la società

Il Clandestino, seconda parte

seconda parte

continuazione de Il Clandestino, prima parte

 

CLANDESTINO
Ne avevo sempre sentito parlare, ma nessuno mi aveva mai rivolto questa parola. Sembra che il clandestino sia un po’ come l’aria: va dove gli pare, anche quando non ne ha l’autorizzazione. Naturalmente questa gente che conosce molto bene la natura del profitto, non si arrabbia e non espelle l’aria, perché è molto utile alla sua sopravvivenza. L’aria, risorsa infinita, si utilizza e si sfrutta punto e basta, non ci vuole né l’autorizzazione, né i soldi per acquistarla, a meno che non sia stata imprigionata in qualche apparecchiatura o strumento, come solo loro sanno realizzare.
Mi piace immaginarmi come l’aria, forza invisibile con l’uomo. Riesce perfino a far volare un aereo e a spingere enormi navi!
Poi mi vengono in mente altri illustri clandestini: il vento, l’acqua, il sorriso o l’aiuto ad uno sconosciuto, ma anche tutti quelli che, pur essendo nati qui, hanno meno diritti e se la prendono con i più indifesi.
Non mi vogliono perché sono un costo, perché sono diverso. Molti di loro lo pensano, ma non me lo dicono. Dirlo potrebbe rappresentare per qualcuno un peso per la sua coscienza. Meglio non prendere posizione, soprattutto quando si va in chiesa tutte le domeniche; altri, invece, mi aggrediscono perché si sentono forti con un debole, difendono la loro terra dalle infiltrazioni degli stranieri, ma non si accorgono che questi ci sono già. I primi mi fanno pena perché fanno fatica a tirare fuori e a esibire il peggio che c’è in loro; i secondi divertono di più perché sono fuori dal cammino della storia.
Poi questa storia dell’Angelo Albert faceva sorridere pure me… tutta questa gente che si definiva perbene e che aveva tutto: ricchezza e felicità… sembrava aver ricevuto un po’ troppo per essere dei cristiani, mentre io avevo la stessa nudità e povertà materiale degli angeli.
Ogni domenica, giorno sacro per i cattolici, vedevo sfilare i buoni e i cattivi, tutti uniti nel credo verso il Dio degli Eserciti.
Torniamo alla porta…
– Chi è?
– Ci apra dottor Albert! Siamo stati inviati dal Ministero!
– Ma io non ho fatto niente! Non ho fatto male a nessuno!
– Ma che dice? Non siamo poliziotti. Ad aspettarla giù c’è l’auto blu del Ministero!
– Ma siete sicuri di ciò che state dicendo?
– Certamente!
– Arrivo! Datemi qualche minuto.
– Non c’è fretta dottor Albert!
Da sotto la pila di cartoni, che mi fa da letto, tiro fuori l’unico vestito elegante che ho. Si tratta di un bubù africano, di colore bianco con ornamenti dorati.
Con questo farò sicuramente colpo, penso tra me e me, poi rinuncio al nobile vestito africano, optando per qualche cosa di più europeo.
Affiorano in me pensieri negativi: magari sanno che sono un clandestino e sono venuti per arrestarmi.
E i pensieri positivi: la limousine, l’invito del Ministro, le guardie alla porta… e se tutto fosse vero?
Finisco di vestirmi all’occidentale e apro finalmente la porta, ma nessuno mi arresta, nessuno mi guarda in modo strano, non ricevo complimenti; nessuno mi ride dietro, come spesso mi è capitato.
Eppure i miei vestiti fanno sorridere anche me stesso: giacca realizzata con una stoffa africana molto colorata che le conferisce lo statuto di vestito antinebbia, una camicia a quadretti marroni, e una cravatta con maccheroni, pantaloni bianchi e vecchie scarpe da tennis rosse.
Anch’io mi sento ridicolo con questi vestiti, ma quando li indosso mi sento più importante e al pari di quelli che sono più fortunati di me.
Attorno a me una decina di agenti speciali sembrano proteggermi da tutti i pericoli che potrebbero venire dal mondo esterno e, appena dentro, l’auto parte a sirena spiegata.
L’interno dell’auto sembra un salone di casa, di quelle case che esistono sono nella mia immaginazione perché non ci abiterò mai, per incapacità economica.
– Dottor Albert gradisce un liquore? Abbiamo dell’ottimo Divinus.
– Sì, ma non ho fatto ancora colazione.
– Ah, mi scusi, ecco dei buonissimi croissant.
Mentre divoro con selvaggia voracità i croissant, loro mi guardano con quella finta aria disinteressata, che sanno avere le guardie del corpo.
La frenata è brusca e quasi mi causa un rigurgito di tutti i croissant inghiottiti prima.
– Siamo arrivati?
Esco dall’enorme auto attorniato dalle dieci guardie e varco il portone dell’enorme palazzo, salutato da tutte le forze di polizia di guardia.
Dal fondo della grande stanza, piena di quadri e di arazzi, una voce che sembra quella del direttore:
– Benvenuto dottor Albert Ngumu!
– Sì, io sono Albert Ngumu, ma non capisco il motivo della mia presenza qui!
– Non devi capire niente, sei qui per i tuoi meriti.
– E cosa vi aspettate da me?
– Basta che apra quel libro sul tavolo e capirà tutto.
In centro alla sala c’era un tavolo di legno antico. Uno di quei mobili che si vedono solo nei film. Sul tavolo un enorme libro e una stilo.
La sola vista dell’enorme salone mi fa venire dei brividi e poi… cosa c’è dentro questo libro?
Afferro il libro e lo apro. Scivola a terra una busta.
Apro la busta e dentro trovo una cartolina con la scritta: SEI ESPULSO.
Mi sento in una trappola, mi butto a capofitto sul portone dal quale sono entrato, ma vengo bloccato dalle stesse guardie che mi hanno scortato con mille ossequi pochi minuti prima.
Mi buttano a terra con violenza e mentre cerco di rialzarmi mi accorgo di trovarmi nel mio letto di carta. Il rumore alla porta era stato causato da un gatto randagio.
Mi riaddormento, quasi dispiaciuto di aver solo sognato tutta la strana avventura.

 

Disegni dell’autore

Tratto dall’antologia “Futuro Remoto”

curato da Energheia di Materia, 2014

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