attualità

Forte si, rozzo anche

Trovo sorprendente, e me lo spiego solo con tatticismi degni da ambo le parti del miglior D’Alema, che il Partito Democratico possa sopravvivere alla guerra feroce che si combatte da mesi fra maggioranza e minoranza, che nulla condividono sul piano politico, e che si disprezzano sul piano personale: i punti di dissenso sono notoriamente così tanti che si farebbe di gran lunga prima ad elencare le cose condivise, se solo fosse possibile individuarne alcune, il che, per un partito, non è una bella cosa; poiché non è possibile rintracciare affinità, limitiamoci agli elementi di divisione, e cerchiamo di approfondirne gli aspetti più importanti, concentrandoci sull’odierna madre di tutte le battaglie, e cioè il Jobs Act.
La riforma del lavoro, che era il vero cuore del programma politico di Renzi, è appena diventata Legge dello Stato e ha prontamente ricevuto, come benvenuto, uno degli scioperi generali di maggior successo degli ultimi decenni, senza che Renzi riesca a spiegarsi con precisione il motivo; entrambe le cose mi sembrano particolarmente rilevanti.
La riforma  è un provvedimento molto articolato, che contiene cose condivisibili e altre che lo sono meno, ma contiene soprattutto la sostanziale abrogazione dell’art. 18, del tutto inessenziale al suo fine principale, che è la definizione di regole atte a stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro; i posti di lavoro dipendono essenzialmente dallo stato dell’economia, che non arretra dal 2008 per colpa delle tutele dei lavoratori garantiti, e dalle regole generali del sistema paese, fra le quali l’art. 18 può sicuramente correre per la maglia nera: del resto, se le cose fossero così semplici, la “flessibilità” degli ultimi 20 anni, che ha bruciato almeno due generazioni, ci avrebbe garantito la piena occupazione.
Tuttavia, nonostante la sua palese valenza strumentale, sfondare sul fronte destro dell’elettorato attraverso la guerra alla CGIL, e il pur vasto dissenso che ha incontrato, l’abrogazione dell’art. 18, gode di un ampio e sicuro consenso sociale, probabilmente maggioritario nel paese, dove i lavoratori dipendenti a cui era applicabile sono diventati una minoranza, magari corposa, ma pur sempre minoranza, soffocata dall’esercito dei precari, dei piccoli imprenditori, degli artigiani, e da tutti i loro dipendenti a cui non si applicava, e che lo considerano un odioso privilegio, oggi finalmente abbattuto.
Senza entrare nel merito dell’equità e dei giudizi morali sulla pietra dello scandalo, a me sembra che questa parte maggioritaria del paese, forse inselvatichita dalla durezza della crisi che sta vivendo, sia diventata troppo grande e sconti la debolezza di fondo della propria natura, che è quella di rappresentare un’economia strutturalmente povera, ad alto contenuto di mano d’opera e a basso contenuto di tecnologia, fondata sul modello della media e soprattutto piccola impresa, finanziariamente irrilevante, poco capace di innovazione, limitata nella ricerca, perennemente sulla difensiva nei confronti degli ex paesi poveri ora emergenti, e molto debole nella creazione dei posti di lavoro.
Se questo modello di economia e società resta quello trainante del paese, quello a cui Renzi pensa quando fa le scelte politiche di fondo, come forse si intravede sottotraccia nel Jobs Act, ciò vuol semplicemente dire che ci siamo arresi al declino, che l’egualitarismo contenuto nella riforma è ottenuto col passo del gambero, che smetteremo di essere una società industriale degna di questo nome, e che non avremo affatto dei posti di lavoro in più in cambio di una maggiore flessibilità, perché i posti di lavoro qualificati e duraturi sono creati da quel pezzo di industria che abbiamo mandato a morire negli ultimi decenni, e che oggi continua ad essere ignorato.
Detto in parole più semplici, se si consolida questo modello, avremo così tanto sviluppo che gli altri, quelli ricchi davvero, verranno da noi a delocalizzare.
Sull’altro versante, lo sciopero ha dimostrato che il 25% di Bersani, e quella quota di lavoratori dipendenti della grandi aziende che ancora mantengono un barlume di vitalità alla stagnante economia del paese, sta ancora nel PD ma non si riconosce nel progetto di Renzi, nella sua idea di Partito della Nazione, nel suo modello di leadership e nella sua visione delle relazioni fra le parti sociali, nella quale la parola “concertazione”, che ha determinato l’ultimo scatto d’orgoglio del paese con l’ingresso nella moneta unica, viene considerata impronunciabile perché sinonimo di consociativismo, e vorrei onestamente sapere perchè.
Quest’area ampia, che in buona parte ha sottoscritto l’OPA ostile di Renzi sul PD, che ha voluto e consentito la rottamazione della vecchia classe dirigente di provenienza DS, e che dubito sia disposta a ritornare indietro, è comunque politicamente acefala, priva di leaders autorevoli, credibili e capaci di confrontarsi con Renzi senza essere ridicolizzati, indisponibile a seguire i continuatori del disastro di D’alema e Bersani, e ugualmente indisponibile al voto di protesta sulle altre liste di sinistra; è però decisamente tentata dal fascino sottile dell’astensione, come si è visto anche troppo chiaramente in Emilia Romagna, e se la cosa non può battere Renzi dall’interno, o costringerlo a discutere con minore supponenza, a certe condizioni, ove continuasse lo scontro ideologico furibondo oggi in corso, su altri temi essenziali come le riforme, l’elezione del Presidente della Repubblica e il rapporto con l’Unione Europea, ne può determinare la sconfitta dall’esterno in una prossimam scadenza elettorale.

