le storie

Ulisse: l’eroe che navigava nel Baltico

 

Riflessioni sulle scoperte di Felice Vinci

 

La prima volta che ho sentito parlare di lui (e purtroppo non è da molto) ho pensato: “Ma questo è MATTO”… “Ulisse che naviga nel Baltico… Omero un parente dei Vichinghi…”.
Sì, lo ammetto, ho proprio pensato che si trattasse di un MATTO: un mitomane alla ricerca dello scoop facile. D’altra parte è fin troppo facile inventare storie su Omero: non ne sappiamo nulla, non sappiamo se era uno, se era due, se erano tanti… Non sappiamo nemmeno se sia esistito… Forse era una donna… Forse un extraterrestre… Chi lo sa… Le hanno dette tutte…

Ma la mia amica Lenzi (latinista e grecista stimabile) era molto interessata alla cosa, e il suo amico (ora per fortuna anche “mio” amico) Achilli aveva organizzato per le nostre classi del liceo un incontro speciale alla biblioteca Classense.
Così, piena di dubbi (ma – devo ammetterlo – anche un po’ incuriosita), sono andata ad ascoltare la conferenza di Felice Vinci su OMERO NEL BALTICO.
Ne sono rimasta “STREGATA”. Persino don Furlan (il collega di religione – “mio” grande amico – che ci accompagnava con le classi) ne è rimasto “STREGATO”. E non è un fatto di poco conto questo, perché lui (che se ne intende di filosofia, teologia, genere umano e miracoli di tutti i tipi) mica si stupisce facilmente…

Eppure Felice Vinci ci ha convinti tutti: la Grecista, la Miscredente, il Teologo… e persino I RAGAZZI…
E non crediate che sia facile convincere I RAGAZZI. Soprattutto quelli abituati a pensare e a sentirsi liberi di esprimere quel che pensano… I più “svegli” e (intelligentemente) “polemici” erano entrati in sala ancora più prevenuti di me: Marco si era informato bene e aveva già pronte varie domande, mentre il suo amico Mattia (irriducibile “razionalista”) aveva proclamato seccamente: “Questo avrà un bel da fare per riuscire a convincere me”…
Alla fine della conferenza si sono fermati a parlare con Vinci e non riuscivamo più a portarli via…

Insomma, Felice Vinci ci ha convinti tutti. E non ci ha incantati con storielle vaghe e fumose: è rimasto con noi per oltre due ore, documentando puntualmente ogni sua parola alla luce dei testi omerici e delle testimonianze degli antichi storiografi. Il tutto corredato da molteplici dati, mappe geografiche, raffronti etimologici, immagini da lui stesso raccolte in oltre vent’anni di appassionate ricerche.
Una capacità di sintesi davvero straordinaria, perché in sole due ore è riuscito a comunicarci l’essenza di quanto esposto in un volume di 700 pagine (quinta edizione Palombi nel 2012): un’opera attualmente pubblicata in sette Paesi del mondo (oltre all’Italia: Russia, Estonia, Svezia, Danimarca, Germania e Stati Uniti), più un’edizione francese in corso di preparazione. Un’opera posta al centro di vari convegni internazionali, oggetto di prestigiose recensioni filologiche, già libro di testo (ovviamente nell’edizione americana) al Bard College dello stato di New York.

Felice Vinci (Roma, classe 1946) mastica bene il greco (ma non è un grecista): è un ingegnere nucleare (si è occupato, fra l’altro, dell’avviamento della centrale di Caorso) e un grande appassionato di letteratura antica, in particolare di Omero (che sente profondamente legato – come lui stesso tiene a precisare – ai suoi ricordi di infanzia).
Insomma, Felice Vinci non è quello che si dice un “addetto ai lavori”, eppure (e Kuhn direbbe “PROPRIO” per questo) ha realizzato una delle più importanti scoperte letterarie degli ultimi secoli: una scoperta destinata a cambiare per sempre non solo la nostra lettura dei testi omerici, ma persino la nostra stessa visione riguardo alle origini della storia europea.

