Fu considerata allora tra le opere di ingegneria più ardite mai realizzate ed oggi fa sorridere pensare che così fosse, ma eravamo solo alla metà del 19° secolo e molto, ancora, doveva essere fatto. Per di più vivevamo ancora gli albori dell’era delle ferrovie ed al mondo esistevano tratte di breve durata che meravigliavano solo per il fatto che nessuno, fino ad allora aveva mai visto un treno sbuffare per le campagne. Insomma, accadde che due fratelli provenienti da uno sperduto paesino dell’appenino, decidessero di proporre al Granduca di Toscana (un sovrano illuminato e disponibile a spendere), la costruzione di una linea ferroviaria che consentisse, ben più velocemente di quanto potesse la rete viaria esistente, di trasportare merci e persone da una parte all’altra delle montagne. Semplice a dirsi, ma assolutamente difficile a farsi e lo capì ben presto l’Ingegnere francese Protche, incaricato della progettazione dell’opera con il beneplacito di Vienna a cui non pareva il vero di poter avere a disposizione, qualora potesse servire, un mezzo veloce per trasportare truppe e cannoni verso il sud Italia. Il buon Protche, a cui l’audacia non mancava certo, ebbe sostanzialmente tre problemi da dover necessariamente risolvere:

1) Limitare al minimo la lunghezza delle gallerie (più in basso si scavava e più lunghe divenivano, aumentando la sezione da attraversare).
2) Fare in modo che i treni riuscissero a fermarsi alle Stazioni lungo la linea senza trovarsi proiettati a gran velocità verso la pianura.
3) Dotare le gallerie di un impianto di aereazione tale da consentire, non tanto la combustione del carbone nelle caldaie delle motrici, quanto la sopravvivenza dei passeggeri a quella che, in assenza, si sarebbe trasformata in una vera e propria camera a gas (problema strettamente connesso al primo; più in basso si trovavano le gallerie, più alti dovevano essere i camini di aereazione, più difficile era scavarli).

Piccolo particolare ma grandissimo problema da risolvere: la sezione longitudinale dell’appennino è una sorta di triangolo rettangolo appoggiato sull’ipotenusa, con il lato toscano rappresentato dal cateto minore; come riuscire a portare il treno in quota pur limitando al minimo la lunghezza delle gallerie, la pendenza dei binari e la profondità dei pozzi di aereazione?

1.STO dislivello
                           Fig. 1 - Sezione longitudinale Appennino

Furono così progettati due tornanti consecutivi i quali, attraverso alcune gallerie facevano salire di quota il treno allungando il tragitto; il paradosso lo si nota ancora oggi quando in alcuni tratti della ferrovia, osservando il treno che passa lo si immagina diretto verso Pistoia mentre, al contrario, esso sta salendo verso Porretta Terme e l’Emilia.

2.STO cartina
                        Fig. 2 - Tracciato tornanti per superamento quota

Nonostante tutti gli sforzi, però, la pendenza era ancora eccessiva e si comprese ben presto che, senza adeguati correttivi, i treni, scendendo con i freni surriscaldati sulle rotaie rese viscide dall’olio, non sarebbero riusciti a fermarsi in tempo, specialmente in alcune stazioni intermedie situate lungo il percorso verso la pianura toscana. Furono così costruite delle corsie di decelerazione, specie di trampolini da salto con gli sci al contrario, lungo la cui pendenza il treno lanciato senza controllo poteva perdere velocità e riadagiarsi tranquillamente nelle stazioni. In alcune di esse furono altresì costruite rampe di lanciamento per consentire al treno di acquistare velocità nell’inerpicarsi su per la montagna.

3.STO Rampa decelerazione
                        Fig. 3 - Costruzione rampa di decelerazione

Il terzo problema fu il più difficile da risolvere e, di fatto, non lo fu del tutto sino all’elettrificazione della linea; a causa dello sforzo delle motrici nell’arrancare lungo l’impervia salita a velocità necessariamente basse, le caldaie dovevano essere riempite con grandi quantità di carbone e, sia pur in presenza dei pozzi di aereazione (profondi in alcuni casi oltre cento metri), e di ventilatori progettati e costruiti dalla ditta Saccardo all’ingresso delle gallerie, spesso i macchinisti uscivano dal tunnel di San Mommè (quello più lungo, quasi 3 km) privi di sensi a causa dei fumi della combustione, lasciando così il treno in balia di se stesso.

