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Multisala psicocinema: cinque film che ci insegnano come funziona la mente

 

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Il potere, la violenza, la morte e la realtà … i film possono insegnarci molto sui grandi temi della vita.

Dal Padrino a Ricomincio da capo, cinque psicologi scelgono i film che ci dicono come funzionano gli esseri umani.

 

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di Catherine Shoard, Philippa Perry, Steven Pinker, Dacher Keltner, Sue Blackmore e Susan Greenfield
(Traduzione Redazione Modus)

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Dieci giorni fa a Londra, il regista ungherese László Nemes ha presentato una proiezione in anteprima del suo film, Il figlio di Saul. Ha spiegato nella sua introdzione che se la gente non voleva rimanere per la sessione di domanda e risposta post film, per lui non ci sarebbero stati problmi, non si sarebbe offeso. Il pubblico rise educatamente. “Questa è l’ultima risata che avrete per un bel po’ “, gli disse.

Aveva ragione: Il figlio di Saul è quello che si potrebbe chiamare una visione sofferta. Situato ad Auschwitz nel 1944, mostra un giorno nella vita di un Sonderkommando, un prigioniero ebreo costretto a lavorare nelle camere a gas, ed allo smaltimento dei cadaveri. Quasi ogni fotogramma è riempito dall’oltre abbrutito volto di un uomo destinato a morire – e che già vive in un inferno.

 

 

Il film ti obbliga a fare i conti con le scelte morali tra le più da incubo che si possano immaginare. È il caso di ingannare i tuoi compagni di prigione nel fargli pensare che stanno solo andando a farsi una doccia? Si può far quadrare il dovere morale di dire la verità, con la responsabilità di non causare ulteriori traumi? Il figlio di Saul pone domande che pochi osano porre sulla condizione umana. Molti film – dal sacro al profano – provano a far lo stesso. Qui, cinque eminenti psicologi guardano alcuni film classici che esplorano come funzionano gli esseri umani.

 

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Su “Ricomincio da capo”  di Philippa Perry

‘Freud diede ai suoi pazienti la possibilità di ri-modificare i loro racconti’

 

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In Ricomincio da capo, dalla regia di Harold Ramis, il meteorologo Phil Connors vive lo stesso giorno ripetutamente. A un certo punto, ha una chiacchierata in un bar ad un bowling con due ubriachi:
Cosa fareste se foste bloccati in un posto e i giorni fossero uguali e per quanto vi sforziate e qualunque cosa non servisse a niente?“.
Ehi, sembra il ritratto della mia vita. ” gli risponde l’ubriaco, e lo fa riassumendo per molti di noi.

 

 

Freud incoraggiò i pazienti a raccontare le loro storie e ottenne che questi facessero delle libere associazioni intorno al loro racconto per scoprire come pensavano e sentivano di sé stessi. Questo diede ai suoi pazienti la possibilità di rivivere, ri-esaminare ed eventualmente rieditare i loro racconti nei termini di come si comportavano nel presente. Il nostro primo ambiente ha un profondo impatto su di noi e determina, in gran parte, come vediamo e interagiamo con il mondo.

Quando incontriamo per la prima volta Connors, interpretato da Bill Murray, è chiaro che nel suo passato qualcosa lo ha reso scontroso, sarcastico, antisociali e maleducato. È intrappolato nella difesa narcisistica che gli fa presumere d’essere superiore a tutti gli altri e vediamo la gente essere, di conseguenza, circospetta intorno a lui e non godere della sua compagnia. In psicoterapia, si parla spesso di “profezia che si autoavvera” – se ci si aspetta che a tutti non piaceremo, ci si comporta in maniea difensiva e, oplà, la profezia si avvera. Essere intrappolato nella stessa giornata è una metafora di come lui si è bloccato in questo schema.

Ricomincio da capo illustra anche la teoria delle relazioni oggettuali: la teoria di come troviamo oggetti cattivi (una influenza negativa dal nostro passato) negli oggetti che sono intorno a noi nel presente. Per trovare il nostro oggetto cattivo cerchiamo e troviamo tratti negativi anche quando, agli occhi di altri, non ce ne sarebbero affatto. Ad esempio, al festival del Giorno della Marmotta dal quale Phil fa il suo servizio televisivo dalla piccola città di Punxsutawney, lui vede solo l’ipocrisia e la farsa, mentre la produttrice televisiva, Rita (Andie MacDowell), vede la bellezza della tradizione e il piacere che questa porta alle persone. Nella teoria delle relazioni oggettuali, l’idea è che lo psicoanalista diventa un oggetto buono per il paziente, e con la facilitazione dell’analista il paziente riesce a trovare oggetti buoni dove fino a quel momento non riusciva. Rita è un oggetto buono per Phil e catalizzatrice nella trasformazione di Phil, e la sua influenza comincerà ad avere effetti. Lui scopre le gioie dell’educare se stesso in letteratura, arte e musica. Si interessa alla gente, aiutandola e diventandone amico piuttosto che respingerli e scopre che questo ha la sua ricompensa.

