le storie

Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

 

L'esodo di Yarmouk, Siria

Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

Noi non conosciamo le guerre arabe, a malapena sappiamo che esistono, e anche quando le combattiamo pensiamo che non ci riguardino. Pensiamo però che l’Islam ci riguardi, il che peraltro è anche vero, e ogni volta che in qualche capitale europea contiamo i morti lasciati sul terreno da un attentato terroristico che falcia via vite inconsapevoli di uomini, donne e bambini, possiamo subito dopo percepire in modo quasi fisico che aumenta nell’opinione pubblica il numero di coloro che pensano che sia in atto uno scontro di civiltà che, credono i più, potremo vincere solo caricando su una tradotta del bestiame tutti i musulmani presenti in Europa per scaricarli fuori dai nostri confini, e poter poi vivere felici e contenti; pensiamo che questa sia la soluzione, e non ci chiediamo più se è possibile, se è giusto, quale sarebbe il costo economico da sostenere, e soprattutto se questa soluzione potrà mai essere efficace.

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 Nel Settimo secolo dopo Cristo, Maometto fondò l’Islam nella penisola arabica.
 Con l’espansione di questa religione, nacque un grande  regno arabo a partire
dalla penisola, che portò al collasso dell’Impero Persiano e di quello Bizantino.
Intorno al 750 questa nuova entità territoriale, chiamata il Califfato Omayyade,
divenne uno degli imperi più vasti al mondo.
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Noi pensiamo sempre più diffusamente che il problema siano i musulmani che vivono a casa nostra, non integrati, integralisti e a volte terroristi, cosa anch’essa vera, almeno in una certa misura, ma non ci curiamo di capire per quale motivo ad un certo punto, all’alba del terzo millennio, un gruppo di sauditi votati al martirio ha incendiato le torri gemelle, e perché da quel momento, con periodica ricorrenza, abbiamo cominciato a morire, prima a migliaia  sulle montagne dell’Afghanistan o nei deserti iraqeni, e poi a decine sulle nostre strade e nelle nostre piazze, cosa che prima non succedeva mai.                             Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

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La pancia e la testa

Ragioniamo con la pancia e non con la testa, con le emozioni e non col cervello, pensiamo che la soluzione sia semplice, le ruspe o le cannoniere, ma non ci sono mai soluzioni semplici a problemi complessi, e non è possibile risolvere i problemi complessi senza andare all’origine della loro complessità per afferrare e strozzare la fonte da cui sorgono; questo noi non l’abbiamo capito, pensiamo di avere un problema di ordine pubblico alla nostra portata, e invece abbiamo un enorme problema geopolitico determinato da decenni di decisioni sconsiderate prese a cavallo dell’Atlantico, che hanno messo a ferro e fuoco il medio oriente e scoperchiato un vaso di Pandora capace di trascinare il mondo ai bordi di un abisso di cui è persino difficile capire la profondità.

Abbiamo torto, oggi non possiamo risolvere nessun problema a casa nostra, se non cominciamo a ragionare nella giusta scala, se non andiamo nel cuore del vaso di Pandora per coglierne la natura e comprenderne i meccanismi, e se in questo non saremo bravi e fortunati non troveremo una soluzione, ma sarà la soluzione a trovare noi, e allora il nostro sangue non sarà versato nelle quantità omeopatiche di oggi, neppure se dovessimo vincere.

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     Mappa del Medio Oriente (cliccare immagine per miglior risoluzione)

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Il Medio Oriente in pillole

E allora proviamo ad andarci, ad oriente, cominciamo a capire le molte cose che dovremmo sapere se vogliamo in qualche modo cavarcela, e solo alla fine torniamo a guardare nel nostro cortile di casa, sperando di avere allora una mente più capace di comprendere.               Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

Il Medio Oriente ha tre caratteristiche fondamentali, è la più grande riserva di petrolio al mondo, segna in tutta la sua lunghezza un pezzo del confine sud della Russia, che è una delle potenze militari ed economiche con cui da un secolo ci confrontiamo, ed è il cuore pulsante dell’Islam, spaccato radicalmente in due da 1.300 anni.

