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I laburisti devono lottare per le elezioni, ma prepararsi per un referendum

laburisti devono lottare per le elezioni  laburisti devono lottare per le elezioni

Chiamare il popolo al voto sarà difficile e non senza rischi. Ma Labour deve farsi trovare pronto – ed evitare gli errori della campagna del 2016.

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di O. Jones
(The Guardian)
Traduzione Redazione Modus

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La tradizionale critica alla sinistra laburista era di solito questa: era composta da puristi, più dediti al principio e alla protesta che alla gestione del potere, non volendo andare oltre il voto della sua base, per ascoltare le preoccupazioni degli elettori altalenanti che deve attirare per governare.

C’è un po’ di ironia, quindi, nel fatto che coloro che hanno propagandato questa narrazione, ora affermino a voce ben alta l’esatto contrario – che la leadership laburista è composta da triangolatori senza principi, che mettono da parte il loro elettorato “di base”, non presentandosi alle marce anti-Brexit, senza riuscire a segnare un netto e chiaro insieme di valori che li separa dai Tories. È come se Jeremy Corbyn avesse un grosso pulsante rosso “Stop Brexit” in suo possesso che per ora, per dispetto,  si rifiutasse di premere.

 

I conservatori sono palesemente nel mezzo della loro peggiore crisi interna da oltre un secolo. I ribelli non sono riusciti a scalzare Theresa May, ma l’hanno lasciata umiliata e indebolita, e nel contempo sono rimasti attaccati a lei per un anno. Intanto, il suo piano Brexit è morto. Il suo annuncio che non guiderà il partito in un’ipotetica elezione del 2022, significa che inizierà di fatto una corsa alla leadership del partito conservatore. La minaccia di una divisione è reale. Eppure l’ansia insegue le fila del Labour.

Alle elezioni generali, Labour andò bene, dipingendo con tinte forti un “manifesto insurrezionale”: tassare i ricchi per investire nell’economia, rottamare le tasse scolastiche, nazionalizzare i servizi di pubblica utilità e così via. Il populismo del “popolo contro l’élite” aveva risuonato e fatto colpo e i sondaggi, inizialmente catastrofici sia per Labour che per Corbyn, salirono alle stelle. Funzionò perché i laburisti si rifiutarono di far sì che l’elezione diventasse tutta sul Brexit, che era quel che desiderava la May.

 

Ma quando il tema Brexit detta l’agenda delle notizie, Labour perde il senso insurrezionale. Le principali figure di punta del partito finiscono con l’apparire come politici cauti ed eccessivamente minuziosi; piuttosto che ricordare dei radicali da strada pronti alla contesa politica, sembrano intrappolati nel gergo tecnico che riguarda le unioni doganali e le forti relazioni sul mercato unico. Il tema Brexit inevitabilmente prosciuga l’entusiasmo che alimenta l’intero progetto Corbyn.

Poi c’è il fatto che tutte le opzioni future hanno aspetti negativi poco interessanti. Vediamole: un (secondo) referendum divisivo che avrà contro gli elettori leave nel nord e nelle Midlands? Oppure sostenere un accordo Tory modificato che potrebbe salvare la May?  Un’elezione generale in cui Labour conquista una piccola maggioranza, che lo lascia però permanentemente alla mercé di un piccolo gruppo ostile di backbencher (parlamentari senza incarico, N.d.R.) mentre si deve sorbire tutto il caos della Brexit?

 

'Quando Brexit impone l'agenda delle notizie, Labour perde il senso di insurrezione,
perde il brio della proposta, le principali figure di punta del partito finiscono per
assomigliare a politici cauti, intrappolati nel gergo di termini che riguardano unioni
doganali e relazioni del mercato unico.'

 

Labour deve continuare a dare la priorità a un’elezione generale e questo significa resistere alle aperture della May. Oltre alla necessità di affrontare le ingiustizie che hanno portato al risultato Brexit, la Gran Bretagna deve essere liberata dall’infinito psicodramma dei Tories. Chiedere il voto di sfiducia nel governo ora sarebbe un fallimento, e quelli – nei retroscena fra SNP (Partito Scozzese) e  laburisti – lo sanno. Accantonato il tema della sfiducia, un nuovo referendum diventa dunque la priorità. 

