la società

Anniken Jørgensen: la fashion blogger che ha “sconfitto” H&M

SOC.h&m

Si chiama Sweat Shop, ed è un docu-reality realizzato dal quotidiano norvegese Aftenposten nato per raccontare come e dove vengono prodotti gli abiti venduti da una delle più grandi catene di negozi di abbigliamento “low cost”, il colosso svedese H&M. Tre giovani fashion blogger norvegesi sono state inviate in Cambogia – uno dei paesi dove l’azienda produce la maggior parte dei capi – e per un mese hanno vissuto a stretto contatto con i lavoratori dei laboratori tessili dove vengono realizzati gli abiti, vivendo nelle loro stesse condizioni, tra alloggi fatiscenti e turni di lavoro massacranti.

UN MESE CON GLI OPERAI TESSILI CAMBOGIANI – Sulla carta, lo scopo dell’iniziativa di Aftenposten sarebbe stato quello di raccontare ai giovani norvegesi – e in un certo senso all’intero mondo occidentale – da dove viene la maggior parte dei vestiti che indossano ogni giorno, prodotti nei laboratori tessili dei paesi in via di sviluppo, diventati ormai da decenni “terreno di conquista” per i grandi brand della moda che delocalizzano la produzione dei capi di abbigliamento nei paesi del sud-est asiatico, dove milioni di persone lavorano anche per 16-18 ore al giorno con uno stipendio molto al di sotto di quello che considereremmo “salario minimo”, in condizioni igienico-sanitarie spesso molto precarie e senza tutela alcuna.

LA SFIDA DI ANNIKEN – Non si tratta di una novità: da anni le grandi catene dell’abbigliamento, da Zara a Primark passando per Gap e appunto anche per la stessa Hennes & Mauritz, sono spesso al centro della polemica per lo sfruttamento degli operai che lavorano nei laboratori tessili sparsi un po’ in tutto il mondo, spesso ridotti in condizioni non troppo diverse dalla schiavitù. Eppure, il pesante velo di omertà che copre questo scenario non si squarcia nemmeno grazie al lavoro dei tre blogger norvegesi di Sweat Shop cui è stato chiesto, o per meglio dire imposto, di non raccontare parte di ciò che avevano visto e vissuto durante la loro esperienza nei laboratori tessili della Cambogia. Per questo motivo, la giovanissima Anniken Jørgensen, una delle tre blogger che ha partecipato al reality, ha deciso di raccontare la verità, intraprendendo da sola una campagna per far sapere al mondo le reali condizioni dei lavoratori tessili cambogiani e fare in modo che la propria esperienza non restasse solo “un pugno di video” pubblicati sul web.

UNA DICIASSETTENNE CONTRO H&M – Nonostante la giovanissima età, Anniken ha 17 anni, la ragazza ha cominciato a fare i nomi delle aziende coinvolte nello sfruttamento degli operai, in particolare H&M, raccontando sul proprio blog la realtà dei fatti, accuratamente censurata anche dallo stesso Aftenposten. Per mesi, nonostante le obiezioni dei tre blogger, il quotidiano sarebbe riuscito a mantenere il silenzio, fino a un paio di mesi fa, quando Anniken non ha deciso di parlare “da sola” dopo aver compreso che nessuno sarebbe stato disposto ad ascoltare la sua storia:

È incredibilmente frustrante che una grande catena di abbigliamento abbia così tanto potere da spaventare e condizionare il più importante quotidiano della Norvegia. Non c’è da meravigliarsi: il mondo è così. Ho sempre pensato che nel mio paese ci fosse libertà di espressione. Mi sbagliavo.

BOICOTTAGGIO – E così, grazie al tam tam del web, la denuncia di Anniken ha cominciato a prendere il largo, diventando virale insieme alla sua iniziativa di boicottare H&M e i suoi abiti. Fino al punto che la stessa azienda ha chiesto di poterla incontrare nella sede principale di Stoccolma annunciando, nello stesso tempo, di aver preso provvedimenti nei confronti dei laboratori tessili a cui commissiona la realizzazione degli abiti, affinché si impegnassero a migliorare le condizioni di vita dei propri operai. In diverse occasioni Anniken ha sottolineato che quel viaggio in Cambogia ha cambiato per sempre la sua vita e che mai potrà dimenticare le condizioni di lavoro di quegli operai. In particolare, la giovane racconta dell’incontro con una ragazza diciottenne, che ha iniziato a lavorare quando aveva appena nove anni.

