le storie

Gli scogli che toccano il cielo

Non amo la montagna; mi ha sempre messo tristezza fin da quando ero bambina, forse per quei nuvoloni grigi al pomeriggio e le piogge quotidiane anche nella bella stagione; o forse perché ho sempre vissuto in pianura e ho passato le mie estati al mare, praticamente da quando sono nata.
Col mare, qualunque mare, infatti, ho una confidenza che con le vette, più o meno elevate ed innevate, non riesco ad avere. Ovunque, oltre i seicento metri, mi sento un’estranea infreddolita, in un ambiente che non mi appartiene e da cui mi allontano volentieri.

Eppure…dalla prima volta che, da ragazza son venuta quassù sulle Dolomiti – col fidanzato, che poi è diventato mio marito, che me le ha fatte conoscere – e poi ancora dopo, anche con le mie figlie, in diverse occasioni di lavoro o di svago, ogni volta son rimasta incantata da queste montagne, e in modo particolare dal paesaggio dell’Alta Badia; ma senza capire mai davvero il motivo di questo incantesimo.

Stavolta però per la prima volta ci ho pensato molto, e credo di aver finalmente compreso perché l’innegabile bellezza del panorama, da sola, non basta a spiegare la suggestione di questi luoghi, patrimonio dell’umanità.

Questi monti grandiosi di roccia grigio-rosa che, tra la Val Gardena e Cortina, passando per Colfosco, Corvara e San Cassiano, svettano, fino a toccare il cielo, a contrasto sul verde cangiante dei fitti boschi di alte conifere e dei grandi prati curati come aiole, mi ricordano degli scogli giganteschi che emergono da un vasto mare color dell’erba, disteso ad alta quota.

 

Il Gruppo del Sella, Val Garena

 

Le pareti verticali, frastagliate da vento, pioggia e incalcolabili millenni, che senza un filo di vegetazione si innalzano imponenti con i loro strati geologici a narrare ancora oggi gli immensi cataclismi avvenuti in ere appena nominabili e quasi inimmaginabili per il pensiero umano; quelle pareti mi ricordano la vertigine delle scogliere sull’oceano.

Anche queste sono rocce, che nella loro conformazione, insieme all’idea del sublime, custodiscono fossili e memoria del mare originario, il Tetide, che qui si distendeva con tutto il suo potenziale di vita, in un tempo prima del tempo, quando l’uomo non era stato ancora immaginato dalla mente di nessun dio.

Sono rocce che con la loro imponente bellezza paiono essere una metafora di pietra dell’infinita potenza del trascendente e al tempo stesso, di converso, della miserevole finitezza di chi le ammira.

Sono montagne che conservano pure il dolore della nostra storia recente; le trincee scavate nel ventre alto del Lagazuoi, lassù a un passo dal cielo, sembrano ferite ancor oggi sanguinanti del sangue dei tanti giovani che ci morirono tra il 1915 e il 1917; per il freddo, la fame, le malattie e gli stenti, prima che per i proiettili delle mitragliatrici.

Sì, finalmente ho capito: le vette pallide e striate delle Dolomiti, rosa all’alba e dorate al tramonto, mi ricordano il tempo oscuro delle Origini, un tempo così vicino al Nulla, da essere quasi impensabile; e per questo mi affascinano.
Mi ricordano il sacrificio immenso di una giovane generazione non troppo lontana da noi; e per questo le ammiro ogni volta in religioso silenzio e con un senso di profonda e commossa gratitudine.
Poi, mi ricordano la bellezza delle scogliere e la suggestione potente e indefinita del mare; e per questo le amo.
Le amo con lo stesso sentimento saldo che si prova per quegli amici d’infanzia e di gioventù che ogni estate eravamo sicuri di ritrovare nei luoghi di vacanza e nel cuore, e che ogni volta ci accoglievano sorridenti a braccia aperte a riallacciare affetti e discorsi interrotti dall’autunno e da una distanza, allora priva di chat e cellulari; e con i quali ogni volta era sempre più bello tornare a ridere e a riabbracciarsi.

Le amo, anche perché, come il mare, le montagne sono più “eterne” dei sentimenti e delle persone; pure di quelle che un tempo credevamo immortali.

 

Corvara in Badia, 23 luglio 2022. (25° alle 6 del pomeriggio, soleggiato)

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