 

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La tradizione di Punxsutawney è che se la marmotta, chiamata anche esso Phil, può vedere la sua ombra il Giorno della Marmotta, la città avrà altre sei settimane d’inverno. Ci vorrà un bel po’ di tempo prima che Phil il meteorologo riesca a vedere la propria ombra, ma quando finalmente lo fa, il giorno miracolosamente non si ripete più e il tempo va avanti. Nella teoria junghiana, l’ombra si riferisce agli aspetti negativi che rinneghiamo della nostra personalità e che proiettiamo verso gli altri. Ci sono anche degli aspetti positivi dell’ombra che rimangono nascosti alla coscienza. Jung disse che ognuno porta un’ombra e che meno questa è incorporata nella vita cosciente dell’individuo, più scuro e più distruttivo sarà il suo potenziale.

Anche se non abbiamo il lusso di poter vivere nello stesso giorno per tutto il tempo che ci serve per riconoscere come sabotiamo noi stessi, i nostri errori hanno l’abitudine di accadere abbastanza spesso affinché noi possiamo benissimo prendere coscienza di loro. Quel che allora ci rimane della nostra vita è il tempo sufficiente per fare qualcosa al riguardo.

Philippa Perry è una psicoterapeuta ed autrice del romanzo grafico ‘Couch Fiction’.

 

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Su “Il padrino”  di Steven Pinker

‘Ciò spiega perché l’istinto alla violenza si è evoluto fino a diventare una strategia selettiva’

 

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Il Padrino non è una scelta ovvia per un film psicologico, ma la sua violenza stilizzata e faceta la dice lunga sulla natura umana.

Tranne che in zone di guerra, è straordinariamente improbabile che le persone muoiano di violenza. Eppure dall’Iliade fino ai videogiochi, la nostra specie ha sempre assegnato tempo e risorse per poter consumare simulazioni di violenza. Il cervello sembra funzionare con l’adagio: “Se vuoi la pace, prepara la guerra.” Siamo affascinati dalla logica del bluff e della minaccia, la psicologia dell’alleanza e del tradimento, le vulnerabilità del corpo e come possono essere sfruttate o schermate. Una probabile spiegazione è che nella nostra storia evolutiva, la violenza sia stata una sufficiente e significativa minaccia per il benessere che tutti doverono capirne il funzionamento.

Tra i molti sottogeneri di intrattenimento violento, uno con un richiamo perenne sia alto e che basso è il thriller hobbesiano – una storia ambientata in una zona circoscritta di anarchia che conserva i simboli familiari del nostro tempo, ma nella quale i protagonisti devono vivere al di là della portata del leviatano moderno (della polizia e della magistratura), con il suo monopolio dell’uso legittimo della forza. Gli esempi includono i western, i thriller di spionaggio, drammi di battaglia, i vari apocalissi zombie, le saghe spaziali ed i film sulla criminalità organizzata. In una economia di contrabbando, non è possibile citare in giudizio i propri avversari e concorrenti o chiamare la polizia, in modo tale che la minaccia credibile (e l’uso occasionale) della violenza è l’unica reale protezione.

Il don dei film di mafia è, naturalmente, la trilogia de Il Padrino di Francis Ford Coppola. Le sceneggiature sono una miniera d’oro di osservazioni sulla condizione umana in uno stato di natura, al di là dei vincoli delle istituzioni moderne. Quattro frasi spiccano: nella scena di apertura, Vito Corleone, dopo aver promesso di mietere giustizia sommaria per conto di un impresario di pompe funebri vittima d’essere stato abbandonato dal leviatano americano, dimostra come la reciprocità serve come il cemento delle società tradizionali: “Un giorno, e non arrivi mai quel giorno, ti chiederò di ricambiarmi il servizio. Ma fino a quel momento, consideralo un dono in occasione delle nozze di mia figlia.

 

 

Dopo la tragica morte del figlio maggiore, Vito si rivolge ai capi delle famiglie criminali rivali e spiega la razionalità strategica della irrazionalità apparente: “Sono un uomo superstizioso. E se qualche sfortunato incidente dovesse capitare a mio figlio, se mio figlio fosse colpito da un fulmine, io darò la colpa ad alcune delle persone qui presenti“. Altrove, elabora: ” Gli incidenti non capitano alle persone che trattano gli incidenti come un insulto personale.

 

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Un mafioso rivale spiega perché l’istinto alla violenza si è evoluto fino a diventare una strategia selettiva, non una sete indiscriminata di sangue o una specie di pressione idraulica: “Non mi piace la violenza, Tom. Sono un uomo d’affari. Il sangue è una grande spesa.