 

Anniken Jørgensen e le sue pagine blog

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6 comments

  1. Genesis 22 novembre, 2014 at 09:45

    Diciamo che l’oggetto primario di questo articolo è quello di destabilizzare decisamente l’operato di una grande catena che, come al solito, finisce nello sfruttamento schiavista dei paesi che si vogliono mantenere sottosviluppati.
    Il risultato secondario, ma da porre effettivamente allo stesso piano del precedente, è quello che una ragazza di diciassette anni è riuscita a far sapere al mondo quanto sia bastardo il mercato mondiale: non che non lo sapessimo, ma pensavamo che all’estero, a sfruttare i poveri cambogiani, coreani, cinesi, moldavi, polacchi,… …ci fossero solamente quegli evasori bastardi di imprenditori italiani…che il resto del mondo fosse illibato di fronte a tanto sfruttamento….abbiam beccato la Norvegia…domani la Svezia…dopodomani la Spagna, il Lussemburgo…ed infine la Germania…poi? Mettiamo le cose a posto?
    Forse è vero, stiamo cercando di trovare il modo di implodere e farla finita con l’umanità, sì da lasciar posto al mondo animale, tanto più umano di noi!

  2. Genesis 22 novembre, 2014 at 09:45

    Diciamo che l’oggetto primario di questo articolo è quello di destabilizzare decisamente l’operato di una grande catena che, come al solito, finisce nello sfruttamento schiavista dei paesi che si vogliono mantenere sottosviluppati.
    Il risultato secondario, ma da porre effettivamente allo stesso piano del precedente, è quello che una ragazza di diciassette anni è riuscita a far sapere al mondo quanto sia bastardo il mercato mondiale: non che non lo sapessimo, ma pensavamo che all’estero, a sfruttare i poveri cambogiani, coreani, cinesi, moldavi, polacchi,… …ci fossero solamente quegli evasori bastardi di imprenditori italiani…che il resto del mondo fosse illibato di fronte a tanto sfruttamento….abbiam beccato la Norvegia…domani la Svezia…dopodomani la Spagna, il Lussemburgo…ed infine la Germania…poi? Mettiamo le cose a posto?
    Forse è vero, stiamo cercando di trovare il modo di implodere e farla finita con l’umanità, sì da lasciar posto al mondo animale, tanto più umano di noi!

  3. Gennaro Olivieri 21 novembre, 2014 at 16:42

    Che la Norvegia fosse lontana anni luce da noi in materia di morale e di diritti (non solo delle donne), lo sospettavamo già. Il blog della bella Anniken ci dimostra che nei paesi civili una donna può legittimamente e tranquillamente aspirare ad essere apprezzata sia per la sua intelligenza che, allo stesso tempo, per la sua bellezza. Sicuramente in Scandinavia nessuno avrà avuto niente da eccepire sul fatto che Anniken abbia disinvoltamente usato anche la sua notevole avvenenza per sostenere una battaglia civile, oltre che per promuovere la sua stessa carriera di blogger, giornalista, modella o di quant’altro la giovane voglia diventare.

  4. Gennaro Olivieri 21 novembre, 2014 at 16:42

    Che la Norvegia fosse lontana anni luce da noi in materia di morale e di diritti (non solo delle donne), lo sospettavamo già. Il blog della bella Anniken ci dimostra che nei paesi civili una donna può legittimamente e tranquillamente aspirare ad essere apprezzata sia per la sua intelligenza che, allo stesso tempo, per la sua bellezza. Sicuramente in Scandinavia nessuno avrà avuto niente da eccepire sul fatto che Anniken abbia disinvoltamente usato anche la sua notevole avvenenza per sostenere una battaglia civile, oltre che per promuovere la sua stessa carriera di blogger, giornalista, modella o di quant’altro la giovane voglia diventare.

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