4.STO Pozzo aereazione
         Fig. 4 - Pozzo di aereazione durante il passaggio di un treno
5.STO Registro infortuni
                        Fig. 5 - Estratto registro infortuni

Fu così che venne deciso di approntare squadre di macchinisti all’uscita delle gallerie, pronti a saltare sul treno per prendere il posto dei colleghi svenuti (ma i passeggeri non è che fossero ridotti molto meglio).
Le testimonianze del tempo raccontano che nel pieno della sua attività, sulla ferrovia transitavano sino a 90 convogli al giorno composti da 12-13 vagoni per trasportare i quali occorrevano sino a tre locomotive (due in testa ed una in coda, per spingere il treno sino al valico di Pracchia.
In quella stazione (oggi desolatamente vuota), si contavano 20 binari e 35 scambi azionati idraulicamente (acqua forzata). Ogni giorno per quella stazione transitavano decine di migliaia di passeggeri e si fa fatica a crederlo vedendo il paese oggi. Quasi cinque ore ci volevano per coprire l’intero tratto (circa 100 km) sino alla stazione di Bologna: un’odissea.
Centomila persone impiegate nei quasi dieci anni necessari alla realizzazione dell’opera, immigrati da altre parti d’Italia che costruirono paesi in prossimità delle stazioni e rimasero lì a vivere dopo l’inaugurazione; 47 gallerie ed una trentina di viadotti, un’opera colossale e dopo pochi decenni, con l’apertura della Direttissima Firenze – Prato – Bologna, tutto divenne inutile.

6.STO Viadotto Piteccio
                        Fig. 6 - Viadotto di Piteccio

Di quei fasti restano solo le piccole stazioncine nel bosco, spesso curate dalle varie pro-loco che ne mantengono il decoro con le Ferrovie dello Stato che sempre più stancamente e di malavoglia (ma a furor di popolo), si vedono costrette a porre rimedio ai numerosi crolli che in vari punti rendono difficile e costosa la manutenzione…e questo, fin quando ci sarà chi vorrà fortemente che quella linea resti viva. Con l’elettrificazione e l’eliminazione dei trasporti merci (che troveranno ben più agevoli percorsi a disposizione), i tempi si sono accorciati di circa la metà, ed anche se un collegamento diretto Pistoia-Bologna non esiste più, il percorso comporta due ore abbondanti di viaggio: un buon ciclista, fa prima.

7.STO Stazione Castagno
                        Fig. 7 - Stazione di Castagno

Dei numerosi paesi arroccati sulle pendici della montagna, sorti perchè c’era da costruire la ferrovia, la maggior parte si è spopolata. Alcuni di questi, ancora fino alla metà degli anni ’70, non avevano nessuna altra via di accesso al di fuori del treno e le carrozze che discendevano la linea ferrata, piene di scolari, ora sono pressochè deserte a parte i pochi utenti rimasti, e qualche turista affascinato, oltre che dal paesaggio, dal fatto di fare un viaggio così breve in così tanto tempo.

Viaggio nel tempo

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3 comments

  1. Gennaro Olivieri 3 novembre, 2015 at 21:46

    La Ferrovia Porrettana, come altre linee storiche realizzate tra metà Ottocento e primi Novecento, solo a prima vista può sembrare sorpassata e inutile. Le opere di ingegneria che fecero superare alle strade ferrate le impervie vallate di Appennini e Alpi sono ancora oggi spettacolari e, diciamo la verità, probabilmente oggi non esisterebbe neanche la perizia tecnica per realizzarne di così ardite, per non parlare dei costi che sarebbero insostenibili.
    Mantenere in esercizio linee come la Porrettana non è una spesa inutile; certo, se ci limitiamo a considerare il bacino di utenza, la ferrovia è un mezzo costoso da mantenere. Ma un tracciato spettacolare in una zona di pregio paesaggistico può essere un eccellente mezzo di promozione turistica, come dimostrano le esperienze di molti paesi europei, dalla Svizzera alla Svezia, e quindi di rilancio dell’economia di una zona montana che va salvata dallo spopolamento.

  2. Kokab 24 ottobre, 2015 at 12:55

    capita a volte che si realizzino opere complesse e costose che poi escono dalla logica dello sviluppo sociale ed economico perchè la storia prende un’altra direzione, senza che sia colpa di nessuno.
    questo è il caso della linea ferroviaria della porretana, che mi sembra coniughi il valore tecnico dell’opera, sicuramente straordinario per il suo tempo, ad un valore estetico che non sempre hanno le grandi opere dell’uomo: i suoi ponti, inseriti in un contesto di natura rigogliosa, non sono nè uno sfregio, nè un pugno in un occhio.
    saper conservare le cose belle, quando sono inutili, è una delle cose che definisce il tasso di civiltà dei popoli e delle nazioni.

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