La cesura dell’Islam è strana, perché del miliardo e mezzo di musulmani della terra il 10% sono sciiti, e tutti gli altri sono sunniti; logica avrebbe voluto che lo sciismo fosse scomparso da secoli, o che comunque la sua influenza fosse ormai irrilevante, ma non è così; gli sciiti sono essenzialmente i persiani, e se anche sono stati sconfitti militarmente e conquistati dagli arabi, li hanno sempre considerati dei pecorai, e pur all’interno dell’islam hanno conservato una identità nazionale e religiosa che non è mai andata perduta.    Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

Il destino, la storia, la geografia e la natura hanno voluto che l’Arabia Saudita e la Persia, l’Iran come lo chiamiamo oggi, fossero le due potenze egemoni del Medio Oriente, che affacciate una di fronte all’altra sulle rive del Golfo Persico si spartissero il possesso del petrolio del mondo, e che fossero le custodi delle due ortodossie islamiche, ognuna blasfema agli occhi dell’altra, e reciprocamente in guerra fra loro dal giorno successivo alla morte di Maometto.       Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

I sunniti, custodi della Mecca, ritengono che il califfo sia il capo politico di una comunità che applica alla lettera il Corano come codice civile e penale, in modi oggi più o meno radicali a seconda del paese, ma comunque in misura prevalentemente tanto più soft quanto più ci si allontana dall’Arabia Saudita, gli sciiti, che attribuiscono la suprema autorità all’Imam, discendente di Maometto, hanno invece una struttura politica gerarchicamente subordinata ma autonoma, che agisce sulla base dell’interpretazione, e non della lettera del Corano, operata dai religiosi; per quel che può contare, oggi gli sciiti si avvalgono generalmente di forme di governo repubblicane, mentre i sunniti sono prevalentemente monarchici, tanto più se geograficamente vicini al Golfo Persico.

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      In Medio Oriente, le aree di prevalenza dei due rami dell’Islam.
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L’Iran e i sauditi

Arabi e persiani sono stati nel secolo scorso e per molti decenni nostri alleati, ma la loro uscita dal colonialismo non è stata identica, anzi, è stata esattamente opposta.               Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

L’Arabia è sempre stato un paese oscurantista e retrogrado, basato sulla variante wahhabita della religione sunnita, unificato dalla famiglia Saʿūd nel 1932 dopo quasi due secoli di tentativi, e smodatamente arricchitosi a partire dal 1938 con la scoperta del più grande giacimento di petrolio del mondo. È una monarchia assoluta nella quale il Corano è di fatto la Costituzione, non esiste parlamento, le donne, ancorchè istruite e magari con un posto di lavoro, sono socialmente separate dagli uomini in modo fisico, non possono guidare l’automobile e possono andare a fare shopping solo se accompagnate dal marito, o da un parente con il quale sia vietato il matrimonio. Il livello dello stato sociale è altissimo, ma l’economia privata è ancora modesta e nell’industria petrolifera ci lavorano alcuni milioni di immigrati, di varie etnie asiatiche, che presumo non facciano una gran vita. Sono armati fino ai denti e sono sostanzialmente il nostro cane da guardia in medio oriente, come ci ha fatto chiaramente capire Trump firmando fra i suoi primi atti un contratto da 110 miliardi per armi e sistemi di difesa, forse per farsi perdonare l’accordo di Obama sul nucleare iraniano. Detto in altre parole sono ricchi sfondati e vivono nel medioevo, e poiché non c’è un modo gentile per dirlo conviene dirlo in modo diretto: sono una surreale, insensata e patologica nazione di dementi, pericolosa come uno squalo affamato, perché sono stupidi, perché sono cattivi, e perché sono ricchi.

Ben diverso il percorso persiano. Fra le due guerre il padre dello scià che abbiamo conosciuto ha iniziato a modernizzare lo stato, e un ben più forte tentativo di laicizzazione e sviluppo si è avuto nel secondo dopoguerra con il Governo di Mossadeq, che ha nazionalizzato l’industria petrolifera, facendosi per questo dare del comunista dagli inglesi, lui che era sostanzialmente un liberale, vestiva come un Lord e aveva studiato fra la Francia e la Svizzera. Poiché la nazionalizzazione era contraria agli interessi della British Petroleum, è stato in pochi anni cacciato dal governo dagli americani su mandato britannico, e se anche di ciò si è perso il ricordo, questa è stata la madre di tutte le scemenze che abbiamo fatto in Medio oriente. L’Iran è poi stato affidato alle capaci e sagge mani dello Scià Reza Pahlavi, che invece vestiva come la caricatura di un generale dell’Armata Rossa; per oltre 25 anni lo Scià è stato un tiranno sanguinario, ma era religioso quanto un repubblicano romagnolo, e come aveva fatto suo padre prima di lui ha cercato di occidentalizzare il paese e ridimensionare il potere del clero, visto che quel potere non era il suo. Ciò ha favorito la nascita di una borghesia urbana laica che è riuscita a far girare per la strada le donne senza velo e con le gambe scoperte, risultato non disprezzabile sul piano morale e civile, ma tanti ne ha ammazzati e torturati che alla fine il popolo iraniano lo ha cacciato a pedate e nel 1979 si è consegnato a Khomeyni, il quale, al popolo, gli ha immediatamente legato mani e piedi.             Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