La tesi (detta così in due parole) sembra “ROBA DA MATTI”: i viaggi di Ulisse (e la stessa guerra di Troia) si sarebbero svolti nel Baltico. Sì, proprio nel Baltico: Svezia, Norvegia, Finlandia…
Odisseo navigava lassù, nelle terre dei fiordi. E Achille combatteva proprio là, nelle pianure del “sole a mezzanotte”.
Sembra davvero “ROBA DA MATTI”… detta così…
Ma detta (o meglio, scritta e puntualmente dimostrata) da Vinci è tutta un’altra cosa.

Quindi il Mediterraneo non c’entra? Quindi Odisseo non navigava tra la Grecia, l’Italia, le coste della Spagna e dell’Africa del nord?
La risposta di Vinci è chiara: dal punto di vista geografico il Mediterraneo non ha nulla a che fare con i poemi omerici. Odisseo non navigava (ripeto, non in senso “strettamente geografico”) sotto il caldo sole del Mediterraneo, ma nei mari freddi del Baltico, e tutte le indicazioni presenti nell’Iliade e nell’Odissea (puntualmente seguite e verificate da Vinci) ce lo dimostrano in maniera evidente.
D’altra parte le “discrepanze” geografiche presenti nei testi omerici sono da sempre note sia agli studiosi antichi sia ai moderni: coordinate sbagliate, descrizioni che non tornano… Tanto che lo stesso geografo greco Eratostene affermava (come riporta Strabone) che “si potranno trovare i luoghi delle peregrinazioni di Ulisse quando si rintraccerà il calzolaio che ha cucito l’otre dei venti”.

 

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Nonostante ciò, alcuni hanno tentato di “ricostruire la geografia dell’Odissea” sebbene con risultati non convincenti e assai approssimativi. Infine la questione è stata liquidata dall’“ACCADEMIA” (come quasi sempre avviene in questi casi) con la vecchia (e fin troppo comoda) tesi della “casualità”: tutte o quasi tutte (che è come dire TUTTE) le indicazioni omeriche di carattere geografico sono da considerarsi un’invenzione “poetica”.
Eppure la cosa non convince (almeno, non convince coloro che prendono sul serio le cose). E non convince soprattutto per una ragione: perché bisogna essere un “idiota” o un “perditempo” per dilungarsi in descrizioni geografiche dettagliate e frequenti se poi questa “geografia” non appartiene a “NESSUNLUOGO”. Se Omero avesse inteso parlare di luoghi del tutto immaginari, perché specificare continuamente venti, rotte, direzioni, proporzioni, confronti, dettagli e quant’altro? Perché non parlare semplicemente (come in tutte le fiabe che si rispettano) di un bosco, di un fiume, di un’isola, di una montagna?

D’altra parte questa è stata anche la riflessione che nell’Ottocento ha spinto Schliemann verso le sue scoperte. Anche lui appassionato conoscitore di Omero, anche lui un “non addetto a lavori”, anche lui tenace oppositore della vecchia e comoda tesi della “casualità”.
Schliemann (come Vinci) non si arrende: SI FIDA di Omero e – seguendo le indicazioni “geografiche” presenti nei due poemi – si mette a scavare in una landa desertica fino a quando non trova proprio quello che sta cercando.
Miracoli della determinazione umana…
Schliemann (come Vinci) prende SUL SERIO le indicazioni omeriche e (vuoi perché “se ne strafrega” della tesi “casualistica” dietro alla quale si arroccano gli accademici stanchi, vuoi perché è in pensione e ha tanto tempo da dedicare alle sue passioni, vuoi perché ha fatto una barca di soldi con i suoi affari e ha intenzione di spenderseli come gli pare) continua a scavare senza sosta per anni intorno alla collina di Hissarlik finché non riporta alla luce i resti di una città che alla fine (sebbene con notevoli perplessità da parte di alcuni) sarà riconosciuta come la Troia omerica.

