la società

La piccola Ilaria Cecot e i populisti anonimi

Ho scoperto per caso in un ritaglio di giornale, quelli che di solito si saltano in modo affrettato, la storia di Ilaria Cecot,  ex Assessore della Giunta provinciale di Gorizia che è finita per anni nel tritacarne degli insulti razzisti e sessisti, fino a quando non ha esaurito le sue capacità di resistenza ed è finita in una crisi depressiva dalla quale sta ancora cercando di uscire con fatica.

 

È una piccola storia di provincia, ed è soprattutto una storia emblematica del nostro tempo, un tempo in cui lo stesso trattamento è stato riservato e tollerato nei confronti della ex Presidente della Camera. È tuttavia una storia molto brutta, perché oltre a colpire una donna che non ha certo la stessa forza personale e lo stesso scudo istituzionale che aveva Laura Boldrini, ha certificato che il razzismo coniugato al sessismo hanno trovato pieno diritto di cittadinanza nel nostro paese, a tutti i livelli, degradando la lotta politica a sfregio individuale e a persecuzione sistematica, nella sostanziale indifferenza, quando non nel plauso, di una società civile che si dovrebbe invece scandalizzare.

 

La vicenda di Ilaria Cecot, iniziata nel 2014, è stata alla fine aggravata da un fatto personale che le ha dato il colpo definitivo, spalancandole le porte della depressione: la relazione con un esponente politico leghista che ha avuto un esito infelice. Il fatto può essere insolito e privatamente devastante, ma se anche ha fatto consumare un po’ d’inchiostro nel gossip e nei pettegolezzi, mi pare francamente marginale nell’economia generale e pubblica della vicenda.

 

Se ti occupi dell’accoglienza di profughi e per questo ti definiscono a mezzo stampa “L’ex assessore provincial comunista e profughista in cerca di afgani lungamente dotati“, se ti inseguono con  minacce, vignette sessiste, insulti di tutti i tipi sparsi a piene mani sul web e sulla stampa, e di fronte a ciò nessuno si indigna e non succede nulla di penalmente rilevante, vuol dire che le persone sono diventate semplicemente insignificanti e i loro diritti inesistenti. Cose come queste accadono solo in presenza di una crisi morale che apre una voragine nel corpo della società, grazie alla quale saltano i freni che consentono alla politica di funzionare  e la fanno diventare il problema invece che la soluzione.

 

In anni neanche troppo lontani, pur in un paese intimamente sessista come il nostro, una simile violenza verbale e mediatica non sarebbe durata anni, perchè sarebbe stata culturalmente e socialmente censurata, e perché almeno la salvaguardia della forma avrebbe suscitato reazioni prive di qualunque benaltrismo. Allora non si sarebbe trovato nessuno disposto a dichiarare in pubblico alcuna simpatia per i rancorosi estimatori della virilità afghana, oggi invece non è più così, e ad aver paura sono piuttosto quelli che vorrebbero sostenere Ilaria Cecot, intimiditi dalla dimensione e dal volume della rabbia che ha incattivito il paese, che fa diventare un nemico da colpire chi come lei cerca di sottrarsi all’onda lunga del pensiero dominante.

 

Questo a me pare il tema più delicato e importante, perché è esattamente il punto, uno dei tanti,  in cui saltano le forme che danno sostanza alla democrazia, e fanno uscire la politica dal recinto della reciproca legittimazione delle parti, trasformandola in un mostro incapace di sintesi; quello che resta è l’esercizio muscolare del potere, dove chi vince o si sente vincitore non ha più freni e non fa prigionieri, in nome dei diritti di un popolo che si ritiene legibus solutus, essendo esso stesso il fondamento e l’incarnazione della legge, delle cui forme si sente in diritto di fare liberamente strame.

 

In questo corto circuito politico e morale nasce e cresce il radicale arbitrio del populismo, nel quale c’è tuttavia un fondo di verità che vale per tutti e che è bene non dimenticare: nel momento in cui salta il perimetro della reciproca legittimazione, quali ne siano le ragioni e le responsabilità, questo salta per tutti, per chi la subisce e per chi la impone, e chi si fa forte in questo modo del peso dei numeri non può poi pretendere sconti di alcun genere, neppure in nome del principio di maggioranza, perché questo non vale fra i nemici.