Forse i leaders senza autorevolezza della sinistra del PD non avranno alla fine il coraggio di andarsene o di organizzare una opposizione credibile e strutturata, come dignità vorrebbe e opportunità politica richiederebbe, se solo fossero all’altezza del compito, consci del fatto che gli elettori, memori delle loro prove passate e presenti, non li seguirebbero neanche al bar; probabilmente diventeranno tanti “Fassina chi?”, ma è difficile negare che la loro figura esca sminuita e sempre più patetica da ogni nuovo confronto con Renzi, lasciando di fatto senza alcun riferimento tutta quell’area che si definisce sinistra del PD.
Al tempo stesso il segretario/premier non diventa più autorevole ad ogni nuova esibizione muscolare, se non nella cerchia peraltro abbastanza ampia dei suoi più fedeli e beneficiati ammiratori, ma risulta al massimo un po’ più autoritario e arrogante, aumentando con ciò il malessere, il disagio e la frustrazione di una buona metà dei suoi elettori, e a mio modo di vedere, nel lungo periodo, diventando politicamente più debole.
A me sembra che alla fine di questo ragionamento si possa trarre una semplice considerazione, peraltro abbastanza amara: mai come questa volta, nella tradizionale guerra a sinistra, il talento politico è separato dalle idee, che peraltro mi sembrano poche e confuse in entrambi gli schieramenti, e mai come questa volta il capo della sinistra è stato, sul piano del metodo, un rozzo cavernicolo incapace di unire il suo popolo.
E’ un’esperienza che ci mancava.

0 lettori hanno messo "mi piace"
Print Friendly, PDF & Email
Share:

23 comments

  1. nemo 21 dicembre, 2014 at 10:30

    Iniziamo dall’ultimo brano dell’interessante commento di Kokab. Egli scrive mai ! Mai come in questo momento il talento politico è separato dalle idee, mai come in questo momento il capo della sinistra è stato un rozzo cavernicolo incapace di unire il suo popolo ! Mai come in questo momento, aggiungo, molto debolmente io, il Paese ha attraversato una crisi così profonda e devastante, crisi che ha messo in evidenza le debolezze del sistema, fatto da piccole imprese , quelle che vennero definite la nostra forza, e poche , ed ormai sparute industrie capaci di creare nuovi prodotti e nuove tecnologie. Non bisogna tornare indietro di molti anni per scoprire che noi non abbiamo più una industria chimica, che non abbiamo più una industria tecnologica non abbiamo più capacità attrattiva agli investimenti. Perchè tutto questo ? Alla domanda le risposte sono sempre di carattere sociale e politico. Ciascuno ha le sue ricette , molte volte le ricette sono di coloro che questo stato di cose lo hanno concretizzato con le loro scelte ! Ebbene se è l’uomo forte che si voleva eccolo, direte, non è l’uomo forte quello che si vuole è invece l’uomo che prende in mano la barra della nave che corre verso gli scogli. Che questi sia o no Renzi ha poca importanza, quello che importa è che ci sia chi la prende. Dove erano coloro che negli anni hanno aiutato il Paese nella corsa al debito pubblico? Dove erano coloro che oggi pontificano sulle ricette delle riforme costituzionali ? Dove erano quando l’industria ha cominciato a delocalizzare, dov’erano quando migliaia di posti di lavoro sono scomparsi per l’ignavia di chi chi invece di controllare accettava artigiani in nero con operai “invisibili” ? Chiedere di questo agli artigiani di Prato o di Forlì, tanto per fare un’esempio ! Dov’erano, sopratutto gli stessi quando il costo del lavoro, quello reale diventava insopportabile per gli innuverevoli balzelli che su di esso gravano, ancora ? Erano lì a difendere un articolo che difende solo pochi, e sempre individuabili, categorie. Difesa sacrosanta ma che alla fine diventa cieca, se si cosiderano le sentenze della magistratura. Ebbene vi dico, nel metodo non sono d’accordo, ma nella sostanza trovo difficile dissentire, vivaddio, adesso favorevoli o contrari , non è questo il punto, adesso si parla delle famose riforme Costituzionali, si parla delle delega fiscale, punto dolens come sappiamo, si parla non più di concertazione al fine di condizionare , ma al solo fine di contribuire , parlandone , alla stesura di provvedimenti dei quali uno solo ne ha la responsabilità. Se tornassimo al vecchio sistema dei ricatti avremmo, di nuovo, un governo che si occupa solo di falsi in bilancio, di prescrizione, di processi al PdC, di cene eleganti e, perchè no, visto il coivolgimento a tutto tondo , una volta si sarebbe detto dell’intero arco costituzionale, di mafia capitale ! Bene credo che almeno su questo si sia tutti d’accordo , qualcuno deve poter usare la ramazza, e visto quello che si legge sui giornali, vi dico che se la ramazza la tiene in mano il mio segretario mi sento, relativamente, più tutelato.

