le muse

L’eccelso Palladio sulle rive del Po

Dettaglio de Retrato de un hombre (Andrea Palladio) di El Greco, 1575  Statens Museum for Kunst, Copenhagen

 

Chissà se, smunto e schivo, Palladio, nel corso della sua vita non facile né felice, si rese mai conto per un attimo di aver usato una dolcissima violenza ai dettami dei classici, divenendone l’interprete più trasgressivo e perfetto, e consegnandoci molte tra le opere più preziose di ogni tempo.
Con la sensibilità di un cieco, ispirandosi a Vitruvio, Palladio trasformò l’architettura in musica, poesia e pittura, perché il suo genio immanente, il fuoco che aveva dentro e che lo consumò sin da giovane, gli fece sbarazzare gli ordini e i calcoli, e gli fece inventare una prospettiva e dei giochi di luci innovativi, tuttora travolgenti, per chi s’avvicina alle ville e ai palazzi nati dal suo ingegno.
Palladio era veneziano, nato da una famiglia detta appunto “ della Gondola”, da una madre zoppa e da un padre poverissimo. Poco più che un bimbo, fu messo garzone scalpellino in una bottega d’arte, ma divenne il più grande e talentuoso architetto che l’occidente conosca.
Le sue ville, i suoi palazzi, le chiese e basiliche sono raccontati nel suo trattato d’architettura: una lettura piacevole tuttora, se si ha voglia d’immergersi in 4 tomi che, nonostante la forma lessicale antica, sono di godibilissima compagnia. Secoli dopo, dovendo progettare l’abitazione del Presidente degli Stati uniti d’America, la casa bianca, gli americani si ispirano all’esile architetto veneto e al suo trattato.

Casa Bianca - Washigton D.C. - Progettata dall'architetto irlandese James Hoban il quale prese spunto dichiaratamente dalla Leinster House, sede attuale del Parlamento della Repubblica d'Irlanda, a sua volta ispirata dalle realizzazioni del Palladio

Tra le opere di Palladio, chiese, ponti, palazzi civici a Venezia, Vicenza e sulla Riviera del Brenta, spiccano le grandi ville, i cui ricchissimi e potenti committenti si piegarono allo schivo artista, simbolo di eleganza, leggerezza, raffinatezza.
Tra le ville che meritano una giornata fuori porta emerge, nel delizioso comune di Fratta Polesine, tra
Verona e Rovigo, la splendida Villa Badoer, detta la Badoera.
Villa Badoer fu realizzata dal Palladio nel 1557, al centro del borgo, sulle fondamenta di un castello medievale di Salinguerra d’Este. Nel 1996 è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità.
Una sorte di leggero innalzamento del terreno la colloca in posizione ariosa e sopraelevata: le deflagranti esondazoni di fiumi e canali, che hanno caratterizzato il passato antico dei polesini, quello rodigino e quello parmense, suggerirono all’architetto di costruire la dimora su un basamento di pietra.

 

Veduta aerea di Villa Badoer, "La Badoéra" - Fratta Polesine (RO)

 

Gli studi approfonditi del Palladio certo non potevano essere scevri dal conoscere che il luogo prescelto dagli sposi per la pro scenica villa, era, migliaia d’anni prima, abitato dalla civiltà delle terramare. Il consiglio fu colto dagli illustrissimi committenti francesco Badoer, nobile veneziano e dalla sua altrettanto nobile consorte Lucetta, figlia prediletta di Francesco Loredan. Ella aveva ricevuto in eredità dal padre proprio la spaziosa distesa detta della” Vespara” in località Fratta.

 

Scalinata d'ingresso a Villa Badoer - Fratta Polesine (RO)

 

Per gli sposi Palladio progettò lo scenografico corpo centrale con pronao e frontone, dal quale scendono mobili ed estremamente voluttuose, le due scale che, quasi toccandole, conducono alle grandi barchesse laterali. Esse suggellano il prato, in un’incantevole gioco teatrale che rende la Badoera una delle più affascinanti ville venete.
Per l’interno non si badò a spese: la grande sala nobile venne affrescata dal Giallo fiorentino, con interi dialoghi mitologici e cornici decorative di impronta classica.

 

Villa Badoer - Veduta d'interno affrescata da Jacopo del Giallo, detto anche Giallo miniatore o Giallo fiorentino - Fratta Polesine (RO)
  (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

Nei secoli successivi la presenza della “badoera”, quasi fosse una bellissima donna, attira il desiderio di molte ricche famiglie venete e , attorno, vengono realizzate altrettante dimore spettacolari, quasi ancelle più giovani della Dea centrale: Villa Molin-Avezzù, Villa e Parco Labia, Villa Dolfin, Casa Divina Provvidenza, Palazzo Dolfin Boniotti, Palazzo Campanari Villa – Cornoldi ora Fanan, Palazzo Lippomanno Monti -, Villa Davì , Villa Oroboni.
Le frequentazioni di nobili, ricchi e intellettuali, fecero di Fratta e delle sue ville, nei primi anni del 19esimo secolo la sede occulta di una organizzazione carbonara sorta contro il dominio del Regno Lombardo-Veneto.
I moti di Fratta portano nomi illustri e vengono rievocati in costume nelle ville attorno alla Badoera ogni novembre. Nel 1818, infatti, in una notte nera e brumosa, nelle stanze della fascinosa contessa Cecilia Monti di Fratta vengono fermati e arrestati i nobili patrioti Antonio Fortunato Oroboni, Angelo Gambato, Antonio Francesco Villa, don Marco Fortini, Giovanni Monti, Antonio e Carlo Poli, Giacomo, Federico e Sebastiano Monti, Domenico e Antonio Davì, Vincenzo Zerbini, Domenico Grindati, tutti facenti parte del movimento carbonaro.
Processati per alto tradimento, sopporteranno il carcere duro dello Spielberg. Ancora oggi nel sottoterra frattense, tra le ville, si trovano passaggi nascosti e cunicoli utilizzati dai carbonari, unico angolo della cittadina che non può essere visitato.
A Fratta nacque, da specchiata famiglia borghese, Giacomo Matteotti, rapito e assassinato dalla cheka, squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini. Proprio nel giorno del suo rapimento il giovane, giornalista e segretario del partito socialista italiano, doveva tenere un discorso dirompente alla camera dei deputati. Anche la casa di Matteotti può essere visitata.

 

Mulino Al Pizzon- Fratta Polesine (RO)

 

Per chiudere la giornata tra gli echi del Palladio in quel di Fratta, è infine consigliabile fermarsi ad ammirare un reperto paleo industriale : l’antico mulino “Pizzon” trasformato in ecomuseo e ristorante, dove si può gustare ancora la fagianella alla creta e pane alla munara, senza lievito.

 

 

 

 

Festa di San Martino a Fratta Polesine durante la rievocazione storica dei fatti del 1818 culminati con l'arresto di alcuni carbonari poi imprigionati allo Spielberg

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

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