La nascita della Repubblica islamica ci ha sfilato dalle mani, e dalle pompe di benzina, una quantità non trascurabile di petrolio, ci ha tolto un alleato geograficamente strategico, e ha fatto saltare sulla sedia la famiglia Saʿūd, che di tutto aveva voglia fuorchè di una Repubblica islamica sciita nel cuore del mondo sunnita, grande, grossa e arrabbiata: da allora nulla è stato più come prima, e la lunga serie di guerre che si sono susseguite non lascia spazio a dubbi e interpretazioni.                 Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

Sono passati quasi 40 anni, e se dal medio oriente infuocato di oggi guardiamo all’indietro il conto dei morti, impreciso e approssimativo, questo ci spiega bene perché il futuro potrebbe essere molto peggiore.

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La guerra Iran / Iraq, che tutti hanno voluto per liberarsi di Khomeyni e Saddam Hussein ha fatto 1.500.000 di morti, ha rafforzato l’Iran e destabilizzato l’Iraq. L’invasione russa dell’Afghanistan, che aveva il principale difetto di essere fatta dai russi, l’abbiamo contrastata con i mujaheddin e i morti, quasi tutti civili, sono stati forse 2.000.000: il risultato è stato la “normalizzazione” del paese operata dagli studenti coranici, e la guerra civile permanente, iniziata da Ahmad Massoūd e in corso ancora oggi. La prima guerra del Golfo, combattuta da mezzo mondo contro l’Iraq dopo l’invasione del Kuwait ha fatto relativamente pochi morti, solo 100/150.000, ma ha trasformato l’Iraq multietnico in una polveriera permanente. L’invasione dell’ Afghanistan dopo l’11 settembre si è conclusa in un pantano imbarazzante, e non sarebbe giusto dire che i mujaheddin si sono rivelati un cane che morde il padrone, perché gli afghani, buoni o cattivi che siano, non sono mai stati i servi di nessuno; i morti, secondo le stime, dovrebbero essere stati circa 350.000, ma crescono ancora quasi quotidianamente. L’Iraq è stato un capolavoro di imbecillità politica che ha replicato l’insuccesso dell’Afghanistan in tono maggiore: ha fatto esplodere il paese, per niente, e dall’esercito sbandato di Saddam una costola di al-Qāʿida ha germinato Daesh, quello che noi chiamiamo più volgarmente Isis, o Stato Islamico, sui cadaveri di 700/800.000 persone.

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Con amici così…

Per cosa abbiamo combattuto o fatto combattere? Abbiamo combattuto per il petrolio, abbiamo combattuto contro i russi e contro l’Iran, abbiamo protetto sulla base della “dottrina Carter” lo stato più retrogrado della terra, e non abbiamo neppure avuto il coraggio di metterci davvero i soldati sul terreno, con i morti occidentali necessari per vincere, sempre ammesso che questo fosse possibile. Se guardiamo al risultato finale, e ai milioni di morti inutili e prevalentemente civili di questa guerra infinita, dovremmo pur dire che forse si stava meglio quando si stava peggio, che il sanguinario Saddam, oltre a non fare nascere l’Isis, tanti morti non li avrebbe mai fatti, e che l’Afghanistan laicizzato con la forza dai russi  non sarebbe stato la palestra di al-Qāʿida e Bin Laden. Ne valeva la pena? Se guardiamo allo scenario di oggi si fatica veramente a dire di sì.