Sì, Schliemann (come Vinci) aveva ragione a fidarsi di Omero… Ma qui comincia il bello, perché la città di Troia riportata alla luce dall’archeologo tedesco non è (in realtà) la città di Troia di cui parla Omero. E questo ce lo dimostra Felice Vinci, testi alla mano.
Strana la vita, vero? Sia Schliemann sia Vinci si sono fidati di Omero, hanno seguito le indicazioni dello stesso poeta, hanno creduto con tenacia nella propria tesi e… hanno trovato due città diverse: una nel Mediterraneo e una nel Baltico… DUE CITTA’ DIVERSE, ma – al tempo stesso – LA STESSA CITTA’…

Forse (almeno di primo acchito) Felice Vinci (che adesso ho l’onore di annoverare tra i “miei” amici e a cui sottoporrò per primo queste riflessioni) si risentirà un poco… D’altra parte (magari potessi intervistarlo!) anche il buon S. se la prenderebbe (almeno di primo acchito), e non poco…

Eppure entrambi hanno ragione, perché il Baltico e il Mediterraneo (e questo ce lo dimostra lo stesso Vinci) sono stati “occupati” (a distanza di numerosi secoli) dal medesimo popolo che – originario della terra dei fiordi – ha ricreato poi le proprie città sulle coste di un mare più caldo, dando vita a quella che noi chiamiamo la civiltà micenea.
E così, fidandosi di Omero e della sua geografia apparentemente “bislacca”, Vinci ha individuato in Finlandia l’originaria città di Troia, mentre Schliemann (mosso – più di un secolo prima – dalla medesima convinzione di fondo) ha trovato nello stretto dei Dardanelli il “doppione mediterraneo” di quella stessa antichissima città.

Se Vinci ha ragione (e se fosse un cavallo alle corse io ci scommetterei!) qui abbiamo in gioco molto di più di una “semplice” (sebbene importantissima) scoperta letteraria: qui stiamo parlando delle origini comuni della civiltà europea…
Peccato non poterlo ancora dimostrare con gli scavi… Peccato non avere (a disposizione dei propri sogni e delle proprie intuizioni) quella “barca di soldi” che aveva Schliemann…

 

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La redazione

Damnatio memoriae
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19 comments

  1. Kokab 10 agosto, 2015 at 12:27

    ho iniziato a leggere il libro, che naturalmente non può dimostrare nulla al di là di ogni ragionevole dubbio, come sempre in questi casi.
    devo dire che lo trovo rigoroso, puntuale e documentato, al punto da ricavare un certo fastidio nei confronti di quelle critiche che si abbandonano all’ironia, al dileggio e alle considerazioni più banali sulla lesa maestà.
    vinci potrà anche avere torto, perchè no, ma la sua ipotesi sta in piedi e, per la parte che ho letto, è per molti spetti anche convincente.
    in ogni caso non è il libro scritto a tavolino per costruire un successo commerciale strizzando l’occhio al fantasy, sarebbero stati necessari un altro piglio e un altro stile, probabilmente anche un altro autore, ma è un testo minuzioso, e a volte anche un po’ noioso, nel quale si cercano pedantemente i riscontri a tutte le ipotesi formulate: per questo, oltre che per la prova decisiva evidenziata più sotto da dinamite bla, la nota venustà delle finniche, vinci merita di essere seriamente considerato.

  2. dinamite bla 4 agosto, 2015 at 18:11

    adolescente adoravo peter kolosimo… più recentemente ho leggiucchiato teorie varie, a volte anche ben relate, che spostavano qua e là colonne, colonie, città, eroi… in fondo è lo scopo stesso della letteratura epico fantastica: far sognare! ogni popolo ed ogni cultura ha diritto ad emulare (o assimilare) Omero ed ha diritto al proprio Ulisse, Achille, Gilgamesh, Wiracocha… se poi sono bravi li gestiscono con la maestria di Virgilio e vivono di vita propria… se no si fa un po’ di chiacchiere e si vive di luce riflessa. Comunque vista la venustà di finne ed estoni… Elena e Nausicaa potevano ben esser delle loro 😀

  3. Berto Al 3 agosto, 2015 at 19:41

    Sarà il caso di accettare, una volta per tutte, che l’ipotesi di una “storia” diversa da quella comunemente (e spesso convenientemente) raccontata, possa essere vera?

    • Kokab 4 agosto, 2015 at 09:14

      il vero è forse una categoria troppo vasta in un contesto dove si può al massimo arrivare al probabile; diciamo che dobbiamo imparare ad accettare che una storia diversa sia possibile.

  4. Luistella 24 luglio, 2015 at 11:45

    A Zacinto Ugo Foscolo

    “Nè più mai toccherò le sacre sponde
    Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
    Zacinto mia, che te specchi nell’onde
    Del greco mar, da cui vergine nacque

    Venere, e fea quelle isole feconde
    Col suo primo sorriso, onde non tacque
    Le tue limpide nubi e le tue fronde
    L’inclito verso di Colui che l’acque

    Cantò fatali, ed il diverso esiglio
    Per cui bello di fama e di sventura
    Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse?

