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Donald Trump e il sovranismo in tutti i paesi

Donald Trump e il sovranismo in tutti i paesi

In un’Europa distratta da migranti e confini, oltre che dal rito quadriennale dei mondiali di calcio, Donald Trump si è fatto un giro in Inghilterra, drammaticamente alle prese con la Brexit, e come suo costume  è entrato a gamba tesa sia sugli specifici problemi britannici, sia su quelli dell’Unione e del suo futuro.

 

Lo storico alleato inglese non sta passando un momento felice, le trattative con l’Europa sono in una fase di stallo certamente non favorevole ai britannici, la pubblica opinione è sicuramente più tiepida di due anni fa rispetto alla scelta del Leave, Corbyn gode di buoni sondaggi, e i due leader conservatori più schierati sulla hard Brexit, Boris Johnson e David Davis, si sono appena dimessi in dissenso con Theresa May, accusata di eccessiva accondiscendenza verso Bruxelles.

 

I due ministri britannici che si sono dimessi: Boris Johnson (Esteri ) e David Davis
(negoziati Brexit)

 

In situazioni del genere i politici normali scelgono sempre il basso profilo e la massima prudenza, ma siccome Trump non lo è, normale intendo, non politico, ha fatto l’esatto contrario, e per prima cosa ha rilasciato un’intervista al Sun, dichiarando che l’arrendevole Theresa non aveva seguito i suoi consigli e aveva sbagliato tutto, determinando condizioni impossibili per futuri trattati di libero scambio fra Stati Uniti e Inghilterra.

 

Quest’uscita, che evidentemente rafforza le posizioni dei due ministri dimissionari, è stata prontamente ribaltata da Trump, che ha poi come suo costume dichiarato anche il contrario, dicendo che i rapporti con la May sono eccellenti, e che sicuramente la Brexit, che farà nascere un’Inghilterra indipendente “sarà una benedizione per il mondo”, e consentirà la stipula dei quei rapporti di libero scambio di cui aveva denunciato la fallimentare prospettiva il giorno prima. Spesso Trump smentisce le cose che dice, ma difficilmente non si intuisce la sua idea, e il fatto che la stessa May abbia dichiarato che Trump le ha consigliato di fare causa all’Unione Europea, invece che trattare, ci dice che il presidente americano è sicuramente uno dei maggiori hard brexiter in circolazione.

 

 

Per chiarire ancora di più il pensiero e l’intento di Trump bisogna poi ricordare quello che ha detto con stile analogo su altri due fondamentali questioni, la NATO e l’Europa. Sulla prima, aveva dichiarato a Bruxelles di essere disposto ad uscirne se i paesi europei non aumenteranno il budget della difesa; sulla seconda a Londra ha detto papale papale che l’Unione è un nemico degli Stati Uniti, sotto il profilo del commercio evidentemente, nel quale si regola come la Cina. In particolare poi i tedeschi, che comprano gas dai russi, sono i più mascalzoni di tutti, e vengono esplicitamente accusati di intelligenza con il nemico, dal quale gli Stati Uniti li devono anche difendere.

 

 

Naturalmente l’Europa per bocca di Donald Tusk si è affrettata a dichiarare il contrario, ma per essere realmente amici bisogna avere interessi convergenti, e oggi resta tutto da dimostrare che “l’America first” di Donald Trump possa avere gli stessi interessi dei suoi alleati europei. La punta dell’iceberg è ovviamente lo scontro sui dazi, che Trump ritiene legittimi da parte americana, e illegittimi da parte dei paesi europei e della Cina, questione perlomeno controversa, ma sotto ci sono sicuramente altri fondamentali problemi, che il presidente americano affronta in modo apparentemente disorganico, ma a mio modo di vedere con un disegno più che coerente.