Dopo ci sono state le primavere arabe, che hanno partorito un topolino e alcuni mostri. La morte di Gheddafi ha fatto diventare la Libia una fotocopia dell’Iraq, abbiamo più guerra e più morti alle porte di casa, e abbiamo perso il gendarme cattivo. L’Egitto ha fatto un fallimentare esperimento democratico, ma è rapidamente (e fortunatamente) tornato ad essere una morbida dittatura con un nuovo Mubarack. La Siria, laica e filorussa, amica dell’Iran perché governata con la forza da una esigua minoranza sciita, è in preda ad una guerra civile atroce, dove conviene augurarsi la vittoria di un tiranno sanguinario come Assad perché gli altri sono peggiori: sono lo Stato Islamico e affini, che in questo caso combattono gli amici dei russi e diventano per questo “nostri amici”, a volte sostenuti direttamente anche dagli americani. Va detto che proprio in Siria Putin ha giocato bene le sue carte, è riuscito a mettere all’angolo lo Stato Islamico ed è diventato il dominus del conflitto, al punto di non far sembrare irragionevole, come era sempre sembrato, la salvezza dell’impresentabile Assad. Di passaggio è anche giusto ricordare che sopra la Siria ci stanno i turchi, che non sono arabi ma sono di confessione sunnita, fanno parte della NATO, e vogliono morti i curdi, prevalentemente sunniti anche loro e culturalmente tolleranti, incidentalmente nemici giurati di Daesh. Israele, un poco più a sud, si augura che schiattino tutti, e per ottenere il risultato a volte ci mette del suo.

Ma forse non è neppure questo il problema, anche se certamente è una parte importante; dobbiamo tornare sulle sponde del Golfo Persico, dove l’Arabia Saudita e l’Iran si guardano in cagnesco, e cercare meglio le fiamme che stanno uscendo da sotto la cenere, perché nel risiko infinito del Medio Oriente si stanno forse distribuendo nuove carte, per cercare di capire le quali dobbiamo fare un passo indietro e di lato.

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 L’arabo è una lingua oggi parlata da oltre 200 milioni di persone nel mondo,
                ma non tutti la parlano allo stesso modo.
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Piccoli e importanti: Yemen e Qatar

Lo Yemen attuale, l’antica Arabia felix, il paese oggi più povero della penisola arabica, si è costituito nel 1990 con la riunificazione fra il nord e il sud del territorio. All’interno della minoranza sciita del nord si è costituito, assieme al nuovo stato, il gruppo armato degli Huthi, che dopo alterne e sanguinose vicende, compresa la Primavera araba, si è schierato con l’ex Presidente Ṣāleḥ, precedente alleato dell’Arabia, contro il Presidente in carica Hādī , diventato il nuovo paladino dai Sauditi. Questi nel 2015 sono intervenuti militarmente, con una coalizione di altri dieci stati sunniti, con l’intento di eliminare gli Hunti e riprendere il controllo del paese. Perché lo hanno fatto? È così importante la leadership dello Yemen per l’Arabia? Difficile rispondere, ma sicuramente l’ossessione per l’Iran, a torto o a ragione accusato di armare e sostenere gli Huthi, assieme a Siria e Corea del Nord, ha avuto il suo peso. In ogni caso l’intervento della coalizione sunnita, soprattutto dal cielo, non ha avuto gli effetti sperati, probabilmente perché è stata una sorta di Desert Storm dei poveri, e oggi si è del tutto impantanata per l’incapacità degli invasori di accettare lo scontro sul terreno, mentre i combattenti Hunti si spingono per decine di km all’interno del territorio arabo. Naturalmente la coalizione non è affatto povera, almeno non lo sono i paesi del Golfo che la compongono, ma nessuno vince solo dal cielo, e nonostante le migliaia di vittime civili rimaste sotto le bombe, oggi lo Yemen ribelle è il vincitore politico e militare della guerra, anche perché gli basta pareggiare.

Questa guerra minore, combattuta nel silenzio e nell’indifferenza generale, salvo che da parte di Al Jazeera, libera di dire quello che vuole in politica estera, è diventata molto più importante all’inizio dell’estate, quando Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein hanno deciso un blocco economico e diplomatico ai danni del Qatar. Quale fosse la colpa di Doha non è forse apparso subito chiaro, ma tutti lo hanno poi capito quando sono state presentate le 13 condizioni non negoziabili per rimuovere il blocco da parte di Sauditi & friends, nessuna delle quali pare accettabile. Leggere per credere, almeno quelle più significative: allentare le relazioni diplomatiche e la cooperazione militare e di intelligence con l’Iran, chiudere una base militare turca in costruzione, tagliare i legami con organizzazioni definite “terroriste, settarie e ideologiche,” comprese la Fratellanza Musulmana, lo Stato Islamico, Al Qaeda, gli Hezbollah libanesi e Fateh Al-Sham (ex Fronte Al-Nusra), chiudere il network mediatico di Al Jazeera e tutte le sue emittenti affiliate, interrompere le ingerenze negli affari interni degli altri stati, allinearsi militarmente, politicamente, socialmente ed economicamente con gli altri paesi del Golfo.

