Il peso del design Il peso del design Il peso del design Il peso del design Il peso del design

Quando la sola estetica è un fardello.

 

di Lorenzo Díaz Campos

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Nel 1965 il famoso stilista Emilio Pucci lanciò la sua revisione delle uniformi degli assistenti di volo della compagnia aerea Braniff. Il restyling all’avanguardia, che comprendeva un casco in plexiglas e dettagli futuristici, confermava l’avvento dell’ “era spaziale”; sembrava che il programma Apollo stesse arrivando nei corridoi degli aeroporti, e che da lì in poi i viaggi aerei sarebbero stati più glamour, più cool. Il sistema di uniformi prevedeva innumerevoli versioni, ricche di accessori colorati e fantastici.

La Braniff International era nata dalla visione di due fratelli, Paul e Thomas Braniff, legati alla storia stessa dell’aeronautica del continente americano. Nel 1909 Alberto Braniff effettuò il primo volo in Messico dal terreno che la sua famiglia possedeva nella colonia Balbuena, che poi diede vita all’attuale Aeroporto Internazionale di Città del Messico (AICM o MEX). Furono i fratelli Braniff a dare il nome a questa compagnia aerea nell’Oklahoma nel 1928, le cui vicissitudini non si fermarono fino alla sua scomparsa, all’inizio degli anni Ottanta.

Il periodo d’oro coincide con l’assunzione nel 1965 di Harding L. Lawrence come presidente della società, che portò con sé l’idea della riprogettazione dell’intera proposta grafica con l’intento di rendere l’immagine della compagnia aerea la più moderna al mondo. Lawrence ingaggiò la Jack Tinker Associates, che mise al timone del progetto una donna straordinaria: Mary Wells.

La prima campagna ideata dalla Wells per Braniff The Air Strip, 1965

La Wells – ideatrice, tra l’altro, della campagna “I ♥ NY” – è stata la prima donna a dirigere una società quotata alla Borsa di New York e a ricevere il prestigioso Leone di San Marco, assegnato al festival della pubblicità di Cannes. Per realizzare il memorabile riposizionamento della Braniff Airlines, Wells chiamò due grandi creatori: Pucci, appunto, e il designer grafico Alexander Girard.

Girard fu incaricato di dare un tocco di colore all’iniziativa, e ci riuscì. Creò una varietà infinita di schemi per colorare gli aerei; alla fine ne furono progettati cinquantasette per gli interni e furono scelti quindici colori per gli apparecchi. Alexander Girard volle, infatti, che fossero dipinti dalla “punta alla coda” in un unico colore, tanto da meritare il soprannome di Jelly Beans (caramelle gommose), per il modo in cui si distinguevano dagli altri aerei nelle aerostazioni. Nel Dopoguerra, il glamour si impadronì delle compagnie aeree; i viaggi erano una dichiarazione di avanguardia e l’essere un dipendente di una compagnia aerea garantiva l’ingresso nel mondo del jetset (termine coniato proprio in quel periodo).

I primi dieci colori dei velivoli scelti tra quelli proposti da Girard per Braniff

 

 

Con Braniff, il design e la moda si impadroniscono di quel mondo, e così per l’aeronautica inizia una nuova era: l’era della grafica e dei colori, mentre il design diventa sempre più strumento di comunicazione, fondamento della pubblicità e leva per un marchio potente e internazionale.

Tuttavia, i messaggi contraddittori cominciarono ad arrivare molto presto: il famoso casco che avrebbe dovuto proteggere le acconciature delle assistenti di volo, mentre si spostavano tra il terminal e l’aereo, si dimostrava molto difficile da usare e davvero poco pratico. Non solo; non c’era spazio in cabina per riporre i caschi di tutti gli assistenti di volo, a causa del loro volume ingombrante e inutile. Nel giro di un mese dal lancio, furono rimossi e scartati. Sembra che a Pucci non fosse chiaro che, quelle che aveva disegnato, erano uniformi da lavoro, strumenti pratici per prestazioni tecniche, e non abiti da passerella. L’obiettivo doveva essere quello di facilitare il lavoro dei dipendenti della compagnia aerea, non di apparire sulle copertine delle riviste di moda.

La campagna per Braniff The Air Strip senza i caschi in plexiglas, 1966

Con il boom dell’industria all’interno di un mercato protetto, la Braniff Airlines prosperò; la sua immagine di compagnia aerea più cool del mondo, sostenuta da personaggi come Andy Warhol, Salvador Dalì e le conigliette di Playboy, sembrava invincibile.

Ma perché gli altri aerei erano ancora bianchi e argentati? Perché non erano dipinti in tutti i colori come le caramelle gommose? La pubblicità di Braniff recitava ostentatamente: “E anche se non riesci a capirlo, puoi rilassarti e godertelo”; ma fu proprio l’incapacità di comprendere le ragioni per cui le altre compagnie aeree erano così “monotone”, che alla fine portò la compagnia al fallimento. Tutto sembra indicare che Girard e i notevoli advertiser, dietro la trovata pubblicitaria che ha fatto davvero tanto rumore, non sapessero cosa stavano facendo; le caratteristiche degli aerei, infatti, sono per lo più dettate da precisi motivi, economici, tecnici e strutturali.

Il fatto che la maggior parte degli aerei sia di un solo colore, non solo ne rende più economica la produzione, ma significa anche che ci sono più facilmente aeromobili disponibili al volo, poiché la manutenzione di un aereo non colorato – che debba essere verniciato o ritoccato – richiede meno tempo.

Il bianco è anche il colore più riflettente e che mantiene gli aerei più freschi quando sono a terra, oltre a ridurre i danni dei raggi UV quando si vola ad alta quota. Ancora oggi, una percentuale significativa di aeromobili non utilizza il colore, e le parti metalliche (di solito l’alluminio) sono semplicemente protette da un rivestimento trasparente. In questo modo si risparmia una quantità significativa di peso che, cumulata in miglia, per una flotta di aerei, si traduce in un risparmio significativo di consumo di carburante.

 

Quando nel 1982 arrivò la politica dei “cieli aperti” per il mercato nordamericano, Braniff iniziò a soffrire per l’assalto della concorrenza; e proprio quei “piccoli dettagli” che si vantavano di essere “la grande differenza” del suo marchio, iniziarono letteralmente a costare cari alla compagnia aerea.

Si scoprì che quelli che sembravano lampi di genialità da parte dei designer e degli artisti che accompagnavano la creazione di un marchio in ascesa, erano in realtà le differenze che alla fine, quando la concorrenza si fece dura, avrebbero determinato il suo stesso fallimento.

La confusione tra moda, pubblicità e design è stata catastrofica. Il design deve rispondere agli usi e alle variabili tecniche e tecnologiche, necessarie per arrivare a una soluzione, che ne garantisca la fattibilità. Per rendersi conto di questa enorme débâcle, bisogna leggere negli annali dell’aviazione, dove il caso è raccontato come una serie di fallimenti, e non nei libri di design dove Girard e Pucci si vantano di aver creato l’unica compagnia aerea veramente diversa, che però fallì, perché pretese di essere diversa, e non perché progettò la differenza.

 

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Originalmente comparso su Arquine
Traduzione dallo spagnolo Redazione Modus

 

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Verso la tavola periodica delle forme
Altro che Alitalia…

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