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Carlo Azeglio Ciampi, il banchiere che sdoganò la parola “patria”

Carlo Azeglio Ciampi, il banchiere che sdoganò la parola “patria”

Esaurita l’epoca Scalfaro, il 1999 è nuovamente anno di elezioni presidenziali. Al governo c’è un’instabile coalizione di centrosinistra guidata da Massimo D’Alema. Le aspettative che avevano accompagnato la vittoria elettorale del ’96 erano state in gran parte deluse. Le troppe anime all’interno dell’Ulivo portano a scontri costanti nella maggioranza.

 

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   Carlo Azeglio Ciampi, dal 1999 al 2006 al Quirinale.

 

In una situazione simile nessuno schieramento ha la forza di esprimere un candidato forte. E come spesso è avvenuto per i governi degli anni ’90, ci si affida a un tecnico. Il prescelto, già al primo scrutinio, è Carlo Azeglio Ciampi, ex governatore della Banca d’Italia, che nel ’93 era riuscito a guidare l’Italia fuori dalle secche della crisi finanziaria. Più o meno apertamente i partiti lo eleggono per limitare al massimo l’ingerenza del Quirinale nelle scelte politiche. Ma Ciampi non è figura che si limita a tagliare nastri. Il leitmotiv del suo mandato è il costante richiamo all’unità nazionale.

 

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 Ciampi al telefono nello studio al Colle.

 

Nei quarantasette anni in cui ha lavorato dentro Bankitalia ha dimostrato un’etica lavorativa impeccabile. È abituato ad ascoltare tutti e a cercare il massimo coinvolgimento possibile nel processo decisionale. Lo ha dimostrato nella breve esperienza a Palazzo Chigi, attraverso lo strumento della concertazione che ha permesso di sciogliere diversi nodi nei conflitti tra sindacati e industriali. Ma da vero leader, dopo aver sentito le parti in causa, mostra fermezza nel decidere in autonomia. Come negli anni del governo Prodi quando dirige il ministero del Tesoro consentendo all’Italia un miracoloso rientro nei parametri di Maastricht. In diciotto mesi, grazie a scelte drastiche, il rapporto deficit/Pil passa dal 7,5% al 2,7%. Una mossa eccezionale soprattutto alla luce delle fatiche degli attuali governi di fronte al fatidico tetto del 3% imposto dall’Unione europea.

Quando Ciampi si insedia al Quirinale in tanti pensano a Luigi Einaudi. “È una traiettoria di vita che ci accomuna”, afferma l’ex governatore, riferendosi ai comuni trascorsi in via XX Settembre. Il livornese ha poca esperienza politica, ma da consumato manager dimostra una cura maniacale dei dettagli. Per il settennato al Colle si circonda di una squadra di consulenti di altissimo livello. Rispettoso delle prerogative della carica, promuove il dialogo fra i partiti. Non vuole governare ma solo garantire l’osservanza della Costituzione.

Ma riesce a fare di più. Usa sapientemente un argomento populista e trasversale: la riscoperta del patriottismo. L’orgoglio di essere italiani. In pochi mesi il cinico banchiere tocca il cuore del popolo, facendo risuonare inni e sventolare tricolori. Più che un Presidente appare come uno psicanalista che scava per trovare uno spazio in cui costruire il futuro. È consapevole che senza una memoria condivisa, l’Italia può solo vivacchiare. Il termine “patria” perde l’accezione politica degli ultimi decenni e torna un valore comune.

 

 

Ciampi ha fatto la guerra e militato per pochi mesi nel Partito d’Azione, ma ripensando al periodo bellico, introduce un concetto nuovo. Quello della “resistenza allargata”. Anche chi non è morto da partigiano merita di essere commemorato. Chiude il conto coi Savoia permettendo agli eredi maschi della casata il rientro in Italia. Ripercorre in un toccante tour della memoria i luoghi di battaglia. Si commuove e fa commuovere.

Gli italiani amano la sua genuina schiettezza. È infaticabile. Nel corso dei sette anni mette piede in tutte le province italiane e rimprovera quella politica che spesso dimentica il contatto con la gente. Verso i governi cerca di attuare una persuasione morale che sfocia spesso in scontro istituzionale nel quinquennio berlusconiano. Si rivolge alle camere solo una volta. Nel luglio 2003 per tutelare pluralismo e libertà d’informazione. Per lo stesso motivo rimanda al mittente la legge Gasparri sulle telecomunicazioni. Trova inaccettabili le posizioni del governo sulla giustizia.

 

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Ciampi con la moglie Franca.

