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Il porno delle rovine, l’ossessione con le immagini di edifici in disuso

Online lo chiamano porno delle rovine (ruin porn) : una tendenza fotografica che ha ispirato mostre in gallerie d’arte, un turismo con elenchi cliccabili per chi voglia trovarle e tesi universitarie con titoli come “L’ansia del declino“.

Per il cinema e la fotografia l’uso di edifici abbandonati è qualcosa di più di una mise-en-scène tinta di mistero.

 

La fotografia delle rovine, a volte chiamata porno delle rovine, è un recente movimento in fotografia che prende come tema il declino dell’ambiente edificato (città, edifici, infrastrutture). Mentre “rovine” possono essere ampiamente definite come i resti, o residui della civiltà umana dai templi dell’antica Sumer a Machu Picchu, la fotografia delle rovine si riferisce specificamente alla cattura del degrado urbano e del declino nelle zone post-industriali del mondo. La fotografia delle rovine estetizza soprattutto l’abbandono e la decadenza della città, e ha suscitato dibattiti sul ruolo dell’arte in vari progetti di rivitalizzazione e restauro da Detroit a Berlino.

 

 

Giovan Battista Piranesi, Rovine d'una Galleria di Statue nella
Villa Adriana a Tivoli.

 

Anche se siamo davanti ad una nuova tendenza fotografica, una che si concentra sul degrado urbano, le sue radici derivano da nozioni del pittoresco che spesso includevano visuali d’una architettura abbandonata e dilapidata. I soggetti odierni sono in genere grandi città industrializzate (ad es. New York, Londra, Chicago o Detroit), ma possono anche essere qualsiasi rappresentazione paesaggistica, edilizia o simbolica della rovina moderna e della deindustrializzazione. Questo genere popolare di fotografia di rovine può includere case abbandonate, fabbriche abbandonate, avanzi dalla rivoluzione industriale o dal boom dell’industria automobilistica, così come ponti, lotti abbandonati, condomini, teatri o uffici sventrati.

 

 

I precursori

Non sfuggirà ai più che le radici dell’interesse in rovine risale al Rinascimento in Italia. Gli artisti italiani rimasero affascinati dalle antiche rovine greche e romane allo stesso modo in cui internet ha una passione per la decadenza di Detroit o Londra. Artisti come Leon Battista Alberti e Giovan Battista Piranesi disegnarono le antiche strutture che saturavano Roma, dal Colosseo esposto alle intemperie, alle fatiscenti Terme di Caracalla, ai vari frammenti che spuntavano parzialmente dai terreni della Magna Grecia.

Leon Battista Alberti, disegno autografo delle rovine del Colosseo e la
sua ricostruzione disegnata e misurata nel trattato stampato
"L'architettura".

 

 

Da notare che il “feticcio” degli umanisti di allora nel visitare (da esploratori urbani), disegnare, misurare e annotare le rovine era per usarne i paradigmi per costruire del nuovo. Per un Palladio o un Alberti le rovine indicavano, studiandole e armonizzandone le contraddizioni, un percorso per il futuro. L’interesse in loro servirà lo scopo di stabilire delle nuove regole per costruire. Nei secoli a seguire, edifici che volevano rappresentare continuità, potere, e istituzionalità furono modellati emulando quel che si era capito delle antiche architetture grazie allo studio delle loro rovine.

 

Giovan Battista Piranesi, Veduta di un Eliocamino (Villa Adriana, Tivoli)

 

 

Andrea Palladio, Congetture sulle Terme di Agrippa

 

Questo il retaggio culturale e storico del gusto per le rovine; per i precursori nel cinema, e come vedremo per la fotografia, ce ne sono non pochi, dei quali ci limitiamo a fornirne degli esempi.

 

I precursori nel cinema

Dopo il manierismo moderno delle due decadi precedenti, il cinema negli anni ’70  non solo introduce gli anti-eroi, i realisticamente nasuti e mediamente alti Hoffman, Pacino, e De Niro, che sostituiscono gli altrimenti zigomati tipo Fonda e Cary Grant,  ma anche l’adozione di scenari più veraci. I film invece di essere girati in set illusori e patinati escono sempre più on location, col ritorno ad un’estetica più reale, sporca, vissuta, più vérité. Basti pensare alle ambientazioni de “Il braccio violento della legge” di Friedkin, che fece conoscere al mondo per la prima volta sul grande schermo il degrado e le rovine del South Bronx nel 1971. Lo stesso anno in cui Visconti usciva con Morte a Venezia.