Non c’è naturalmente un legame diretto fra Yemen e Qatar, visto che non bastano i servizi di Al Jazeera per giustificare l’ultimatum, ma legami indiretti certo non ne mancano, almeno sulla pretesa egemonia saudita e sulla questione iraniana, stato col quale Doha intrattiene rapporti di buon vicinato. La cosa innervosisce così tanto Riyad, che non si può non notare la sfacciataggine di fare la voce grossa anche con la Turchia, osso evidentemente troppo duro da rodere e poco accondiscendente,  in relazione alle cospicue relazioni economiche che intrattiene col Qatar; che poi siano i sauditi a far la morale a chicchessia per pretesi rapporti con i gruppi terroristi, loro che non esitano a foraggiare qualunque integralista che combatta gli sciiti ovunque si trovino, è poco più che una barzelletta. Resta il fatto che l’interminabile crisi iniziata nel 1979 è oggi al suo punto più critico, non solo perché fra Iran e Arabia non è rimasto nessuno, e il confronto appare ormai diretto, ma soprattutto perché il tempo ha prodotto i suoi effetti, e il medio oriente è diventato, diversamente dal 1979, un cimitero a cielo aperto, infuocato, destabilizzato e preda come non mai di tutti gli integralismi.                         Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

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  Forze di polizia prendono parte ad un finto attacco esplosivo suicida come
 parte delle misure di sicurezza per il campionato di calcio Euro 2016, nella
                 zona dei tifosi dello Stadio di Lione.
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Medio Oriente e Occidente

Sospendiamo ora per un momento il bollettino di guerra, e proviamo a farci qualche domanda. Veramente noi pensiamo che i musulmani presenti in Europa, inseriti nel mercato del lavoro ma non nella società e nella cultura, siano il vero problema, anche considerando la trascurabile percentuale di quelli che fra loro diventano terroristi? Crediamo davvero che il terrorismo sarebbe esistito senza la totale destabilizzazione del medio oriente? Siamo convinti che se non ci fossero stati musulmani in Europa, in presenza della destabilizzazione di questi anni, non ci sarebbero stati attentati? Vogliamo credere che se cacciamo tutti i musulmani dall’Europa, in questa situazione, il terrorismo finirà? Pensiamo davvero che interi popoli che non hanno niente da perdere, e che sono disposti a morire per ammazzare qualcuno di noi, non lo faranno in qualche modo, in ogni caso e per sempre? Non sono domande difficili; si risponde con un sì o con un no.                  Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

E ancora, vogliamo cominciare o no a dire che il nostro principale alleato, la monarchia wahhabita, a tutti gli effetti un disgustoso residuo di medioevo, ha fornito l’ideologia, le risorse, la leadership e anche la manovalanza per il terrorismo? È davvero meglio della teocrazia iraniana, che mai ha mandato un terrorista a fare stragi in Europa? Intendiamoci, le teocrazie fanno schifo comunque, ma a parte la diversa vitalità della società civile persiana, avanti di qualche secolo rispetto a quella araba, in Iran si vota, esiste il dibattito politico e c’è l’idea della maggioranza e dell’opposizione, che in Arabia è più blasfema di un prosciutto alla Mecca.

Non vogliamo ammettere che oggi lo Stato islamico sta arretrando grazie a Putin, ad Assad, ai Curdi e agli sciiti iraqeni, che hanno lucrato l’odierno ruolo egemonico grazie al fatto che Saddam era sunnita? Non siamo capaci di dire che la spallata ad Assad di Obana e Hillary Clinton, clamorosamente fallita, è stata un’idea stupida quasi quanto quella di bastonare l’Armata Rossa in Afghanistan? Vogliamo finalmente considerare l’ipotesi che i curdi abbiano ragione, e i nostri alleati torto? Vogliamo dire al sultano di Ankara, ai satrapi di Riyad e al governo iraqeno che i loro nemici sono la quarta etnia del medio oriente, sono più di 30 milioni, e hanno un tasso di cultura e di civiltà che loro se lo sognano? Possiamo considerare il fatto che la sconsiderata quantità di ricchezza nelle mani di un ristretto branco di primitivi, liberi gli uni e l’altra di circolare nel mondo, può costituire, nel tempo, un problema di una qualche serietà?                                Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