    Tu non altro che il canto avrai del figlio,
    O materna mia terra; a noi prescrisse
    Il fato illacrimata sepoltura.”

    Preferisco pensare ad Ulisse nei flutti del mar Egeo, che nella fredda Finlandia! Spero che Vinci si stia sbagliando!

  5. Franz 23 luglio, 2015 at 01:41

    Da quel poco che ho letto, mi pare che la ricostruzione di Vinci abbia la stessa consistenza storica de ‘Il codice da Vinci’ di Dan Brown: entrambi affascinanti e avvincenti, ma non scientifici. Scusate il (non voluto) gioco di parole .

    • Gennaro Olivieri 23 luglio, 2015 at 07:43

      Il fatto è che su Leonardo e il Rinascimento abbiamo un’infinità di attendibili fonti coeve, oltre a tutte le opere e ai progetti Leonardeschi che sono giunti intatti fino a noi; mentre la provenienza, la formazione, la datazione e lo stesso autore (o autori) dei poemi omerici sono in gran parte ancora avvolti nell’oscurità. In altre parole, su Omero e sul mondo omerico abbiamo in mano ben poco di storico e di scientifico. Mi pare lecito avanzare ipotesi e anche cercare di avvincere il lettore con teorie audaci, senza essere accusati di lesa maestà o di scarsa scientificità: ricordiamoci che gli stessi poemi omerici avevano prima di tutto quello scopo che oggi chiameremmo “entertainment”. 🙂

      • Gennaro Olivieri 23 luglio, 2015 at 08:03

        Vorrei ricordare una bella scena dello splendido film bellico di Terrence Malick, The thin red line (La sottile linea rossa). All’albeggiare di un giorno che sarà di furiosa battaglia, a un ufficiale americano che contempla il cielo rosato, sovviene un verso di Omero: “èos rhododàktylos”, “l’Aurora dalle dita di rosa”. Omero non è scienza, è consolazione, è il ritrovare ogni giorno l’eterna anima umana, immutabile nei millenni.

      • Franz 23 luglio, 2015 at 09:38

        Caro Gennaro, lungi da me l’dea di disprezzare l’entarteinment! Ho letto goduriosamente ‘Il codice Da Vinci’ e sono appassionato di fantasy da secoli (credo di aver letto quasi tutto il leggibile ;-D ). Ma non mi pare che Vinci avesse l’intenzione di scrivere un romanzo o un divertissement.

