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Non attribuire il declino della democrazia all’ignoranza. Il problema è più profondo

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Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, è un maestro nel prendere singole istituzioni e regole da una varietà di Stati membri dell'UE per costruire ciò che è stato giustamente definito un "Frankenstato".

 

Fare luce sulle azioni dei leader autoritari non è sufficiente: i media devono concentrarsi sulle tendenze che sono alla base delle notizie quotidiane

 

di Cas Mudde
(The Guardian)
Traduzione Redazione Modus

 

 

La democrazia è in crisi e, per alcuni la colpa è dell’ignoranza. Prendi lo slogan di un importante quotidiano americano: “Le democrazie muoiono nell’oscurità“. Rappresenta una risposta semplicistica all’aumento delle forze autoritarie e populiste in tutto il mondo. La ragione della sua popolarità è indubbiamente il suo fascino per la logica illuminista, per la quale la conoscenza significa potere e progresso. L’argomento è, se la gente sapesse solo quanto siano pessimi i politici come Donald Trump, si allontanerebbero da loro e la democrazia sarebbe salva.

Non vi è dubbio che la trasparenza è vitale per la prosperità della democrazia liberale, ma ciò non significa che questa crei una democrazia liberale, né che la sua assenza uccida la democrazia liberale – come dimostrano secoli di governo nazionale e decenni di democrazia europea. Il problema di questa idea è che si basa su una vasta gamma di false assunzioni, soprattutto su quella per cui solo una luce splendente porterà all’illuminazione.

In realtà, poche democrazie sono morte nell’oscurità. Anche il caso paradigmatico della Germania di Weimar, nella quale Adolf Hitler è salito al potere con mezzi democratici, per abolire successivamente la democrazia e gettare il mondo nell’abisso più mortale della storia, non è accaduto nelle “tenebre”. Tutti sapevano, o avrebbero dovuto sapere, ciò che Hitler rappresentava. Il suo bestseller Mein Kampf, che ha scritto in prigione dopo un fallito colpo di stato, sarà anche stato scritto male, ma ripete le sue idee antisemite e antidemocratiche fino alla nausea. E ha smantellato il sistema democratico mentre i media indipendenti erano ancora vivi e vegeti.

Più recentemente, i leader autoritari hanno raramente abolito la democrazia liberale durante la notte. Hanno piuttosto eliminato, lentamente ma progressivamente, le fondamenta liberali, e solo in seguito le sue basi elettorali. Da Recep Tayyip Erdoğan a Vladimir Putin, e da Niclás Maduro a Viktor Orbán, le democrazie liberali vengono attentamente e spesso cautamente smantellate, pezzo per pezzo, sotto i riflettori dei media relativamente liberi e indipendenti, almeno all’inizio. Questi leader esprimono apertamente i loro impulsi autoritari, il loro disprezzo per l’opposizione e la loro intenzione di cambiare radicalmente il sistema politico.

In molti casi i leader autoritari difendono ogni “pezzettino” individuale sottolineando politiche simili in altre democrazie occidentali. Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, è un maestro in ciò, prende le singole istituzioni e le regole da una vasta gamma di Stati membri dell’UE per costruire ciò che la sociologa statunitense Kim-Lane Scheppele ha giustamente definito, un “Frankenstato”.  Proprio come il mostro di Frankenstein di Mary Shelley, creato da un insieme variegato di parti del corpo umano provenienti da non si sa dove, il Frankenstato è costituito da regole democratiche. Ogni regola, presa singolarmente, è o può essere democratica, ma la combinazione specifica del loro insieme crea un regime antidemocratico.

 

 

La luce brillante su ogni singolo componente, isolatamente, non smaschererà quindi il Frankenstato. Finché i singoli componenti non sono connessi, ogni misura in sé e per sé non è sufficiente a creare un senso di allarme, per non parlare dell’urgenza tra la cittadinanza e le organizzazioni interne. Guardate le sfortunate risposte dell’Unione Europea agli attacchi di Orbán nell’ultimo decennio alla democrazia in Ungheria, o le tiepide risposte ai vari tentativi di soppressione degli elettori in molti stati degli Stati Uniti (incluso lo stato dove risiedo, la Georgia). Le democrazie possono facilmente morire tanto sotto i riflettori quanto nel buio. I media che semplicemente “segnalano la notizia“, ​​piuttosto che analizzarla, perdono le tendenze e vedono la vera minaccia solo quando è troppo tardi. Questo è il motivo per cui il critico dei media Jay Rosen propende ormai da diversi mesi per una nuova logica dei media stessi, dal momento che i leader autoritari hanno imparato a padroneggiare la vecchia e se la giocano a loro favore. Questo è uno dei motivi per cui anche Rosen, come me, sostiene una nuova iniziativa mediatica olandese, The Correspondent, che non si concentra su notizie dell’ultima ora, ma piuttosto sulle tendenze che stanno alla base delle notizie quotidiane.