 

L’aritmetica potrebbe cambiare: se il DUP (Partito Unionista Democratico dell’Irlanda del Nord) si stufa di sostenere una May che non elimina il backstop e, tutto sommato, considera la PM una minaccia per l’Unione più seria di un governo di Corbyn; oppure se gli ultra-Brexiteers – oggi incapaci di organizzare un colpo di stato interno – decidono che un voto di fiducia parlamentare è l’unico mezzo per spostare May; o se la May si rende conto che un’elezione è l’unica via d’uscita.

 

Keir Starmer, Ministro ombra per Brexit, e Jeremy Corbyn, leader del Labour Party.

 

Parlare di un’elezione porta inevitabilmente i critici “centristi” laburisti a mettere in luce i sondaggi che danno segnali prossimi alla parità. Una domanda standard è: “Perché il Labour non è 20 punti avanti a un disastroso governo Tory?

Ma raramente chiedono perché “Remain” non sia di 20 punti sopra al disastroso progetto Brexit, poiché le due statistiche sono collegate. I Tories partono con una campagna artificialmente gonfiata perché gli elettori del leave si fidano più di loro che della sinistra per conseguire la Brexit. Labour deve di nuovo spostare la narrazione dalla Brexit alla politica interna. Questa volta sarà più difficile, ma il tentativo può essere inquadrato come risposta alla disillusione generalmente presente nella società, che ha portato in primo luogo al risultato del referendum su Brexit.

 

Ma il partito deve anche prepararsi per un referendum. Quelli di sinistra che hanno resistito alla richiesta di un secondo referendum sono spesso accusati di non averlo fatto per partigianeria, piuttosto che per la consapevolezza dei demoni scatenati dal primo referendum e per paura che mostri ancora peggiori possano emergere durante un secondo. Senza uno spostamento radicale nei sondaggi, una campagna di uscita dall’UE, che esorti gli elettori a “dirlo di nuovo”, incolpando con rabbia i “remainers” per aver rifiutato di accettare il primo risultato, potrebbe vincere di nuovo. La retorica che ne deriverà creerà etichette che faranno sembrare quelle di “nemici della gente” e  di “traditori” pacate a confronto.

 

I centristi puntano le loro speranze su una rinascita politica della causa del “remain”. Nell’ultimo referendum, tirarono fuori i giganti del business e i tipi della City, ignorando i sondaggi che mostravano che il pubblico aveva giudicato,  da 42 a 22 un anno prima, il Labour di Ed Miliband essere stato troppo debole a favore delle grandi imprese. Per cui sfoggiare i big del business fu controproducente per il remain.

Ma ci sono anche potenziali opportunità. Labour potrebbe dire ai suoi elettori che ha fatto tutto il possibile per far funzionare la Brexit. Si potrebbe dire che quel messaggio è stato inviato e che il “remain”segnerà l’inizio di una ricostruzione della Gran Bretagna. Potrebbe presentare il suo manifesto come una cura contro i mali che hanno causato lo sconvolgimento del 2016. Potrebbe dipingere i Brexiteers dei Tory come l’establishment da sconfiggere. Con un nuovo governo di sinistra in Spagna, una delle principali nazioni europee, potrebbe indicare un potente alleato per un messaggio del “rimanere e riformare“.

 

Labour avrebbe i vantaggi che l’hanno fatto crescere nelle elezioni del 2017 – come le mobilitazioni di massa in tutto il paese e l’accesso diretto al pubblico. I Tories potrebbero triturarsi a vicenda in una campagna similmente impostata, a cui potrebbe seguire un’elezione molto vantaggiosa per i Laburisti.

Il percorso verso un tale risultato è pieno di rischi e potrebbe ancora aprire il capitolo postbellico più oscuro della Gran Bretagna, ma se diventa l’ultima opzione possibile, allora deve essere preparata per adesso. Il salasso dei Tory si presta alla schadenfreude, ma bisogna resistervi, perché molto dolore deve ancora venire, e non ci sono vie facili per il Labour o o per il paese.

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