le storie

Tutte le strade portano a Dallas

 

Mentre J.F.Kennedy scendeva la scaletta dell’aereo che lo aveva portato a Dallas in quella tiepida mattina del 22 novembre 1963, sicuramente già sapeva che lo attendeva una giornata complicata in una città tra le più ostili ad un Democratico; figurarsi a lui che nei 3 anni di mandato si era fatto una quantità tale di nemici da renderlo, contemporaneamente, il più amato e forse il più odiato tra i Presidenti degli Stati Uniti d’America.
La facilità con la quale, poco più tardi, la Lincoln Continental decapottabile (oggi esposta al Museo Ford di Dearbon, nel Michigan) divenne bersaglio, probabilmente di più di un tiratore, confermò ben presto la tesi che in quel giorno, in quel luogo, si fossero dati appuntamento molti di coloro che, per un verso o per l’altro, quel Presidente lo volevano morto.

 

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  La Lincoln Continental del 1961 usata da Kennedy oggi al Museo Henry Ford

 

Il rapporto Warren, quello che chiuse le indagini ufficiali sul caso, decretò che ad uccidere il Presidente Kennedy fosse stato Lee Harvey Oswald il quale, appostato al sesto piano del deposito di libri ove lavorava e dal quale poteva essere completamente inquadrato il percorso che il corteo presidenziale affrontava a bassa velocità verso il centro della città, aveva atteso pazientemente il momento migliore per fare fuoco, e poi fuggire abbandonando il fucile in prossimità della finestra dalla quale aveva sparato.

 

          22 novembre 1963, ore 13.55, l'arresto di Lee Harvey Oswald

 

Le conclusioni della Commissione Warren non convincono nessuno in quanto in quella giornata troppe furono le coincidenze e gli eventi inspiegabili (e inspiegati) che fecero da contorno alla vicenda; molti esperti in seguito si sono impegnati ad analizzare i singoli fatti dimostrando l’incongruità degli stessi rispetto alla relazione ufficiale, a partire dall’assenza del tetto in plexiglass anti-proiettile normalmente installato sulla Lincoln, proprio durante la visita in uno degli Stati più ostili al Presidente, per finire alla famosa “pallottola magica” la quale seguendo un percorso fantasioso, sarebbe riuscita a ferire in sette differenti parti sia il corpo di Kennedy che quello del Governatore Connally, seduto davanti al Presidente.

 

 

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L'immagine in alto è il percorso che molti diranno rende impossibile l'idea di
un proiettile magico, (cliccare immagine per miglior risoluzione)ma il disegno
in basso è un composito che dimostra che potrebbe essere possibile sulla
base di altri video, oltre che al film di Zapruder girato quel giorno.

 

Ad aumentare i dubbi si aggiunsero il famoso filmato fatto da un passante (Jack Zapruder) che abbiamo visto e rivisto innumerevoli volte in Tv e dal quale più di un esperto ha concluso che quel giorno, in quel luogo, i tiratori dovevano essere stati almeno due; per non dire del fatto che il presunto assassino sia stato a sua volta ucciso con estrema facilità mentre dalla Centrale di Polizia di Dallas veniva portato nella prigione della Contea, e a tutti sembrò, e sembra ancora adesso, essere stato un buon modo per chiudere frettolosamente il caso.
Tutta la vicenda è stata più volte analizzata sia in ambito giornalistico che cinematografico, ma in essa raramente vengono menzionati dei fatti che sembrano, in qualche strano modo, legare quell’omicidio all’Italia.

 

 

  Rallentì del film di Zapruder

 

Il primo riguarda il fucile Mannlicher-Carcano-Parravicino, trovato in quella stanza al sesto piano della Texas School Book Depository che la commissione Warren ha decretato essere l’arma con la quale sono stati sparati i colpi che hanno ucciso J.F.Kennedy. Venne costruito in una fabbrica di Terni circa un ventennio prima dell’assassinio, e finì, per uno dei tanti canali nei quali si sviluppa tutt’oggi il traffico d’armi, in un negozio dal quale Oswald lo acquistò per corrispondenza, facendoselo spedire ad una casella postale intestata ad un nome fittizio.

