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Abuso di referendum

Non saprei dire se cercandolo con il rigore dello storico è possibile individuare il momento in cui le cose sono cambiate, e la democrazia che abbiamo visto funzionare dal dopoguerra in poi, nella quale siamo cresciuti e vissuti, ha cambiato natura, diventando una cosa nuova e diversa.

Forse no, non perché gli storici non siano abbastanza bravi, ma piuttosto perché un momento del genere non esiste; esistono invece una serie di eventi e circostanze che hanno prodotto effetti per un lungo periodo di tempo, e che hanno cambiato un po’ alla volta il contesto in cui ha vissuto la democrazia occidentale, quella che ha accompagnato tutta la nostra vita, fino a renderla meno efficace e meno capace di comporre le tensioni e i conflitti sociali.

Lo spartiacque fra il prima e il dopo si ancora a fenomeni epocali e di portata planetaria, la globalizzazione, il crollo del comunismo, la crisi del welfare, il liberismo dilagante, lo sviluppo economico impetuoso di nuovi paesi e la migrazione di massa dai paesi poveri verso quelli più ricchi; non tutti questi fenomeni hanno agito ovunque o nello stesso modo, ma quasi ovunque, mi pare, hanno determinato o stanno determinando gli stessi effetti e gli analoghi cambiamenti nel funzionamento del processo democratico.

Riducendo il problema all’essenziale, e quindi banalizzandolo all’estremo, mi pare che le cose stiano in questo modo: prima del cambiamento la democrazia era fortemente rappresentativa, aveva un carattere inclusivo e una grande carica di legittimazione reciproca fra i diversi attori sociali e politici; a mutamento avvenuto la democrazia ha perso una parte della sua natura costitutiva, la rappresentatività, per diventare in misura maggiore democrazia diretta, ha accentuato in conseguenza di ciò in modo corposo gli elementi populistici, che oggi sono largamente diffusi, ha smesso di essere inclusiva, e sta progressivamente perdendo il principio, e la pratica, della legittimazione dell’avversario, che diviene sempre più spesso il nemico.

 

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Poiché alla fine fra nemici ci si combatte, o almeno così è sempre successo in passato, non mi sembrano cambiamenti di poco conto; naturalmente in questo contesto è impossibile approfondire le dinamiche in atto e le reciproche relazioni, che magari oggi sono anche diverse da qualche anno fa, ma forse, focalizzando l’attenzione su un punto specifico, e senza la pretesa dell’esaustività, è possibile afferrare quello che mi pare essere il nocciolo della questione, e azzardare un approfondimento.

Proseguendo nella banalizzazione, della quale mi scuso, direi che il problema sta essenzialmente nella democrazia diretta e nel suo abuso spropositato, che attraverso il suo strumento fondamentale, il referendum, sta erodendo il metodo e il merito della democrazia stessa, il metodo perché lo strumento è per definizione rozzo e primitivo, strutturalmente inadatto a gestire le società complesse, e il merito perché produce con singolare ripetitività delle decisioni sciocche, inutili o sbagliate, e magari anche tutte queste cose assieme, non escluse quelle fra loro contradittorie.

 

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        Boris Johnson

 

I referendum sono prevalentemente di due tipi, o riguardano stupidaggini, in Italia e in Svizzera se ne è spesso abusato, svilendo anche la natura dello strumento, o riguardano temi tanto importanti e complessi da non tollerare semplificazioni o scelte umorali, e difatti su molte materie in molti paesi non sono ammessi; se andiamo a considerare alcune delle più recenti consultazioni svoltesi in vari paesi d’Europa, almeno fra quelle che mi sono venute in mente, non ce n’è una che abbia prodotto un risultato decentemente apprezzabile.

 

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 Alexis Tsipras durante la campagna referendaria del 2015

 

Nel 2015 il referendum greco sulle condizioni poste dall’Unione Europea, indetto strumentalmente da Tsipras, è stato approvato a larga maggioranza, e i suoi esiti, giusti o sbagliati che fossero, sono stati poi ignorati e smentiti dallo stesso premier nella fase successiva dei negoziati.

Quest’anno si è svolto il padre di tutti i referendum, dal punto di vista dell’Europa, quello sulla Brexit, anche questo indetto per ragioni strumentali da Cameron, e ha prodotto risultati catastrofici, persino a dispetto dei fautori del “leave”, che probabilmente pensavano e si auguravano di perdere.

Se ne sono poi svolti altri tre minori, due significativi e uno insignificante.