 

S’ indigna per l’ostinazione con cui il centrodestra vara una riforma costituzionale a maggioranza semplice. Berlusconi punta al presidenzialismo e non ascolta i suoi richiami. Ci penserà il precedente inquilino del Quirinale, Oscar Luigi Scalfaro, guida del movimento referendario contro la riforma a stoppare il progetto del centrodestra. La sua politica estera in un’epoca segnata dallo scontro Bush contro Bin Laden è incentrata sulla volontà di far rispettare l’articolo 11 della Costituzione, soffocando i propositi bellici di alcuni settori della compagine di guerra.

Lascia nel 2006, con l’inseparabile moglie Franca sempre al suo fianco. Rifiuta le trasversali offerte di un nuovo mandato, sostenendo che sia una prospettiva inconciliabile col dettato costituzionale. Della sua presidenza resta una traccia importante, l’impronta di un severo pedagogo, molto ascoltato dalla gente e poco dai partiti. Come Einaudi, sulla stessa traiettoria.

 

La serie: Tutti gli uomini del Quirinale

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3 comments

  1. nemo 17 settembre, 2016 at 09:27

    Di Presidenti, come di Papi, ne abbiamo visti molti, perchè questo accostamento? Ecco, ci ricordiamo le diversità che i vari Presidenti hanno avuto ? Uno fu addirittura costretto alle dimissioni, Leone, un’altro fu invischiato, senza che poi ci fosse mai stata una parola definitiva sul suo reale coinvolgimento nella cosa, di tentativi di colpo di Stato, un’altro fu preso da manie di picconatore, abbiamo scoperto poi della sua partecipazione ad una setta o se preferite agenzia, segreta finanziata dagli “alleati”, in teoria quindi una posizione, morale, peggiore di quella della P2, almeno sotto il profilo della sua lealtà verso le istituzioni che pure giurò di rispettare. Un estraneo dalla politica fu chiamato a compiti che erano un preciso compito della politica. Quella politica che si stava incartando nello scandalo di mani pulite, che stava pagando, in termini di qualità un conto salato e che stava dando al Paese il regalo della frantumazione in mille partitini. Ecco che, come nei conclavi, esce dal cilindro il nome nuovo, quello fuori dalle liste, quello che mette tutti d’accordo perchè, ufficilamente, non legato a nessun carro. Un tecnico, si disse, ma la sconfitta della politica fu chiara, se scegli un tecnico ammetti, implicitamente, che non hai nessuno in grado di fare lo stesso lavoro, nessuno che possa offrire quelle garanzie di imparzialità che il Presidente deve avere. E come, è accaduto, ecco il miracolo, l’uomo fuori dagli schemi, il tecnico, si rivela il miglior politico. La sua storia parla per lui, poteva con lo sfascio del regio esercito tornare a casa, ma restò a combattere, prese la strada della resistenza, la sua scelta fu di coraggio ed è la stessa che fecero tanti altri, oggi viene definito un traditore, già, da quale pulpito arriva l’offesa! Ma un uomo è tale perchè è diverso uno dall’altro, ecco che egli fu diverso dai precedenti, alcuni dei quali poco presentabili, altri come lo fu da chi lo seguì nella carica, più politici. Come alcuni Papi sono stati veri santi, non nel senso religioso, altri non lo sono stati.

  2. Kokab 16 settembre, 2016 at 21:11

    ciampi ci lascia ad una età nella quale non sarebbe giusto avere rimpianti, con alle spalle una vita e una carriera invidibili, diventate entrambe un patrimonio del paese.
    è stato l’esempio di quella classe dirigente di alto profilo che da sempre, pur emarginate e minoritaria, ci garantisce la sopravvivenza nei momenti di più nera disperazione.
    l’italia non è mai stata all’altezza dell’azionismo, troppo gretta, opportunista e banale, ma dall’azionismo ha avuto molto in cambio, forse più di quello che si era meritata.
    l’unica cosa che mi viene da dire nel salutare ciampi, è che sarebbe stato molto meglio se avesse fatto per sette anni il presidente del consiglio, e per un anno il presidente della repubblica.

  3. Tigra 23 maggio, 2016 at 09:21

    Ciampi è stato un presidente figlio della crisi della politica, che alla politica ha insegnato molte cose, come aveva fatto anche da premier e da ministro del tesoro.
    Non mi pare abbia debordato dal suo ruolo, come invece farà Napolitano, ma è riuscito a renderlo forte e autorevole con scelte nette e precise.
    Naturalmente non ha fatto scuola, e questo forse dimostra che era un uomo di un altro tempo.

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