 

La prima questione riguarda l’indagine del procuratore Mueller sulle interferenze elettorali dei servizi segreti russi nella campagna presidenziale del 2016, che in occasione dell’incontro di Helsinky con Vladimir Putin è stato derubricato a semplice farsa: la cronaca è surreale e racconta del presidente russo che nega decisamente il fatto, e ci mancherebbe altro, mentre il presidente americano di fronte ai giornalisti attoniti dichiara di credere più a lui che non ai servizi segreti e agli organi giudiziari del suo paese, che hanno incriminato per l’accaduto dodici spie russe. In cambio di questo riconoscimento Putin ha incassato il sostanziale via libera sulla Crimea, ovviamente con grande scorno dell’Ucraina, e dell’Europa che per Kiev ha sacrificato per qualche anno il commercio con i russi. Difficile immaginare un altro precedente tanto irrituale nella storia della diplomazia moderna, e non è un caso che alle reazioni sdegnate dei democratici si siano aggiunte anche quelle di molti politici influenti repubblicani.

 

Il Senatore repubblicano dell'Arizona, John McCain, ha espresso forse il più severo dei
rimproveri, definendo la conferenza stampa "una delle più vergognose esibizioni di un
presidente americano che si ricordi".

 

La seconda riguarda lo scacchiere medio orientale, nel quale Trump ha prima iniziato a destabilizzare l’Iran ritirandosi dall’accordo sul nucleare di Obama, fra gli applausi di sauditi e israeliani, per poi accordarsi con Putin nella gestione della crisi, affidandogli di fatto una delega molto ampia che prevede anche un’alleanza fra la Turchia sunnita e l’Iran sciita, oltre che il definitivo sostegno ad Assad: il fatto che le due opzioni attivate dal presidente americano siano fra loro evidentemente contraddittorie non sembra turbarlo minimamente, e sono coerenti con lo stile e il modus operandi con il quale Trump ha iniziato a disgregare l’assetto geopolitico del pianeta nel quale siamo sempre vissuti.

 

Il fine reale di tutte queste mosse ormai non più sorprendenti, al netto dell’evidente interesse privato del presidente americano su russiagate, a me pare assolutamente trasparente.

 

Trump è un sovranista che non solo si è accorto che nel mondo globalizzato gli Stati Uniti non godevano più della posizione economicamente dominante di cui avevano beneficiato negli ultimi cinquant’anni del secolo scorso, ma ha anche capito che per recuperare prestigio e potere non devono rimanere nel mondo costruito dopo Yalta, dal quale è sparito l’impero sovietico, nel quale non c’era la Cina, e l’Europa è stato un soggetto politicamente debole e per una lunga fase economicamente marginale. Che Trump abbia torto o ragione ce lo dirà il futuro, ma certamente non può sfuggire a nessuno, e di sicuro non sfugge a lui, che nel quadro di ogni possibile rapporto bilaterale, gli Stati Uniti sono sempre il paese più forte sulla terra, e sono vincenti contro chiunque. Che poi nella gabbia delle alleanze abbiano più da rimettere che non da guadagnare è una questione che non saprei dirimere, ma non c’è dubbio sul fatto che Trump l’abbia risolta in una chiara direzione.

 

In quest’ottica molte delle scelte di Trump trovano una logica, e vanno al loro posto come le caselle di un puzzle. Dopo il crollo del comunismo gli Stati Uniti erano rimasti l’unica superpotenza inserita in una rete di alleanze che ne condizionava la sovranità e le scelte, e oggi per la prima volta si trovano a ragionare e comportarsi come se ciò non fosse vero, prendendosi la stessa libertà di movimenti di cui godono Russia e Cina, che sovranisti lo sono da sempre e non hanno mai mediato il loro interesse nazionale sulla base di vincoli determinati da alleanze esterne. Il Trump che a Helsinki si comporta come Putin è una scena inimmaginabile per un presidente americano, ma è anche inimmaginabile che in Russia o in Cina un ex capo dei servizi segreti (Brennan in questo caso, ex-direttore della CIA dal 2013 al 2017) dia direttamente dell’imbecille al suo presidente commentando l’esito del vertice. È chiaro che qualcosa è cambiato in modo radicale, ed è altrettanto chiaro che oggi Trump rappresenta solo una parte dell’America, forse maggioritaria e forse no, e ormai ben poco il resto del mondo occidentale. In questo senso lo scarto con Obama, che pure aveva dato il via al disimpegno americano senza abbandonare formalmente il suo ruolo di leader dell’occidente, è di solare evidenza.

