Che ne è oggi della laicità in Europa? Si tratta, evidentemente, di uno dei grandi temi della modernità politica occidentale: anzi, sotto tanti aspetti, lo si può – a mio parere – senz’altro individuare come il dato di effettiva novità che l’Occidente abbia contribuito a strutturare nella storia degli ultimi secoli. È infatti assai noto come una delle rivendicazioni chiave dell’uomo moderno sia stata – appunto – la volontà determinata di affrancarsi dalle forme tutoriali pre-moderne da parte delle religioni e di voler fondare, sulla base di tale nuova autonomia, una modalità inedita della fondazione della comunità politica.
È chiaro che ciò non ha voluto in alcun modo significare la soppressione delle confessioni religiose – sebbene a tratti, nella storia della modernità, vi sia stato spazio anche per questo -, bensì la netta distinzione fra spazio pubblico e spazio privato con l’ascrizione della fede in quello che già T. Hobbes – nel 1651 – definiva il “foro interno dell’uomo – sacro ed inviolabile da qualsivoglia potere politico.

Il concetto di laicità legato a quello di modernità – e dunque strutturato sulla base della distinzione fra uomo e cittadino e sull’elaborazione di uno spazio pubblico nel quale gli uomini si incontrano in quanto eguali -, rappresenta l’orizzonte condiviso che ha permesso la costituzione degli Stati così come noi oggi li conosciamo.
Eppure, nonostante questo lungo percorso, la questione della laicità è ben lontana dall’essere risolta. Permangono, nel corpo dell’Occidente e in alcuni paesi in particolare, delle resistenze assai forti da parte delle strutture di potere confessionali che impediscono un reale affrancamento istituzionale dalle imposizioni religiose. Sono palesi inoltre il forte legame di solidarietà che, non tanto e non solo alcune costituzioni, quanto la stessa prassi politica, lega alcuni Stati con le Chiese e che si manifestano sotto forma di contributi finanziari massicci, oltre che di particolari tutele fiscali.

Che il tema sia delicato e di non facile risoluzione è mostrato anche dalla particolare elasticità con cui l’UE stessa affronta il problema delle controversie di tipo religioso: essa, infatti, lascia da parte un vero e proprio tentativo di omogeneizzazione e si regola in maniera compromissoria. Del resto, in Europa le differenze fra paesi in materia religiosa sono assai grandi: si va dall’estremo dell’assoluta laicità dello spazio repubblicano della Francia, alla tutela legale riservata alla religione ortodossa in Grecia.

Chiediamoci: perché l’UE si mostra intransigente nell’unificazione dell’economia e molto trattabile invece sulle questioni religiose? Perché le religioni sono trattate in maniera morbida, laddove le economie dei vari paesi sono legate – si pensi al patto di stabilità – in maniera costrittiva e rigida?
Io credo che si possa rispondere in un solo modo ad un quesito simile. In un modo paradossale ma realistico: la vera religione dell’Unione europea è l’economia finanziaria. In realtà, come è noto a tutti, le religioni – quando sono prese davvero sul serio – non consentono alcun compromesso e neppure l’UE se lo consente. Essa pertanto assume un atteggiamento morbido e, in fondo, laico nei confronti delle religioni tradizionali, poiché sa bene che quelle non contano più, mentre riserva il pugno di ferro al rispetto della nuova religione: il denaro e l’immenso potere mondano che esso consente.

Qual’é oggi la vera religione europea?

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La redazione