attualità

Parigi sotto attacco, la nostra debolezza fa la loro forza

SPE 171115-52

di Luigi Vicinanza
(direttore de L’Espresso)

 

 

Odiano la nostra democrazia più di quanto noi siamo disposti a difenderla. La nostra debolezza fa la loro forza.

Ci conoscono, ci studiano, ci sfidano. Noi occidentali, invece, supponenti nella nostra alterigia intellettuale, sappiamo poco o nulla del loro mondo; oscilliamo tra l’intolleranza xenofoba e un giustificazionismo astorico. In ogni caso non siamo in grado di agire e, quando lo facciamo, rischiamo di provocare disastri. La Libia post-Gheddafi è davanti ai nostri occhi, oltre che davanti alle nostre coste.

Così, nell’inerzia dell’Unione europea e dei singoli stati che la compongono, l’Is costruisce giorno dopo giorno un’entità statuale e militare in grado di seminare terrore su larga scala. L’attacco a Parigi di venerdì 13 novembre è il concentrato di una strategia assassina. Il numero delle vittime innocenti è enorme: 132 quelle finora accertate. Sanguinante la ferita alle forme di convivenza civile così come siamo stati abituati a concepirle.

Nel colpire simboli, stili di vita, luoghi del divertimento i terroristi islamici ci urlano odio verso un mondo che – ne sono consapevoli – non possono bloccare. Continueremo ad andare allo stadio, ai concerti, nei caffè; è vero. Ma quel mondo lo vogliono sfregiare con la paura permanente del pericolo, dell’insidia. Un figlio in discoteca crea ansia; imbarcarsi su un aereo verso rotte mediorientali dà apprensione; l’imbattersi in un volto sospetto, solo perché diverso, mette in allarme. E la casa, le mura domestiche di colpo irraggiungibili per migliaia di parigini venerdì notte, diventa l’unico rifugio sicuro. Nell’era della globalizzazione il ritorno al focolare si rivela il contrappasso di fronte alla società aperta. Una contraddizione dissonante tra sentire privato e comportamenti pubblici.

Le generazioni cresciute negli anni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale hanno sempre concepito la democrazia politica come un bene conquistato per sempre sulle macerie del nazifascismo. La stessa minaccia sovietica aveva la funzione di ricostituente per le istituzioni parlamentari occidentali: al di qua della cortina di ferro il benessere e la libertà; dall’altra parte solo miseria e dittatura. Ora invece dobbiamo affrontare una guerra asimmetrica che sempre più spesso ci colpisce in casa. Sono passati 14 anni dalle torri gemelle ma ancora fatichiamo a fronteggiare in modo coerente e positivo un terrorismo praticato in nome di un dio senza amore né misericordia.

I governi europei appaiono deboli, divisi, insidiati da forme di populismo eversivo che, in nome dell’identità nazionale, sono essi stessi nemici dichiarati dell’Europa. Assediati da un duplice attacco, interno ed esterno. I gruppi dirigenti, sia quelli di estrazione socialista-socialdemocratica che quelli cristiano-popolari, parlano una lingua sempre più spesso lontana dal sentire diffuso. Oscillano pericolosamente tra nuovi muri e frontiere aperte all’immigrazione. Minacciano azioni militari e ne temono le perdite di vite umane sul campo.

L’incapacità di decidere e trovare soluzioni adeguate e durature di fronte alla violenza islamica indebolisce i singoli stati. In Francia, in Italia, in tanti altri paesi a noi vicini rischiamo di ritrovarci democrazie senza consenso. Dunque delegittimate. Inutili. Deboli ed esposte ad ogni avventura. E’ quel che auspicano i tagliagole del Califfato. Per poter affermare con compiacimento che la nostra storia, la nostra cultura, le nostre radici non valgono nulla di fronte alla loro feroce determinazione. Il fanatismo contro la laicità. Secoli buttati via. Non possiamo consentirglielo.

SPE 171115-53

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1 comment

  1. Remo Inzetta 19 novembre, 2015 at 11:29

    La democrazia senza consenso non è solo inutile, è una contraddizione, bisogna impegnarsi a conquistarlo il consenso, se no la democrazia finisce.
    E chi non riesce a conservarlo rischia di essere spazzato via dai populismi, buttando via i secoli che l’autore dell’articlo teme di perdere.

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