E per tutti i nostri impulsi da teste calde, Michael spiega la saggezza di controllare le proprie emozioni: “Mai odiare i propri nemici,  offusca il giudizio.

Steven Pinker è il Johnstone professor di psicologia della famiglia alla Harvard University.

 

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Su “Rushmore”  di Dacher Keltner

‘La dimostrazione che per salire al potere, dobbiamo unirci agli altri’

 

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Tutta l’arte, sostiene il teorico sociale francese Pierre Bourdieu, è espressione di classe sociale, dalla musica che ti piace alle decorazioni che si mettono sulle proprie pareti. Pochi film, però, hanno affrontato il divario di classe tra ricchi e poveri così fantasiosamente come il film Rushmore di Wes Anderson del 1998.

Il film si svolge alla Rushmore Academy, una scuola privata a Houston, Texas, e racconta la storia dell’amicizia tra lo studente Max Fischer (Jason Schwartzman), figlio di un barbiere, ed il ricco industriale Herman Blume (Bill Murray). Entrambi cascano per una nuova insegnante, recente vedova, presso la scuola (Olivia Williams), e ricorrono a tattiche sbagliate per vincerne l’affetto. Mentre si sviluppa questa rivalità senza tempo, il film illustra alcuni principi riguardo alla classe ed il potere scoperti dalla scienza psicologica.

Il primo principio – che la ricchezza dà luogo a comportamenti socialmente scollegati  e poco etici – è in mostra durante una festa di compleanno per i figli di Blume, che frequentano la Rushmore Academy con Max. I due figli si scaraventano avidamente su un mucchio di regali (e sono più soddisfatti da una balestra). Nelle vicinanze, la moglie di Blume flirta spudoratamente con un giovane, mentre Blume si trova lontano dal caos, languidamente lanciando palline da golf nella sua piscina sporca.

 

 

Questa scena cattura degli aspetti di recenti studi che dimostrano che individui di classe abbiente sono più disposti a comportamenti socialmente alienati ed impulsivi, compreso il travisare le emozioni degli altri, l’imprecare volgarità, il barare nei giochi per vincerne i premi ed il violare le regole della strada.

 

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Destreggiarsi nelle strutture di potere, come le scuole private, è una fonte di stress per le persone di classe inferiore, e può elevare i livelli dell’ormone cortisolo, legato allo stress. Per adattarsi a queste sfide sociali, le persone provenienti da ambienti di classe inferiore cercano gli altri ed il contatto – un secondo principio di classe e potere. Gli studi hanno trovato che sono le persone provenienti da ambienti di classe inferiore che condividono di più, cooperano, partecipano insieme agli altri con attenzione e fanno le cose che uniscono gli altri, un mezzo attraverso il quale posson avvicinarsi al potere, quando mancano i vantaggi del lignaggio e la buona famiglia. Con brillante dettaglio, il regista Anderson fa vivere questo principio nel definire la predilezione sociale di Max: la formazione di club, di tutti i tipi. Max è a capo di tutti i club immaginabili, compresa la società apicoltori, il club del kung fu ed il club di astronomia – tutte, attività caratteristiche e toccanti che rivelano il principio più profondo che è in gioco: per salire al potere, dobbiamo unirci gli altri in una causa comune.

Dacher Keltner è un professore di psicologia alla University of California, Berkeley.

 

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Su “Stati d’allucinazione”  di Sue Blackmore

‘Si gioca con la questione di ciò che intendiamo per la realtà’

 

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Stati d’allucinazione di Ken Russell si basa su un periodo selvaggio nel 1970, quando un sacco di studiosi sperimentarono con droghe allucinogene. Uno di loro, John Lilly, iniziò a lavorare con vasche di deprivazione sensoriale in cui si galleggia in acqua salata in totale silenzio, con la risultante assoluta deprivazione sensoriale e le conseguenti immagini vivide e bizzarre sensazioni.

L’eroe del film è uno scienziato chiamato Eddie (William Hurt), che inizia a sperimentare con droghe psichedeliche per esplorare altri stati di coscienza e sondare le nostre nozioni di cosa sia la realtà. A un certo punto emerge dalla sua vasca di isolamento essendo stato addirittura trasformato in una scimmia – ma io non sono così interessata a questo tipo di impossibili fantasie. Quello che mi interessa è come il film gestisce gli stati alterati di coscienza. Sappiamo che quando si prendono droghe allucinogene di questo genere, le prime allucinazioni sono speso dei semplici disegni geometrici colorati. Tunnel e spirali sono comuni, come lo sono le esperienze extracorporee e di pre-morte. Il film ha un sacco di gallerie, e uno splendido gorgo acqueo verso la fine, in cui Eddie sta per essere risucchiato nell’oblio. Questa è tutta roba da pellicola di fantasia, ma il vortice rende bene le esperienze allucinatorie, ed è anche piuttosto ben fatto.

