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Torna la vita a Chernobyl: linci, lupi e alci più numerosi di quelli presenti prima dell’incidente

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Secondo uno studio pubblicato su Current Biology la popolazione animale si è moltiplicata: «Non significa che le radiazioni siano positive ma che gli effetti degli insediamenti umani, inclusi caccia e allevamenti, sono molto peggiori»

 

Dopo che per anni è rimasta disabitata, un deserto di morte, è tornata la vita nell’area vicino la centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina. A quasi 30 anni da quel grave incidente, alci, caprioli, cervi rossi, cinghiali e lupi sono tornati a popolare la zona vicino la centrale, che ora sembra quasi una riserva naturale.

L’incidenza dell’attività umana

Descritta sulla Current Biology, la ricerca dell’università di Portsmouth offre una lezione importante per valutare l’impatto a lungo termine del più recente incidente nucleare di Fukushima. «È molto probabile che gli animali selvatici a Chernobyl siano molti di più di quelli presenti prima dell’incidente», precisa Jim Smith, coordinatore dello studio. «Ciò non significa che le radiazioni siano una cosa buona per la fauna selvatica, ma solo che gli effetti degli insediamenti umani, inclusi caccia e allevamenti, sono molto peggiori».

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La «zona di esclusione» come una riserva

I primi studi sui 4.200 chilometri quadrati della zona di esclusione avevano mostrato gravi effetti dalle radiazioni e un’importante calo della fauna selvatica. I nuovi dati, basati su un censimento di lungo periodo e rilevazioni aeree, dimostrano che le popolazioni di mammiferi sono tornate. Come testimoniano anche foto e video raccolte dalle telecamere posizionate sulla zona che si possono vedere on line. La relativa abbondanza di alci, caprioli, cervi rossi e cinghiali nella zona di esclusione è ora simile a quella riscontrata nelle quattro riserve naturali non contaminate della regione. Il numero di lupi che vive dentro e vicino il sito di Chernobyl è sette volte maggiore di quello presente nelle altre riserve. I rilevamenti fatti rivelano anche la progressiva crescita nelle popolazioni di questi animali da uno a 10 anni dopo il disastro. «Questi risultati dimostrano per la prima volta che, indipendentemente dai potenziali effetti delle radiazioni sui singoli animali, la zona di esclusione di Chernobyl ospita un’abbondante comunità di mammiferi dopo quasi 30 anni di esposizione cronica alle radiazioni», conclude lo studio.

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