbagliato qualcosa, non ci si doveva fermare, ma nemmeno gesticolare con mani, piedi e capo. Chi riusciva, poteva allungare il pezzo che stava suonando con variazioni d’ogni genere…eravamo in due su tanti e, a volte, sbagliavamo forse apposta, giusto per creare dal nulla quel virtuosismo cui poi la platea avrebbe applaudito o fischiato.
    Fu così che ad un cenno concordato con il collega, mi misi di nascosto al piano verticale dietro le quinte, pronto a spingerlo di un paio di metri, giusto per farmi vedere da una parte degli spettatori. Durante un “pianissimo” di un concerto di Chopin pronto ad esplodere in un intercalare di velocissime note, si sentirono cigolare le dodici ruote in ottone del vecchio verticale. Cominciammo un doppio che durò diversi minuti (mandando in bestia i maestri, anche se erano ormai avvezzi alle nostre peripezie). Io con degli esercizi di Hanon in do maggiore, lui un Czerny di non ricordo quale tonalità. La dissonanza era così accentuata che la faccia di mio padre, seduto in platea, divenne così scura da farmi capire quanto fosse schifoso…cambiai da una scala discendente entrando in un velocissimo esercizio da far scricchiolare le nocche. Il sorriso del mio compare mi fece capire quanto fossimo arrivati al giusto peso, ma per qualche manciata di decine di secondi, fu una “stecca” stellare!
    Finimmo entrambi con un pezzo a quattro mani fatto con due pianoforti di circa due minuti. La tromba di uno della combriccola terminò il “pezzo” cominciato circa venti minuti prima dalle note di Chopin.
    Fu il mio ultimo anno…ma ricordo ancora quanto il pubblico, anche quello poco avvezzo all’ascolto di musica classica, uscendo dal teatro ci ringraziò, ancora con le mani fumanti dovuto ad un applauso durato circa un quarto d’ora….

    Esistono concerti dei più affermati compositori classici (tra cui Vivaldi) per strumenti scordati. Esiste la musica “contemporanea” che spesso ti fa incastrare le dita nella tastiera…la musica è musica…
    Mozart diceva che, se nel giusto contesto, anche una scoreggia è musica…dargli torto?

  3. Tigra 25 ottobre, 2015 at 14:35

    Franck Zappa aveva talenti così peculiari che lo rendevano capace di fare davvero quelle che ci dici avrebbe dichiarato sulle due stecche consecutive (naturalmente ti credo, solo che non lo sapevo), ma forse in un caso del genere Clapton avrebbe perso il suo aplomb molto english, e santana avrebbe fulminato con lo sguardo l’autore della stecca.
    Immagino che altri soggetti dotati di uguale talento ma minore signorilità, dei quali non faccio i nomi, avrebbero reagito in modo meno urbano all’errore del collaboratore, non parliamo poi di due.

  4. Kokab 24 ottobre, 2015 at 13:51

    l’imperfezione fa parte dell’arte, sopratutto di quella che si esegue dal vivo, dando luogo a spettacoli ogni volta irripetibili; la stecca del musicista, la battuta sbagliata o fuori tempo dell’attore, il passo falso della ballerina fanno parte delle regole del gioco, e possono determinare il fallimento dell’esibizione, o determinare l’occasione per una ulteriore prova di talento, grazie alla quale il rimedio dell’errore avviene con una imprevista prova di virtuosismo.
    nel caso di clapton e santana, che sono due animali da palcoscenico come pochi al mondo, l’errore viene assorbito facilmente e con un sorriso, e mi verrebbe da dire che ti piace vincere facile; ovviamente non è cosa che chiunque si possa permettere, e il fatto che l’imperfezione sia appena percettibile ci da la misura dei talenti di cui stiamo parlando.

  5. Luistella 23 ottobre, 2015 at 14:05

    Le chiamo, sì, emozioni! Ho colto nel primo brano (credo) il sorriso di Eric Clapton quando , il batterista ha fatto uno stacco non so se per iniziativa sua o per “errore”. Anticipandolo o no, non so. Nel secondo Santana , ha forse fatto una “stecca”, mi viene difficile chiamarla così, verso la fine del brano. Parlare di questi due artisti e delle loro esibizioni, è come vedere un’opera d’arte dal vivo e notare quella piccola imperfezione che rende il capolavoro ancor più bello e unico.
    Ciò che hai scritto, mi ha richiamato alla mente, la frase de “il piccolo Principe”: non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”.
    Grazie, Ric.

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