 

La rincorsa a piedi nel South Bronx, "Il braccio violento della legge"  , W. Friedkin.

 

Precursori in fotografia

Nel suo libro “The Cambridge Introduction to Postmodernism” (Introduzione al postmoderno, Cambridge), il teorico statunitense Brian McHale afferma che l’opera dell’artista Robert Smithson, decano della land art, negli anni ’60 – ’70 funge da precursore al porno delle rovine.

“... la documentazione fotografica della rovina probabilmente inizia con le fotografie impassibili di Smithson delle moderne aree industriali dismesse, nel suo progetto d’arte concettuale ‘A Tour of the Monuments of Passaic, New Jersey’ .


Robert Smithson, "A Tour of the Monuments of Passaic, New Jersey"
(cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

Dopo quest’esordio, sostiene McHale, è proliferata la fascinazione per le rovine in “un’abbondante documentazione fotografica di disuso e degrado urbano, sulla scia della deindustrializzazione delle città della ‘Rust Belt’ nordamericana“.

Queste rovine, osserva, sono autoinflitte, piuttosto che il risultato di guerre e conflitti internazionali, come nell’attentato dell’11 settembre. Il fascino del decadimento urbano di Detroit è il risultato diretto del fallimento economico, in particolare della crisi dell’industria automobilistica negli anni ’70.

 

Uno stile?

Lo stile si basa molto sull’illuminazione, sui primi piani dettagliati, su inquadrature con lunghe profondità di campo e sull’immagine digitale. La fotografia delle rovine è diversa dalla fotografia di architettura storica in quanto non si concentra su aspetti formali o sul confronto storico tra passato e presente, ma si concentra invece sullo stato del soggetto e su come sia diventato fatiscente.

Il fotografo Camilo José Vergara ha contribuito a dare maggiore riconoscimento allo stile negli anni ’90 con i suoi libri “The New American Ghetto” e “American Ruins” . Nel 2010, i fotografi Yves Marchand e Romain Meffre hanno pubblicato “The Ruins of Detroit” che ha portato un rinnovato interesse per la tipologia d’immagini.

 

Matthew Christopher, Dark Arts

 

Alcuni critici paragonano questa fotografia allo sfruttamento, paragonando il suo fascino a quello della pornografia sensazional-voyeuristica. Mentre il genere viene più che altro considerato per motivi estetici, i critici trovano da ridire sulla mancanza d’attenzione e di stile dei fotografi verso le realtà vissute nelle città e i luoghi visitati,  fotografando vernici crepate e mattonelle rotte. Sono quasi tutte rovine che si trovano nelle più tristi zone del pianeta, dove la gente vive con inimmaginabili difficoltà e stenti.

Nel 2013, il critico d’arte Richard B. Woodward ha sostenuto che:

” Ruin Porn è una frase così immatura e goffa che non è chiaro quanto seriamente prenda sé stessa. Come i suoi parenti gergali “pornografia animale” (scatti di animaletti simpatici), ” shoe porn ” (porno delle scarpe),” food porn “(porno del cibo),” porno del settore immobiliare ” e ” porno del ……”, è un neologismo ghignante che può, o può non aspirare ad essere una critica sociale”.

John Patrick Leary, professore alla Wayne State University di Detroit, ha dichiarato:

E altri, come me, alzano gli occhi al cielo davanti a tutta l’attenzione data a questi giovani fotografi “creativi”, per lo più bianchi, che se ne infischiano dei profondi problemi strutturali della città e non si coinvolgono nello scambio d’idee che avviene nelle comunità per cercare di risolverli. Tanta fotografia di rovine, e film che esteticizzano la povertà senza indagarne le origini, drammatizza gli spazi ma non cerca mai le persone che li abitano e li trasformano; non solo, romanticizza atti isolati di resistenza senza riconoscere le massicce forze politiche e sociali allineate contro la vera trasformazione, e non la mera, e ahimé, ostinata sopravvivenza, della città.”

 

Altri abbracciano la fotografia delle rovine come una opportunità di far marketing per un nuovo tipo di potenziale turismo, mentre altri ancora hanno insistito sul fatto che può servire come potente richiamo a mobilitare i cittadini all’azione.