 

Abbiamo bisogno che i media abbandonino la loro dipendenza, reciprocamente vantaggiosa, da leader autoritari mediagenici o telegenici come Trump, e rendano ben chiare le loro reali minacce alla democrazia, piuttosto che soffermarsi sulle distrazioni offerte dagli autoritari. Ma anche se i media lo faranno, le democrazie continueranno a morire quando le élite tradizionali – culturali, economiche, politiche e religiose – continueranno a collaborare con i leader autoritari piuttosto che opporvisi apertamente. E continueranno a morire, se i politici democratici non offriranno alternative migliori.

 

Il miglior esempio di questa triste situazione è l’Ungheria, che questa settimana ha compiuto l’ultimo passo verso un regime autoritario (competitivo), abolendo il controllo giudiziario indipendente sul governo. Anche se è vero che questo passo è stato preso “al buio”, almeno all’interno del paese, mentre i compari di Orbán controllano praticamente tutti i media ungheresi, la maggior parte delle fasi precedenti sono state colte in piena luce, scrutate da vari media ancora indipendenti.

Inoltre, mentre i media internazionali hanno coperto la creazione da parte di Orbán di uno “stato illiberale” nel dettaglio, la complicità delle élite straniere, dall’industria automobilistica tedesca al partito popolare europeo (PPE), ha lasciato l’UE incapace e riluttante all’agire. Entrambi si nascondono dietro la falsa scusa che la collaborazione porta alla sua moderazione, mentre l’esclusione lo radicalizzerà ulteriormente. Ma hanno anche giustamente notato che Orbán è il politico più popolare nel paese, e che l’opposizione, pesantemente divisa e in parte complice, non offre un’alternativa praticabile.

Forse i media possono gettare più luce su tutti questi fattori e collegarli in analisi chiarificatrici. Dobbiamo guardare alle tendenze che sono alla base delle “ultime notizie”, non essere distratti da ogni tweet di Trump o fuorviati dalle cose meno importanti. Come le ultime rauche conferenze stampa della Casa Bianca o gli intrighi di palazzo. Dopo tutto, mentre le democrazie non possono prosperare nelle tenebre, le autocrazie non possono prosperare nella luce.

 

 

 

 


“La corsa del governatore della Georgia ha portato in piena vista alla soppressione degli elettori” dalla rivista Atlantic:

“La vera natura della soppressione degli elettori come accumulo di fastidi quotidiani, barriere legali e confusione è ora pienamente in vista. Oggi la soppressione degli elettori (in Georgia) è un labirinto, non un muro.

Quel labirinto è in costruzione da anni. Kemp (ex-Segr. di Stato) ha intrapreso quello che i suoi avversari e critici dicono essere una serie di tentativi allo scoperto di limitare l’elettorato. Dal 2010, il suo ufficio riferisce di aver eliminato oltre 1,4 milioni di elettori dai ruoli, tra cui oltre 660.000 georgiani nel 2017 e quasi 90.000 quest’anno. Molti di questi elettori hanno visto annullata la loro registrazione perché non avevano votato alle elezioni precedenti. Inoltre, in base ad una legge, denominata “coppia perfetta”, approvata dall’assemblea legislativa statale, che richiede che le iscrizioni a mano degli elettori siano identiche ai documenti personali, 53.000 persone hanno viste spostate le loro registrazioni in “pendenza” a causa di errori di battitura o altri errori prima che un tribunale distrettuale impugnasse la legge . Più dell’80 percento di quelle registrazioni apparteneva ad elettori neri.”

 

Cas Mudde è un editorialista statunitense di origine olandese e autore di Populismo: una breve introduzione e l’estrema destra in America.

 

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