le storie

Vajont: Crónica de una muerte anunciada

1.917 persone colte nel sonno 50 anni fa.

 

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Era settembre.

Mio padre, Bellunese classe 1921 con due guerre sulle spalle – quella ufficiale e quella partigiana – guardia scelta della Polstrada emigrato a Riva del Garda per servizio, inaugurò fiero l’acquisto della FIAT 600 azzurrina usata ma “scapottabile” – TN 23595 – portando Mamma e noi due figli in gita nel Zoldano a mangiare il gelato sul cono a Dont, a suo dire, capitale mondiale della specialità.   Vajont: Crónica de una muerte anunciada

Passammo al tramonto di una giornata di quelle “stanchi ma contenti” da Longarone e dalla capotte aperta della nostra cabriolet vedemmo la pianta d’un fico svettare arrogante dalla cipolla del campanile.

Iniziai, il giorno di S. Remigio, la prima media per la prima volta “unificata”.
Dopo 8 giorni, all’alba, trambusto in casa e papà, in divisa, partì angosciato salutandoci nel letto; ascoltai accovacciato incredulo davanti alla radio con mamma le prime notizie e le sentii, poi, confermate dal professor Menotti a scuola.               Vajont: Crónica de una muerte anunciada

Papà tornò a casa dopo 22 giorni e lo sentimmo imprecare ed urlare nel sonno per mesi: era arrabbiato oltre che sconvolto, lui che aveva vissuto la guerra ed aveva perso amici e parenti. Lo sentii raccontare di cadaveri vestiti del solo elastico delle mutande trovati ovunque: nel fango, nelle chiuse del Piave, sugli alberi. Lo sentii raccontare dei dialoghi telefonici con i tecnici di Venezia che consigliavano di aprire gli ombrelli agli abitanti di Longarone …

Tornai con lui a Longarone a novembre e cercai la pianta di fico sul campanile …

1.917: il numero delle vittime di 30 milioni di metri cubi d’acqua, di 10 anni di malgoverno, incompetenza, venalità, incoscienza, imbecillità umana.

 

 

 

Vajont: Crónica de una muerte anunciada

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              Segue  Vajont 9 ottobre '63 - Orazione civile,
              un monologo teatrale del 1993 di Marco Paolini.
Cliccare qui sotto per l'intero spettacolo oppure seguire questo link

Vajont: Crónica de una muerte anunciada

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5 comments

  1. Luistella 11 ottobre, 2016 at 11:02

    Lo seppi il mattino dopo andando a scuola.Allora non potevo capire che quanto era accaduto fosse la conseguenza di una criminale opera dell uomo. Pareva fosse stata una catastrofe naturale. Ho più volte visto il monologo teatrale di Paolini ed ogni volta rabbriividisco per l’emozione e la rabbia.Mi è capitato recentemente di trovare in fondo ad un baule, un’edizione de La Stampa, di quei giorni, edizione che mia madre conservo’.

  2. Kokab 6 ottobre, 2016 at 23:24

    da bambino pensavo che la diga del vajont fosse crollata, non mi ero reso conto della dinamica della strage, perchè questo è stata, e non un incidente o una disgrazia, e solo dopo molti anni ho capito come erano andate realmente le cose.
    ricordo il senso di sconcerto e di incredulità di fronte ad una vicenda che non ammetteva spiegazioni plausibili, perchè troppe persone che sapevano, che temevano a giusta ragione che potesse succedere quel che poi è successo, hanno giocato in silenzio con la vita di migliaia di esseri umani per regioni alla fine banali.
    forse allora avevo una maggiore capacità di indignarmi, e quel che oggi mi sembra abbastanza normale, o quanto meno coerente con la storia del nostro paese, mi era invece apparso come il segno di una oscena meschinità che credevo essere molto più circoscritta; non lo era.

  3. M.Ludi 6 ottobre, 2016 at 08:47

    Forse solamente il caso ha voluto che passassi da Longarone diverse volte negli anni, ma sempre scendendo dal Cadore, verso Belluno, seguendo la corrente del fiume, spesso d’estate quando la quantità d’acqua è ridotta e l’alveo si presenta spettrale, bianco, quasi a ricordare ciò che deve essere sembrato ai primi soccorritori, dopo che l’imponente massa d’acqua proiettata da sopra la diga, aveva devastato tutto. E sempre, passando, lo sguardo si è rivolto verso quell’anfratto lontano, dall’altra parte della valle, dove si erge ancora, monumento inutile alla modernità, la diga che ha causato il disastro.
    Forse ero troppo piccolo e lontano quando accadde il disastro ma ne ho solo vaghi ricordi; di sicuro ricordo che, benchè le cause della tragedia fossero già ben note al tempo, la verità ha fatto fatica a diffondersi negli anni in cui il boom economico e la crescente necessità di energia rendeva indispensabile lo sfruttamento di quelle masse d’acqua che scendono dai ghiacciai alpini.
    Poi, si sa, il tempo guarisce tutte le ferite, specialmente quelle superficiali di chi non ha vissuto sulla sua pelle certi eventi, ma li ha solo appresi dai giornali e dalla televisione. E’ per questo che trovo il racconto di Paolini (che non è stato, e lo si comprende, estraneo alla tragedia) assolutamente da vedere anche se lungo (circa 3 ore).
    In ultimo, un appunto all’autore (Primo) il quale a così tanta distanza di tempo, continua a mettere in dubbio le parole di Lucio, suo padre grande appassionato di moto, ma anche, evidentemente, intenditore di gelato. 🙂

    http://www.ansa.it/veneto/notizie/terraegusto/2015/07/11/a-dont-di-zoldo-larte-del-gelato_f7e60afb-de7e-42b4-9bc3-e4573d615937.html

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