 

 

Negli anni settanta il prof. Lilly stava cercando di comprendere la natura della realtà, ed è con questa natura che il film gioca. Cosa intendiamo quando parliamo di realtà, onestamente? Potremmo dire che sappiamo, ed è ciò che ha assunto Eddie nel film, che in effetti esiste una realtà fisica e il nostro cervello la interpreta, e che le allucinazioni non sono reali. Ma se si dà una droga allucinogena al cervello di più persone, otterranno esperienze molto simili.

Una bella scena del film è quando Eddie va ad una cerimonia di una tribù indigena in Messico. Gli viene data una pozione, lui entra in uno stato estremamente alterato e vede flussi di stelle provenienti dal suo corpo. Le stelle non sono reali, nel senso che non ci sono luci bianche che scorrono da noi, ma un sacco di persone che prendono quegli stessi farmaci vedono la stessa cosa – per cui vi è una sorta di realtà qui, un tipo di esperienza condivisa.

 

 

In studi sulla consapevolezza, lottiamo con il “difficile problema della coscienza“. Si tratta di un mistero profondo – come fanno le esperienze soggettive a derivare da attività cerebrale obiettiva? Non lo sappiamo. Molte persone, me compresa, dicono che non c’è davvero un “problema difficile“. Diventiamo dualisti nell’infanzia – pensiamo che la mente e il cervello sono separati – e questo è il motivo per cui abbiamo un problema: come può la mente derivare dal cervello? In qualche modo, dobbiamo capire come i due sono la stessa cosa. Molte persone che hanno queste esperienze allucinatorie, o sono passate attraverso degli intensi rituali, sostengono di aver raggiunto la non-dualità. La risposta non la otteniamo da questo film, ma sarebbe stupefacente se prima o poi ci riuscissimo.

Sue Blackmore è una scrittrice, docente e visiting professor presso l’Università di Plymouth.

 

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Su “Il settimo sigillo”  di Susan Greenfield

‘Ha a che fare con la psicologia delle persone – la speranza che riuscirai a star meglio, a pensare che potrai farla franca’

 

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Il film di Ingmar Bergman è forte e senza compromessi, a differenza della maggior parte dei film al giorno d’oggi. Un cavaliere, di ritorno dalle Crociate ad una Svezia appestata, è visitato dalla Morte, un personaggio pallido dal mantello nero. I due giocano una partita a scacchi, che, se vinta dal cavaliere, scongiurerà il suo decesso.

 

 

Il fatto che Il settimo sigillo sia in bianco e nero e che sia stato fatto nel 1950 è la prova del suo fascino duraturo, nello stesso modo in cui perdura quello della tragedia greca – è qualcosa che parla di valori eterni, le speranze e le paure della gente, e non dipende dalla cultura corrente. È stato satirizzato, famosamente da Monty Python ne Il senso della vita, in una scenetta in cui la Morte si presenta ad una cena in casa borghese. È divertente, ma non toglie nulla all’originale, in cui ognuno è destinato a morire alla fine. È l’opposto del lieto fine dei film che abbiamo ora.

Il film esude una sensazione scura e nichilistica e lo fa in un’epoca (gli anni cinquanta, N.d.R.)  in cui le persone sono moderate ed agiate. C’è una scena in cui uno dei personaggi, un attore, è arrampicato su di un albero, e la Morte viene per abbatterlo. Lui gli chiede chi è, e la Morte dice che è venuto per lui. L’uomo dice che non è ancora il suo tempo, ha ancora uno spettacolo da fare. La morte dice:
Ma sarà sospeso. Per la morte dell’attore“.
Tutti i sogni e le speranze che avete vengono annullate a causa della morte.

 

 

Io non sono a conoscenza se Bergman stesse necessariamente esponendo qualche particolare teoria psicologica, ma però parla del silenzio di Dio, che forse per molti spettatori suona vero. Penso che abbia a che fare con la psicologia delle persone – la speranza che riuscirai a star meglio e diversamente, a pensare che potrai farla franca nella vita.

Il cavaliere va a confessarsi e inizia a dire al prete della mossa di scacchi che sta per fare e, naturalmente, il sacerdote è la Morte. Non si può battere la morte e tutti noi, in un certo senso, stiamo a giocare a scacchi con la morte – sperando che saremo noi a non avere il cancro, a non avere un attacco cardiaco, che questo accade alle altre persone, non a noi. Penso che questa mentalità l’abbiano molte persone, e questo film lo reitera con asciuttezza. Sono una persona ottimista, e questo film mi fa apprezzare la vita a causa della sua natura altamente transitoria e arbitraria.

Susan Greenfield è una scienziata, scrittrice, e membro della Camera dei Lord.

 

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