 

M. Christopher, Palace Theater, Gary, Indiana

 

Rispondendo a critici come Leary, il blogger di Detroit James Griffioen, il primo a coniare il termine “ruin porn”, ha suggerito che ci sono modi diversi per rapportarsi al declino urbano e industriale: uno è spettacolare e sensazionale (e di sfruttamento), l’altro è quello più responsabile:

I pochi fotografi e giornalisti che ho incontrato non erano interessati a raccontare la storia di Detroit, ma invece gravitavano sulle “rovine” più ovvie (e stra-fotografate) e li usavano per illustrare storie su problemi che non avevano nulla a che fare con la città (che è in questo stato da decenni). Fotografo anche le rovine, ma le ho inserite nel contesto della vita in città. Questi fotografi si presentavano pieni di fotocamere per scattare foto di case di valore inferiore al loro conto in albergo.

I fotografi che catturano questi siti hanno un nome: “esploratori urbani”, e molti tengono diari delle loro scoperte sulle piattaforme dei social media. Un blogger che pratica l’esplorazione urbana con la moglie descrive l’attività:

L’urban exploration ha pure una simbolica data di nascita:

le sue origini vengono fatte risalire al 3 novembre 1793, quando un leggendario “esploratore” delle catacombe di Parigi, Philibert Aspairt, divenne celebre per la sua morte prematura in quella vasta rete di gallerie.

Io e mia moglie pratichiamo questa attività. La troviamo interessante ed appagante per diversi motivi. C’è il brivido del proibito e del pericolo, la maggior parte delle volte sono luoghi in cui non è consentito entrare, pericolanti, dove si possono trovare cocci di vetro, muffe, sostanze nocive di ogni genere, escrementi di animali, animali morti, inquilini umani vivi e vegeti che ti accoltellerebbero per 10 euro o che a volte sono più rispettosi di noi.

 

Matthew Christopher, Nursery

 

I fotografi di rovine stanno reagendo ai critici che suggeriscono che il genere presta poca attenzione alle storie locali, e stanno iniziando a includere le storie dei luoghi e delle strutture che fotografano. Tuttavia, questa nuova ondata della fotografia di rovine – più sensibile alle storie delle strutture e delle città – viene anch’essa accolta da una nuova ondata di critiche. La gente del posto a Berlino , come a Detroit, Chicago, e altre città della Rust Belt più rappresentate da fotografi di rovine, indicano che permane nella stragrande maggioranza degli scatti la continua assenza di persone** che vivono tra le rovine di tali resoconti, a veder le foto non ci sono persone che abitano questi luoghi.

Eppure, come scrive Dora Apel nel suo libro “Beautiful Terrible Ruins: Detroit and the Anxiety of Decline” (Rovine belle e terribili: Detroit e l’ansia del declino) :

“Anche se prendiamo il termine ‘porno delle rovine’ alla lettera, e accettiamo come semplice scopo di questa fotografia di rovine eccitare e piacere a chi le guarda … sarebbe produttivo chiedersi come mai le immagini di rovine ci muovono, piacciono o eccitano e a quale scopo servono “.

Per alcune persone la rovina rimane un concetto, non una realtà. Mentre il porno delle rovine trivializza notevolmente le implicazioni sociali e psicologiche del decadimento, può essere inteso più ampiamente come un antidoto alla realtà desolante di una distruzione inevitabile, completa, una cosa più deprimente che bella.
Queste immagini testimoniano non solo un fallimento economico, ma anche un fallimento ideologico, che rappresenta una rottura, forse inconsapevole, con le concezioni modernizzate dell’innocenza culturale e del godimento quotidiano come fatti dovuti.

 

 

 

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Extra: Rassegna cinema

LA SOLEDAD “… delle rovine in Venezuela. Recensione.

 

 

di Ellen Jones
(The Guardian)
Traduzione Redazione Modus

 

In questi ultimi anni uno dei luoghi che ha visto maggior declino sociale è il Venezuela, e uno dei tanti edifici in disuso nel paese è dove viene ambientato il lungometraggio venezuelano di Jorge Thielen Armand. L’onirico “La Soledad” riesce a essere contemporaneamente aggressivo e vitalmente politico.

Gli edifici abbandonati sembrano davvero grandiosi nel film. I loro angoli polverosi e le finestre rotte creano un’insolita interazione di ombre e luci, cose offerte da questi set per un intenso impatto emotivo. Questo potrebbe essere il brivido degli spazi vuoti nel “The Shining“, o il ricordo agrodolce del fascino sbiadito nel classico documentario del 1975 dei fratelli Maysles, “Grey Gardens“. Lo spettacolo di grattacieli, una volta sfavillanti, reclamati da una natura vendicativa è per me il motivo più stimolante per guardare i film apocalittici di fantascienza, quelli con gli obbligatori accenni al filone distopico della narrativa dove i centri urbani sono ricoperti da un manto di incombente sottobosco.