Ricapitoliamo partendo da Est, l’Afghanistan è in guerra dal 1980, l’Iraq è civilmente distrutto, ed è ancora parzialmente controllato da Daesh, Iran e Arabia scaldano i muscoli da decenni, e oggi sono un po’ più nervosi di sempre, avendo anche esaurito le interposte controfigure, lo Yemen si gode contemporaneamente una guerra civile e una guerra di conquista, la Siria, oltre alla guerra civile e alla guerra contro Daesh, ha ridato slancio, potere e prestigio a Putin, cosa alla quale non riusciamo evidentemente ad abituarci, la Turchia l’abbiamo lasciata scivolare nell’integralismo religioso, senza nemmeno riuscire a garantire un colpo di stato decente sul modello egiziano, la Libia, quasi nel nostro giardino di casa, l’abbiamo fatta diventare la terra di nessuno, solo per scoprire che è persino possibile rimpiangere Gheddafi, e in tutto questo il problema, lo dico con tutto il cinismo necessario, sarebbero i morti di casa nostra?                                Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

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  Preghiere ad una riunione commemorativa presso la vecchia borsa di Bruxelles.
  Foto di C. Hartmann        (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

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I nostri morti

I morti di casa nostra, uomini, donne e bambini, ammazzati in modo brutale e crudele, inconsapevoli della propria fine e della ragione che l’ha determinata, sono l’ultimo effetto della marea di cazzate che abbiamo fatto nell’ultimo secolo. Se continueremo a farne altri ce ne saranno, e ci sarebbero anche se pagassimo il prezzo morale e civile, oltre che economicamente rovinoso, di cacciare tutti i musulmani dall’Europa, che poco si sono sempre integrati, ma non per questo si facevano saltare per aria nelle nostre strade per il piacere di ammazzarci. Cosa vogliamo fare, entrare in guerra a fianco dell’Arabia contro la Persia per vedere cosa fanno i russi, in un mondo dove oggi gioca anche la Cina? So benissimo che sto facendo domande senza dare risposte, perché è vero che siamo in mezzo al guado e nella parte più profonda del fiume, ma senza le domande giuste si trovano solo le risposte sbagliate.

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C’è infine un’ultima cosa che credo sia giusto dire; noi abbiamo con l’Islam, dentro e fuori da casa nostra, un rapporto ambiguo e irrisolto, che porta quelli come Trump a baciare sulla bocca i sauditi, e la sinistra terzomondista a tollerare nefandezze culturali e civili che dalla religione cattolica non accettiamo più da decenni, come se questa sinistra stesse parlando ad un inesistente buon selvaggio, che è inesistente solo perché cattivo.

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Su questo io credo che si dovrebbe essere chiari, perché non è affatto una questione di fede, ma è una questione culturale, filosofica e politica. Ci sono solo due paesi musulmani che hanno firmato nel 1948 la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l’Afghanistan e la Siria, per ragioni che qui sono del tutto inessenziali. Gli altri, guidati dalla famiglia Saʿūd, non l’hanno firmata perché è in contrasto con l’Islam, lo è veramente peraltro, e hanno poi prodotto la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, sulla quale l’unica cosa che si può dire l’ha detta Paolo Villaggio chiosando la corazzata più famosa della storia del cinema. Non è una questione di fede perché è uno scontro fra il concetto di laicità e quello di teocrazia, e non c’è alcun dubbio sul fatto che l’illuminismo sul punto avesse ragione.                                   Le infinite guerre arabe ed i nostri morti

Partiamo da qui, diciamo che a casa nostra, che deve essere aperta, inclusiva e tollerante, questo principio deve valere sempre e per tutti, e cominciamo a dire che sarebbe molto meglio se i nostri amici e alleati a queste regole basilari si attenessero anche a casa loro, e se no che cambi qualcosa fra noi e loro. Non si tratta di esportare la democrazia, abbiamo visto che non funziona, come se ci fosse stato bisogno della prova per saperlo, ma usare in modo strumentale un branco di primitivi, i sauditi, solo perché c’erano i comunisti, e oggi ci sono i russi, ci ha costretto a lasciare una amara eredità alle prossime generazioni: la responsabilità per il passato di svariati milioni di morti, alcuni dei quali sono nostri, non solo loro, e per il futuro una prospettiva anche peggiore del passato, unita all’incapacità di capire come evitarla. Si dice che il denaro non puzza, ma non è vero, nel nostro pieno di benzina si sono ormai sciolti troppi cadaveri perchè possa essere rimasto innocentemente asettico.

 

 

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