Il referendum ticinese sui lavoratori stranieri, il tronfio “Prima i nostri”, è stato felicemente approvato dagli elettori, con una scelta totalmente sconsiderata, fra l’altro da parte di un cantone che ha una disoccupazione attorno al 3%; se domani i lavoratori stranieri, e cioè lombardi, se ne andassero da Lugano e dintorni, l’economia ticinese crollerebbe in due settimane; c’è però da dire che è difficile respingere una punta di soddisfazione di fronte al fatto che i leghisti, che naturalmente non corrispondono ai lavoratori lombardi, vengono trattati allo loro stessa maniera.

 

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Manifesti per il referendum svizzero

 

Il referendum ungherese sulle quote dei migranti ha per fortuna fallito il quorum, ma non c’è dubbio che se lo avesse raggiunto, con una scelta indecentemente razzista avrebbe determinato un vulnus gravissimo per l’Europa, che comunque resta nella stessa condizione di inconciliabile schizofrenia fra interessi statali e interessi dell’unione in cui si trovava la sera prima del voto.

 

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    Viktor Orban

 

Il referendum italiano sulle trivelle era in realtà un referendum sul gradimento di Renzi, e dato il tema si sono scomodati a votare solo quelli che volevano mandare un messaggio minaccioso al premier; si è come quasi sempre mancato il quorum, ma a prescindere dal merito della questione, se si vota su una cosa per significarne un’altra un risultato lo si ottiene di sicuro: si alimentano populismo e antipolitica.

All’inizio di dicembre noi italiani ci concederemo il bis, salvo errori sarà il quarto episodio dell’anno su un tema di rilievo, e dovremo votare una controversa e confusa riforma costituzionale, fortemente personalizzata e ideologizzata da Renzi, sulla quale la stragrande maggioranza degli elettori non è neppure in grado di comprendere quello che vota: quale che sia il risultato, sarà il trionfo del populismo e dell’antipolitica già efficacemente alimentati.

 

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Ha senso tutto questo? È utile? Porta da qualche parte? Dubito che ci possa mai essere una risposta positiva, anche se per paradosso le scelte referendarie fossero tutte giuste; è vero, la politica ha fallito o sta fallendo su quasi tutte le questioni che oggi si stanno sottoponendo al voto dei cittadini, ma questo modo di ricorrere al popolo per risolvere le contraddizioni, e recidere il nodo gordiano dell’indecisione e dell’indecidibile semplificando all’estremo le questioni complesse è una toppa peggiore del buco, anche perché i referendum sono poi diretti e gestiti da quegli stessi politici che non sono stati capaci di costruire i processi decisionali, e votati da quegli stessi elettori che si rivelano sempre meno capaci di selezionare le loro classi dirigenti.

La storia della democrazia rappresentativa è la storia dell’abbandono della democrazia diretta e del superamento dei suoi limiti, è concettualmente possibile che la crisi della prima si possa risolvere con un ritorno massiccio alla seconda? Onestamente non lo penso, e anche se non credo di sapere come si risolve il problema dell’odierna crisi della democrazia, sono però abbastanza sicuro di sapere come non si risolve, e cioè nel modo che stiamo sperimentando oggi.

 

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Manifesti per il referendum ungherese

 

Sia chiaro, non penso affatto che l’abuso di democrazia diretta sia ciò che determina la crisi dell’inclusività e della legittimazione, se non in modo del tutto residuale, ed è anzi più vero il contrario: credo che sia stato l’impoverimento materiale e culturale della società a determinare la crisi di quei valori, alimentando il populismo che ha permeato la politica negli ultimi venti anni almeno, e creando i mostri che si aggirano per l’occidente, da Le Pen a Bossi, da Grillo a Farage, da Orban a Trump, che ovunque hanno condizionato e stanno condizionando i valori di riferimento della società, anche al di fuori della cerchia dei loro sostenitori.

 

Oggi la società e la politica non sono più capaci di costruire e mantenere la mediazione degli interessi, perché si è saldato un rapporto perverso fra la classe politica peggiore, e la società più povera, stanca, usurata e ignorante dell’ultimo secolo; l’uso e l’abuso della democrazia diretta, che è una democrazia muscolare, in un contesto di populismo radicato e di banalizzazione della politica, può anche portare a decisioni reali, alcune le abbiamo anche viste, ma difficilmente alla composizione dei conflitti sociali, e a me pare che le decisioni di oggi, spesso sgangherate e assunte con lo strumento arcaico e affilato del referendum, incubino e preparino le radicalizzazioni e gli scontri di domani, che temo saranno di gran lunga più violenti e più sanguinosi di quello che possiamo immaginare.

 

 

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Abuso di referendum

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