  6. Gennaro Olivieri 20 luglio, 2015 at 20:37

    Un caloroso benvenuto alla nuova firma Fralive, che speriamo di leggere spesso e a lungo su Modus!
    Il progredire degli studi archeologici grazie anche all’apporto delle scienze applicate (chimica, fisica, fisica atomica, medicina), negli ultimi decenni ha portato alla revisione di molte teorie storiche, antropologiche e linguistiche. Uno dei rovesciamenti più clamorosi delle convinzioni accademiche consolidate da più di due secoli, che ormai si è affermato ed è accettato dalla grande maggioranza degli storici e dei linguisti, è che le popolazioni indoeuropee non ebbero origine nell’India vedica, come ritenuto pacificamente (e insegnato nelle scuole fino a tempi recentissimi), ma nella Russia meridionale, tra 5000 e 4500 anni fa. Dalla Russia, le popolazioni del Kurgan (dal nome di un tipo di arcaico monumento funerario diffuso in quella zona), si diffusero radialmente verso i 4 punti cardinali, e probabilmente raggiunsero l’Europa settentrionale ben prima di arrivare anche in Grecia. Tra le prime civiltà aventi una lingua con quelle radici comuni che sono giunte fino ai nostri giorni, si caratterizzarono distintamente quella Celtica e quella Ittita.
    E’ strano che i poemi omerici non ci dicano praticamente nulla sugli Ittiti, che dominarono l’Asia Minore per almeno due millenni, e gli stessi autori della Grecia classica ne facciano pochissimi cenni; mentre tutta la storia greca (e gran parte della sua letteratura) ha come caposaldo lo scontro tra popolazioni greche e le popolazioni dell’Anatolia che erano ormai turche (non-indoeuropee, e provenienti dall’Asia centrale) da un lato, e le popolazioni iraniche (non-indoeuropee: i Persiani!). Cioè, la Turchia e la Persia entrano sulla scena della cultura classica solo quando si manifestano come nemici (in quanto di ceppo culturale e linguistico diverso da quello greco).
    Quindi non mi scandalizzano le teorie di Vinci: i popoli hanno spesso scorrazzato in lungo e in largo per l’Eurasia, e spesso hanno percorso (e conquistato) l’Europa sulla direttrice Nord-Sud. Lo fecero per secoli le popolazioni “barbare” in Italia. Gli stessi Longobardi, che tanto segno lasciarono sul Nord Italia, oggi vengono riconosciuti come anticamente originari della Svezia meridionale, e non della Germania come si pensava fino a pochi decenni fa. E improvvisamente diventarono chiari certi strani toponimi della pianura lombarda, come il suggestivo Scaldasole, presso Pavia, che niente ha a che fare con la stella che ci da calore, ma deriva dall’antico svedese Skjoldsaal (Sala dello scudo).
    Quindi, perchè rifiutare in partenza le tesi suggestive di Vinci? Forse proprio perchè troppo suggestive? Per paura di renderci conto che fondalmente, siamo tutti lo stesso popolo e parliamo tutti, con varianti locali, la stessa lingua? Si facciano ricerche senza pregiudizi: e se Vinci dovesse essere smentito dai fatti non saranno stati comunque tempo e soldi buttati. La cultura classica non ne uscirà sminuita e i poemi omerici non perderanno il loro valore universale.

  7. Kokab 20 luglio, 2015 at 20:11

    diamo il benvenuto ad una nuova firma, che scrive su un tema abbastanza infrequente per i nostri blog.
    non conoscevo questa storia, e mi sono ducumentato un po’; sul libro di vinci, ormai un best seller, si trovano recensioni entusiaste e feroci stroncature, sul merito delle quali è difficile adentrarsi senza essere degli specialisti, o senza aver prima approfondito la lettura, e quindi conviene astenersi; la storia è però molto intrigante, e a me ricorda un libro per certi aspetti analogo, le colonne d’ercole di sergio frau, nel quale lo stretto forse più famoso della storia, con un scritto ben argomentato, viene trasportato nel canale di sicilia, ridisegnando l’intera mitologia greca (per inciso in quel libro atlantide diventa la sardegna).
    tutto questo per dire che la parte più affascinante mi sembra quell nella quale si mettono in discussione le antiche certezze, e si cercano nuove vie e nuove spiegazioni, che forse saranno trovate e forse no, ma il percorso intellettuale è quello che alla fine consente, alcune volte, di fare grandi scoperte, storiche, storiografiche, mitologiche e geografiche.
    comunque sia, è sempe una grande avventura leggere testi di questo genere.

    • Franz 23 luglio, 2015 at 10:18

      Caro Kokab, facciamo finta di essere marinai greci di 3-4 mila anni fa . Non credo che potessimo considerare il canale di Sicilia uno stretto e che, navigandoci nel mezzo, riuscissimo a vedere contemporaneamente le due coste. Altra cosa sarebbe stata lo stretto di Gibilterra, maestoso ed incombente, degno di un dio. Tale stretto pare fosse ben conosciuto e praticato anche prima dei greci dagli egizi e dai fenici: con tutto il rispetto per Frau, ottimo giornalista, preferisco ancora considerare la Sardegna come la terra dei Lestrigoni. La Sardegna come Atlantide? Deve essere stato un ben grave cataclisma quello che la fece, in parte, affondare. Tanto forte da aver cancellato anche il ricordo della scrittura nei discendenti degli Atlantidi (o forse non era conosciuta neanche da questa leggendaria ma evolutissima, nei racconti, civiltà.

