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Italexit; stiamo lasciando l’Europa?

 

In una recente intervista al giornalista Minoli, Renzi ha ribadito quanto già detto ripetutamente in precedenza e cioè che se l’Europa (intesa come stati che compongono l’Unione) non adempirà in modo corretto all’accoglimento dei profughi secondo gli accordi sottoscritti in sede UE, a primavera del prossimo anno l’Italia porrà il veto alla ratifica del bilancio europeo, non intendendo più contribuire a finanziare Stati che non rispettano gli accordi; a questa affermazione Minoli ha controbattuto chiedendo, sostanzialmente, se fossimo in procinto di uscire dall’Europa ma Renzi non ha risposto, opponendo alla domanda un’espressione del volto che può essere interpretata in molti modi, nessuno apparentemente corrispondente ad un “No!”.

Nelle altre occasioni nelle quali il Presidente del Consiglio aveva mostrato tanta fermezza nei confronti della questione, la maggior parte dei commentatori si era espressa interpretandola come la solita “boutade”, buona per solleticare la pancia degli elettori, presenti prevalentemente negli schieramenti avversi al PD, i quali chiedono a gran voce l’uscita dall’Europa e dall’Euro, nonché il ritorno alla sovranità monetaria traguardo agognato da chi crede che se torniamo a fare da soli, facciamo come ci pare, e meglio.

Non che la vis populista manchi al nostro Premier ma avevo sempre vissuto queste interpretazioni come eccessivamente banali, buone forse per racimolare una manciata di voti, ma troppo di respiro corto: con qualche annuncio, ormai anche Renzi non può pensare di andare molto lontano e questo mostrare i muscoli mi sembrava del tutto privo di senso.     Italexit; stiamo lasciando l’Europa?

Se è vero che due indizi fanno una prova, di indizi, a questo punto ce ne sono ben più di due in quanto, a partire dalla fine dell’esperienza dei governi di transizione di Monti e Letta, i quali dopo le vicende berlusconiane avevano riportato l’Italia al rispetto rigido degli impegni assunti, sin dall’inizio Renzi aveva manifestato una certa riluttanza a restare nel solco tracciato dai suoi due predecessori, spinto dall’esigenza di ridare ossigeno all’economia e riuscire ad ottenere risultati in un lasso di tempo sufficientemente breve da giustificare il suo impegno a Palazzo Chigi nel supportare le Riforme il cui esito conosceremo all’inizio di dicembre.

Di strappo in strappo il Premier ha finito con l’essere escluso dagli incontri che contano e questo è un sintomo, non tanto del mancato rispetto verso il nostro Paese quanto della evidente volontà di una parte importante dell’Europa di iniziare a prendere le distanze da noi e preparare un possibile cammino futuro che prescinda dall’Italia.

I motivi di questa presa di distanza, in un momento in cui non siamo peraltro i soli ad approfittare con elasticità delle regole sottoscritte, sono diversi e, probabilmente, non tutti riconducibili allo sforamento dei parametri i quali, come detto, sono elusi anche da altri, Germania in testa con il suo surplus commerciale che dovrebbe contenere in limiti prestabiliti; e non è nemmeno perché abbiamo uno dei debiti pubblici più alti al mondo in relazione al PIL. Credo piuttosto che sia ormai consolidata nei governanti dei Paesi che hanno fatto blocco nel centro-nord d’Europa, l’idea che non sarà mai possibile indurre l’Italia al rispetto delle regole e questo, in un momento in cui le economie di quasi tutti i Paesi mostrano un qualche segno di sofferenza, induce a pensare che, così stando le cose, meglio abbandonarci al nostro destino che rischiare un contagio di difficile gestione.

Ci sono due appuntamenti, pressochè concomitanti, nell’agenda politica del 2018 e sono due scadenze che porteranno al rinnovo del Parlamento italiano, nonché alla più alta carica in campo finanziario all’interno dell’Unione; quella del Presidente della BCE. In una qualche misura, entrambi i momenti potrebbero rappresentare una frattura sostanziale con l’Europa, sia perché potrebbe esserci un deciso cambio di politica estera italiana se il Movimento 5 Stelle (come pare dai sondaggi) dovesse prevalere, sia in quanto, chiunque possa essere il successore di Draghi a Francoforte, è assai improbabile che la politica di Quantitative Easing da quest’ultimo intrapresa, e che terminerà nel corso del 2017, possa essere nuovamente reiterata. I motivi sono molteplici e di non breve enunciazione; fatto è che la Bce non potrà più operare massicci acquisti dei titoli dei vari debiti pubblici nazionali e ci troveremo costretti nuovamente, dopo un periodo di relativa calma, a rifare i conti con lo spread che ricomincerà a salire e centinaia di miliardi di euro di titoli in scadenza che se non saranno rinnovati costringeranno le casse dello Stato a chiudere i battenti.        Italexit; stiamo lasciando l’Europa?

L’impegno sottoscritto da Berlusconi all’apice della crisi che aveva visto nel 2011 lo spread salire sino quasi a toccare i 600 punti, e che prevedeva la riduzione annua del rapporto debito/Pil per arrivare tendenzialmente a quel 60% ritenuto virtuoso, non è stato rispettato e con una crescita economica ancora inadeguata, ci presenteremo alla resa dei conti con un rapporto addirittura aumentato rispetto a quello verificato quando sottiscrivemmo l’impegno.                             Italexit; stiamo lasciando l’Europa?

A questo punto si potrà discutere sul fatto se i soldi sino ad oggi spesi avrebbero potuto essere destinati a scopi più profittevoli ed in questo campo il dibattito è aperto ed i toni sempre elevati; dubito però che se anche la spending revue, tanto proclamata e mai del tutto applicata, avesse sortito gli effetti previsti, si sarebbe potuto reperire risorse in eccedenza a quelle correnti per poter far fronte a quei, largo circa 40 miliardi di euro annui necessari per ridurre la montagna di debito pubblico, ed è improbabile che anche quella leggera crescita che abbiamo avuto si sarebbe palesata.                 Italexit; stiamo lasciando l’Europa?

Il fatto è che i nostri problemi sono tali e tanti da non consentire previsioni ottimistiche di breve periodo e, per quanto il dirigismo di Renzi faccia pensare ad una facilità di approccio con mani libere nell’affrontare le complesse questioni all’ordine del giorno (tutti i giorni), in realtà la compagine governativa è abbastanza eterogenea e soluzioni facili non se ne sono trovate, neppure nella Riforma Costituzionale di recente approvazione.

Chi governa non può esimersi da colpe e Renzi lo sa, ma sa anche che, qualunque sia l’esito del Referendum e delle elezioni del 2018, l’Italia si troverà in tempi relativamente brevi a dover fronteggiare un conto che, senza più la presenza di Draghi al timone della BCE, potrà apparire ben più salato di quanto i nudi numeri denuncino e tutto, alla fine dipenderà da quale i tedeschi ed i loro fidi alleati considereranno essere il male minore tra il tenerci dentro sempre riluttanti nei confronti delle regole imposte dai trattati oppure lasciarci andare liberi di agire al di fuori dei confini ideali di un ‘Unione Europea che pare, ogni giorno di più, un’utopia.; almeno per noi.

 

Per approfondimenti: Italexit, i tedeschi vedono l’Italia fuori dall’euro

 

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