 

 

Nelle nuove geometrie che si stanno disegnando l’America dalle mani libere è vincente nei confronti dei suoi tre competitori. La Russia è una potenza militare, come tutte molto meno potente di quella americana, ma è ancora economicamente un nano che vive essenzialmente di materie prime, ma non ancora di tecnologia: non essendo più il paese guida di un impero comunista è molto meno pericolosa, e può essere derubricata dal ruolo di nemico a quello di semplice avversario. L’Europa al contrario è economicamente molto più temibile, è molto meno fedele e affidabile di prima, ed è militarmente troppo debole rispetto al suo peso economico nello scacchiere internazionale per essere un alleato veramente utile. La Cina è il competitor di oggi, e probabilmente il nemico di domani, perché coniuga le qualità della Russia e dell’Europa, rispettivamente la compattezza dell’apparato statale e il forte sviluppo economico, con una potenza demografica fuori scala e una capacità organizzativa e civile che ha reso per la prima volta possibile sul piano dell’efficacia e dell’efficienza la convivenza fra il capitalismo e un regime comunista. Noi oggi consideriamo normale che un paese comunista si possa comprare il debito pubblico americano, ma forse l’America ha cominciato a considerare molto inquietante  questa situazione.

 

Che l’Europa sia l’anello più debole di questa catena mi pare abbastanza evidente, sia perchè è una costruzione politica in divenire, oltre che in ritardo sulla tabella di marcia, sia perché la crisi economica ne ha scardinato l’assetto acquisito e l’ha portata a riscoprire il sovranismo in ogni paese, come se la sua storia non fosse stata marchiata a fuoco dalle identità nazionali, e come se il sovranismo dei singoli stati potesse valere e pesare come quello dell’Europa intera. Su questo ventre molle Trump ha puntato il suo attacco, perché non c’è dubbio che nel confronto bilaterale fra i sovranisti il più forte vincerà sempre. Per questo si fatica a comprendere come in un mondo dominato da paesi che hanno dimensione continentale e sovranità di ferro, ci siano quelli che cercano una sovranità di coccio pensando di poter stare meglio.  C’è qualcosa di irrazionale e incomprensibile in questa corsa alle piccole patrie scatenata dall’impoverimento asimmetrico figlio della globalizzazione e curato con la paura dei migranti: l’Europa non può affrontare la sua crisi e le sue paure coi sistemi di Trump, di Putin e di Xi Jinping, ammesso e non concesso che possano funzionare, perché non ha la loro forza combinata economica e militare, perché non ha la loro capacità di muovere e decidere, e perché non ha la loro identità politica e culturale, avendone almeno una decina. Eppure sta cercando di farlo.

 

 

La competizione nel mondo globalizzato e multipolare ci sarà, c’è già, ed è del tutto ovvio che il sovranista Trump, che compete con altri grandi stati sovrani, vada alla ricerca dei sovranisti europei, che siano inglesi, polacchi, ungheresi o italiani, perché col loro successo renderanno l’America sempre più forte; è meno ovvio che questi sovranisti, che nella condizione attuale a lume di logica neanche dovrebbero esistere, pensino di essere Trump e di essere americani, perché nel mondo di oggi la realizzazione del loro sogno porterà solo all’irrilevanza politica dell’Europa, cancellando l’unico percorso che avrebbe potuto creare i presupposti per competere politicamente, economicamente e militarmente con gli altri tre grandi stati oggi esistenti sulla terra.

 

 

Se l’Europa continuerà a svoltare verso gli Orban e i Boris Johnson, verso i Salvini e le Le Pen, verso i Kurtz e i Seehofer, spinta da Trump che soffia sul fuoco, difficilmente potrà proseguire il suo faticoso cammino verso l’unità, e se tornerà ad essere il continente degli stati nazionali contro i continenti degli stati sovrani perderà la partita che Stati Uniti, Russia e Cina stanno oggi giocando, avviandosi rapidamente verso il declino: il sovranismo in tutti i paesi, che richiede le teorie politiche rozze ed elementari che oggi incontrano sempre più spesso il favore degli elettori, si riduce alla fine alla legge del più forte, e diventare più deboli per essere forti è chiaramente uno stupido ossimoro.  Trump, Putin e Xi Jinping lo hanno sicuramente ben compreso.

 

 

 

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