      • Gennaro Olivieri 23 luglio, 2015 at 10:57

        sia per Franz che per Kokab: rilancio a entrambi. Per coincidenza, in fondo al mar Baltico abbiamo invece Oresund, lo stretto che separa la Danimarca dalla Svezia, e quello è uno stretto molto, molto… stretto. 🙂

        • Kokab 23 luglio, 2015 at 14:21

          l’oresund è stretto, e gli stretti una volta servivano per navigare, mentre ora è essenzialmente un ponte sul quale passano treni e automobili.
          in entrambi i casi si costruiscono dei collegamenti, ma oggi ci siamo un po’ allontanati dalla mitologia; se vogliamo mettere li le colonne d’ercole dobbiamo chiedere il permesso a vinci e a frau…

      • Kokab 23 luglio, 2015 at 13:23

        caro franz, non ho bisogno di immaginare di essere un marinaio, perchè lo sono stato per molti anni, oggi un po’ meno, ma è come aver imparato ad andare in bicicletta, e sento anche una certa affinità con la cultura ellenistica (ho sempre tifato per annibale contro scipione), per cui credo di potermi facilmente immedesimare nel contesto che richiami.
        spero ci vorrà scusare vinci se divaghiamo, ma non ho ancora letto il suo libro, e quindi non azzardo giudizi; su frau invece qualcosa penso di poter dire: la principale debolezza della sua tesi sta nel fatto che il canale di sicilia era uno stretto compatibile con quello mitico in epoca antecedente a quelle considerate, ma il suo punto di forza sta nel fatto che gibilterra realmente non corrisponde per niente alla descrizione omerica; quanto al fatto che la sardegna potesse essere atlantide, fermo restando che ci sono tracce abbastanza evidenti di una mazzolata del mare sul campidano, probabilmemte da parte di uno dei numerosi vulcani sommersi del tirreno, va anche detto che la sua identificazione con la mitica isola non è certamente più improbabile di tutte quelle tradizionali, sopratutto quelle esterne al mediterraneo.
        è vero, del contenuto di realtà dei miti greci sappiamo pochissimo, ma le versioni tradizionali non mi appaiono più convincenti di quelle moderne, e mi sembra azzardato considerare vinci e frau alla stregua di un dan brown qualunque.

        • Franz 23 luglio, 2015 at 13:53

          A basarci sui toponimi e leggende varie, Brown é convincente almeno quanto Vinci (basandomi su quello che ho trovato leggendo qua e la).
          L’unica prova che Frau potrebbe addurre a favore dell’inabissamento della Sardegna é psicologioca, e riguarda la diffidenza che i Sardi nutrivano fino a pochi anni fa nei confronti del mare.
          😀 😀
          Scherzi a parte, il mito del diluvio é presente in TUTTE le culture, anche non europee, seggno che si é trattato, probabilmente, di un’immane catastrofe.
          Avesse interessato solo il Campidano non credo che avrebbe potuto avere una risonanza mondiale…

  8. M.Ludi 20 luglio, 2015 at 17:45

    Se ho ben compreso, Vinci basa le sue teorie solo sull’attenta rilettura dei testi senza che le sue deduzioni trovino, al momento, alcun riscontro empirico se non da una rilettura critica delle carte e dei toponimi.
    Trattandosi di interpretazione di testi che sono stati affidati, per secoli, alla tradizione orale e solo dopo molto immortalati in forma scritta, questa attività è soggetta ad un, forse eccessivo margine di errore e immagino che la critica storica (che non si arrende quasi mai neppure di fronte all’evidenza empirica), abbia fatto e faccia tuttora molta fatica ad accettare una simile, sconvolgente, verità.
    Personalmente sono da sempre convinto che la storia abbia seguito spesso percorsi diversi da quelli che ci sono stati raccontati e, purtroppo, essa viene sempre influenzata dal momento storicoin cui essi vengono individuati ed interpretati. Viviamo nel terzo millennio, ma chi può negare il fatto che, tra alcuni secoli (se ancora esisterà il genere umano) si possa arrivare alla definizione di verità, sulla terra, altrettanto sconvolgenti di quelle che la Chiesa ha fatto così tanta fatica ad accettare in merito alle teorie galileiane sull’Universo?
    Che dire poi di molti Maitre a penser odierni che fanno di incrollabili verità storiche il supporto (invero, spesso, l’unico) per le loro astruse teorie? Chi lo spiega ai tedeschi seguaci di Schaeuble o ai padani seguaci del pifferaio di turno, che molti dei maleodoranti profughi del sud potrebbero addirittura avere, nelle loro vene, sangue di nobili venuti dal lontano nord? Ma questa, so già, essere un’operazione priva di senso.

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