 

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    Posizione del fucile al 6° piano del Texas School Book Depository.

 

Trascurando completamente il fatto curioso che egli abbia utilizzato così tante cautele per acquistare quell’arma, per poi lasciarla abbandonata con sopra le proprie impronte digitali nel luogo dove lavorava, la storia di quel tipo di fucile risulta essere una delle più importanti nella plurisecolare tradizione italiana nella produzione di armi. Quello di Oswald, infatti, non è altro che l’ennesima rivisitazione del famoso moschetto ’91, progettato verso la fine del 19° secolo e sopravvissuto alla seconda guerra mondiale per le sue peculiarità di leggerezza e precisione che rappresentarono, al tempo della sua prima costruzione, una sorta di rivoluzione, e che ne hanno poi determinato la longevità.

 

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  Lato destro e sinistro del Carcano di Oswald
   (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

Quell’arma è rimasta, pur dopo innumerevoli modifiche, in dotazione all’esercito italiano per decenni e, quindi dismesso verso la metà degli anni ‘50. I depositi di armi dell’esercito, all’inizio dei cd. “anni di piombo” erano talmente pieni di questi fucili da far temere tentativi di furto da parte dei gruppi armati che operavano in Italia in quel periodo; fu così che ne venne decretata la distruzione alla quale, nel frattempo, erano scampate alcune centinaia di esemplari venduti da un’armeria di Trento ad un venditore, Klein, che faceva pubblicità nella rivista American Rifleman, dal quale Oswald acquistò il suo.

 

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Pubblicità in una rivista (American Rifleman) attraverso la quale Oswald
acquistò il fucile (colonna sinistra, terza dall'alto). La foto nell'annuncio
mostra in realtà un Carcano TS telescopicamente modificato, ma Oswald
utilizzò l'annuncio per ordinare il "6.5 italiano Carbine", il venditore Klein
gli spedì il Carcano Modello 91/38. Così, Oswald ricevette il secondo
modello.                  (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

La seconda storia riguarda il caricatore vuoto trovato in prossimità del fucile, ed affonda le sue radici nel tempo passato; ci riporta infatti al 62 d.C in un’ampia vallata soleggiata all’interno dell’Appennino tosco-emiliano ove Lucio Sergio Catilina in fuga da Roma, venne raggiunto dalle truppe e trucidato in una località oggi chiamata Campo Tizzoro, insieme a gran parte dei suoi fedeli compagni d’avventura. Le cronache ci parlano di un massacro, al quale però molti seguaci del fuggiasco Catilina sopravvissero decidendo di stabilirsi sul luogo, visto che a Roma non tirava aria salubre per loro, e gettando le basi di una comunità che diventerà sempre più florida nei secoli per merito di una felice combinazione di fattori virtuosi: la crescente disponibilità di metalli ferrosi estratti dalle miniere dell’Isola d’Elba e la necessità corrispondente di avere legna ed acqua in abbondanza per procedere alla produzione di armi ed utensili.

 

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  Stabilimento della SMI a Campo Tizzoro

Fu così che in mezzo a quei boschi si sviluppò una comunità dedita alla lavorazione del ferro sino alla costruzione delle prime officine, per arrivare, poi, all’inizio del 20° secolo, alla fondazione della Società Metallurgica Italiana (SMI); chi si avventura su per la statale che attraversa gli appennini può avere una qualche difficoltà a comprendere oggi come sia stato possibile che non si fosse trovato luogo più adatto per concentrare così tanti capannoni dediti alla costruzione di armi e munizioni; sicuramente le tecnologie di una volta risentivano molto della necessità di avere larghe disponibilità in loco di legna da ardere per la fusione e acqua per alimentare i mantici e raffreddare i minerali lavorati, ma vi fu un ulteriore aspetto che venne sottolineato all’inizio della seconda guerra mondiale e cioè la difficoltà per l’aviazione di colpire quelle installazioni in mezzo alle montagne.