 

Non c’è un principio di maggioranza che giustifica l’aggressione personale, non c’è una “ragione” nella violazione dei diritti individuali, e meno che mai c’è su questi temi un diritto fondato sul consenso, perché questi diritti non sono nella disponibilità di alcuna maggioranza. In una società che tollera i trattamenti che ha subito Ilaria Cecot il problema non è tanto quello della piccineria di classi dirigenti inadeguate che soffiano sul fuoco dei conflitti, che pure esiste, ma è quello di una società  che non è più all’altezza del contratto sociale, che non è capace di riconoscere i suoi limiti, che ha pretese indecenti, e che per questo non merita di sopravvivere nelle forme che oggi si è data o che ha accettato di assumere.

 

 

Possiamo discutere all’infinito sulla crisi, possiamo comprendere l’impoverimento e l’insicurezza che hanno incattivito le persone, ma oltre il limite in cui la diversa visione diventa intolleranza e aggressione, quando si crea la massa critica per alimentare la violenza continua e irresponsabile, bisogna pur dire che non ci sono giustificazioni che tengano, e chi tollera o plaude a certi comportamenti, che annullano la libertà e svuotano la democrazia, perde il diritto al rispetto necessario a tutti dovuto nella convivenza civile, sotto la protezione della legge.

 

Certo, in questa vicenda gioca un ruolo importante la modernità, perché senza la rete e l’abuso nel suo utilizzo non sarebbe stato possibile trasformarla in un fenomeno di massa capace di distruggere una persona, abbandonata per anni allo scherno di un numero potenzialmente infinito di persecutori; tuttavia come sempre dietro ai mezzi ci sono gli uomini e le donne che li usano, la cui impunità è legata al consenso che essi stessi producono ed espandono con il loro agire, ribaltando i termini del diritto e della morale nel loro opposto: ciò che è ingiusto diventa giusto, ciò che è immorale diventa la morale corrente, ciò che dovrebbe indurre alla pietà alimenta la crudeltà, ciò che richiederebbe rispetto diventa l’occasione per lo sfregio.

 

Il populismo nasce e vive nelle società in declino, la nostra indubbiamente lo è, da molti anni, e di solito finisce nelle dittature o nel disastro politico, oppure in entrambe le cose. Non c’è mai niente di facile in queste situazioni, ogni possibile soluzione ha dei prezzi altissimi, e non dipende certamente da Ilaria Cecot e dalla sua piccola storia il destino del paese. Tuttavia vicende come la sua hanno uno straordinario valore simbolico, perché chiariscono lo stato delle cose e distribuiscono i valori in modo evidente.

 

Oggi una larga parte della società italiana, certamente la maggioranza di quella che si esprime nel voto, è una società moralmente spregevole, che alimenta il suo consenso proprio grazie alla sua natura. È una società che si sta lasciando alle spalle le regole della democrazia e della civile convivenza, ed è per questo ad un tempo molto forte e molto debole: è forte per la sua dimensione, e debole per l’inconsistenza del suo pensiero.

 

Non so dire quando pagherà il conto delle sue scelte e in che modo, ma certo, anche se distruggerà tutte le Ilaria Cecot che animano il paese, alla fine la società italiana si ritroverà in mano solo i problemi che oggi si sta illudendo di risolvere, ingigantiti ed economicamente rovinosi, perché dietro alla crudeltà e all’identità ci sono sempre i soldi. Non so neppure se ci sarà un’opposizione adeguata a raccogliere i cocci di questo disastro, non sono neanche ottimista a dire il vero, ma sono convinto che l’inerzia del declino farà giustizia del nostro imbarbarimento. Il conto sarà salato per tutti, lo pagheranno le Ilaria Cecot e i loro nemici, ma quando questi pagheranno il conto ci sarà finalmente un fondo di giustizia, perché sono tanti e se lo meritano.

 

 

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