Ma nel film d’esordio di Armand l’edificio fatiscente non è solo una metafora visiva; “La Soledad” è reale, è una piccola e vecchia villa. Pronta per essere demolita, la casa di Caracas del titolo del film una volta apparteneva ai bisnonni del regista, fino a quando non è stata presa in modo ufficioso dalla loro governante Rosina. Molti dei personaggi interpretano se stessi, e mentre l’azione è drammatizzata, la base del film in realtà rende il confine tra finzione e realtà altrettanto friabile quanto la muratura di “La Soledad” .

 

 

Più precisamente, questa particolare villa in rovina è infestata sia dai vivi che dai morti. L’anziana Rosina è ancora lì, ora vive con suo nipote, José. Lo vediamo fare la fila per ore per ottenere il latte per sua figlia, e in cerca di medicine scarse per la sua nonna malata, proprio come milioni di venezuelani sono attualmente costretti a fare. In un momento in cui i giornalisti stranieri sono sempre più sgraditi, il film di Armand è una importante testimonianza documentate. Ma questo è un realismo magico che non vede soluzioni facili. Nelle scene immerse in un inquietante crepuscolo tropicale, José cerca l’oro nascosto che sua nonna gli dice essere sorvegliato dal fantasma di uno schiavo assassinato. Nel mezzo della loro disperazione, questa sembra la speranza più realistica della famiglia.

La Soledad” riconosce la nostalgia che gli spazi abbandonati ispirano, ma non è mai distratta dalla sofferenza più immediata dei loro occupanti ad hoc. Nel contesto delle crisi abitative in patria e all’estero, gli edifici vuoti del cinema sono stati riempiti di nuovo significato.

 

  "La Soledad" (2016) by Jorge Thielen Armand - Trailer

 

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** Piranesi includeva figure umane nelle sue stampe. Le rovine romane sono illustrate con persone dedite alla pastorizia e altro, uomini e donne che, se non altro, davano alla composizione il rapporto scalare per comprendere quanto grandi fossero.

Frontespizio: Matthew Christopher,  Lee Plaza Hotel, Detroit, MI

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Fonti:

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1 comment

  1. M.Ludi 7 aprile, 2019 at 19:30

    Veramente intrigante l’utilizzo della parola “porno” riferita a delle rovine e non tanto per il significato pruriginoso che suggerisce, quanto per la suggestione di intimità violata che vuole evidenziare quasi a dare un senso di sacralità, non tanto ai luoghi in sé quanto alle storie delle persone, ricche o povere che fossero, che in quei luoghi hanno vissuto le loro vite quotidiane, le loro emozioni, i loro drammi.
    Ormai oggi le rovine riguardano quasi esclusivamente reperti storici ed archeologici conservati in quello stato per la fruizione turistica ma quando ero ragazzo non era infrequente trovare nelle città palazzi abbandonati, pericolanti, meta di attrazione per bande di ragazzi in cerca di avventure e di emozioni forti date dal pericolo insito nelle raccomandazioni dei genitori e, perché no, del gusto della trasgressione.
    In periodo di crisi post-industriale, spesso i ruderi sono rappresentati da aree industriali abbandonate spesso luogo di aggregazione di un’umanità marginalizzata, vagabondi ed extra comunitari, ma quelle bande di ragazzi in cerca di avventure, per le strade non ci sono più.
    In compenso esistono, e questo è un fatto nuovo, interi paesi abbandonati, spesso situati in zone ad alta pericolosità ambientale, talvolta semi distrutti da terremoti che ne hanno sconsigliato la ricostruzione nello stesso luogo. Lo scorso anno la Rai ha trasmesso sul canale 5 una serie televisiva incentrata su questi luoghi; in essa l’attore Sandro Giordano in ogni puntata si avventura in uno di questi paesi, molti situati nel centro-sud d’Italia ma in due casi anche in paesi esteri (Pyramiden nelle Isole Svalbard, Bodie in California); consiglio la visione almeno di una di esse: https://www.raiplay.it/video/2017/11/Ghost-Town-E1-Isole-Svalbard-f2b948c9-1143-4ba1-bc55-da38155da90f.html

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