Ebbene quel caricatore in ottone risultò essere stato prodotto dalla SMI di Campo Tizzoro nel 1952 e all’origine doveva contenere 6 pallottole prodotte dalla stessa SMI, in quanto quel tipo di caricatore non può essere caricato a mano perché facilmente deformabile con la conseguenza di inceppare l’arma durante il tiro. Nessuno è riuscito a verificare come Oswald sia venuto in possesso di quel caricatore, ma la cosa più strana venne fuori dall’autopsia la quale rivelò frammenti di proiettile non prodotti dalla SMI, ma dall’americana Western Cartridge Corp. di East Alton, Illinois; e qui si apre la terza storia che ci riporta, in qualche modo, di là dall’Atlantico, in Italia. La WCC infatti aveva prodotto quei proiettili specificatamente su richiesta dell’esercito italiano in quanto quel calibro era utilizzato esclusivamente sugli M91 Carcano. La fornitura prevedeva 4mln. di pezzi, i quali però non vennero mai ritirati dal nostro esercito, se non in minima parte. Per questo la WCC li consegnò alla Marina degli Stati Uniti d’America perché li custodisse nei propri depositi per futuri improbabili utilizzi (visto che le forze armate americane non utilizzavano quel calibro); come siano potuti arrivare nelle mani di Lee Harvey Oswald in quella luminosa mattina di novembre non ci è dato sapere.

 

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Immagini dei rifugi antiaerei della SMI a Campo Tizzoro (PT), oggi un museo
         (cliccare entrambe le immagini per miglior risoluzione)

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L’ultima storia collegata a tutta la vicenda è forse la più inquietante; pare che a casa di Oswald siano stati trovati altri caricatori con pallottole prodotte dalla SMI ed è evidente che per poter uccidere il Presidente Kennedy con la precisione e nei tempi in cui questo pare essere avvenuto, egli debba averne utilizzati molti per allenarsi (oltre a tentare un altro omicidio – ma anche questa è un’altra storia), ed anche se dal suo curriculum relativo al servizio nell’esercito americano risultava essere stato un ottimo tiratore, nessuno mai è riuscito, nelle prove balistiche fatte in seguito all’omicidio, con la precisione di Oswald e nel breve tempo intercorso tra i colpi, a ripeterne le gesta.

 

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 Pallottola calibro 6,5

 

C’è poi l’aspetto legato a quei caricatori in ottone prodotti dalla SMI (tecnicamente lastrine); di quelli prodotti nel 1952, una partita risulta essere stata venduta alla WCC la quale poteva, come detto, utilizzarli esclusivamente per quel lotto di pallottole calibro 6,5 delle quali, anche questo detto, nessuno negli Stati Uniti sapeva che cosa farsene; chissà quante altre persone in giro per il mondo sono state uccise da pallottole WCC inserite in lastrine della SMI e sparate da fucili Carcano, ritenuti ottimi per l’utilizzo da parte di cecchini?

Alla fine di questa storia ben si comprende l’espressione affranta che Oliver Stone fa assumere a Kevin Kostner durante le riprese di uno dei tanti film che hanno riguardato la vicenda, “J.F.K. – Un caso ancora aperto”, nel quale sono ricordati gli inutili tentativi fatti dal Procuratore distrettuale Jim Garrison nel cercare di dare una spiegazione a fatti che restano, a tutt’oggi, del tutto non chiariti.

 

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Veduta panoramica di Elm Street.   (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

 

Ulteriori informazioni tecniche Lee Harvey Oswald’s Carcano Rifle

Tutte le strade portano a Dallas

 

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Damnatio memoriae
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