  2. Genesis 17 dicembre, 2014 at 08:16

    Ribadisco, e non sono ancora stato smentito, che la battaglia pro articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è fatta solamente per coprire qualcosa di più maledettamente profondo. Al 30 di settembre di quest’anno (a partire dal primo giorno di gennaio) vi sono stati 754 infortuni mortali sul lavoro. Rimangono per ora “imprecisati” gli infortuni non mortali.
    Il diritto più Grande di un lavoratore è quello di poter tornare a casa dalla propria famiglia dopo aver guadagnato il giusto per poter vivere degnamente la propria vita.
    I sindacati si nascondono dietro a slogan che poco hanno a che fare con la vita lavorativa reale. Lo sciopero generale contro azioni governative di grande rinnovamento, non fa altro che acuire il malessere delle persone che non hanno modo di ragionare sulla propria vita.

    • Gennaro Olivieri 17 dicembre, 2014 at 08:27

      Per quello che mi risulta, tra le molte pecche del sindacato non c’è quella di evitare di battersi per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Per quanto riguarda poi lo sciopero cosiddetto “politico”, mi sembra che esso abbia pieno diritto di cittadinanza in una Nazione democratica, e rientri del tutto nelle prerogative e negli scopi del sindacato.

      • Genesis 17 dicembre, 2014 at 10:38

        Io non vedo i sindacati opporsi alle mancate sicurezze sugli impianti. Non vedo sindacati prodigarsi per migliorare la cultura della sicurezza. Vedo i sindacati piangere lacrime di coccodrillo verso uno o l’altro decesso sul lavoro. Vedo un sindacato urlare al governo che le morti non ci devono essere…ma la legge c’è…e potente!
        Vedo uno sciopero, uno dei tanti, che blocca intere città offrendo problemi agli abitanti e non allo Stato cui vanno contro.
        Ricordiamoci cosa dovrebbe essere effettivamente uno sciopero, soprattutto quello generale…
        Io sciopero perchè il mio datore di lavoro non mi rende i diritti che ho. Se scioperassi contro lo stato, il modo dovrebbe essere un altro: sciopero fiscale, barricate davanti alle sedi governative, ecc ecc…questo anche perchè, ultimamente, risultati effettivi dagli scioperi…non ne ho visti!

  3. M.Ludi 16 dicembre, 2014 at 19:28

    L’unico motivo per cui il fu art.18 è stato al centro di così aspra contesa è dovuto al fatto che Renzi aveva un disperato bisogno di far vedere al resto del mondo di essere in grado, primo nella storia italiana del dopoguerra, di rompere con la tradizione nostrana fatta di veti incrociati che hanno reso immutabile la nostra realtà per decenni. Avrebbe sicuramente fatto meglio a prendere di mira evasione fiscale e tutte quelle sacche di inefficienza presenti nel nostro Paese, così si, facendo vedere realmente che poteva cambiare davvero l’Italia; il fatto che abbia preso di mira una bandiera di sinistra è dovuto ala facile constatazione che, in un Paese sostanzialmente di destra, con un Parlamento nel quale la maggioranza uscita dalle ultime elezioni è sempre appesa ad un filo, era più facile prendersela con i sindacati che con il malaffare. Non mi ergo a interprete ufficiale di Renzi ma credo che avrebbe volentieri fatto a meno di questa prova muscolare con i sindacati se avesse avuto strade più agevoli da battere.
    Sul fatto che il nostro Paese abbia ormai un tessuto produttivo nel quale la grande industria non esiste più e la piccola stenta a tenere il passo con il resto del mondo, non ho un giudizio così negativo, pur con qualche distinguo; avessimo avuto un sistema di trasporti efficienti ed avessimo per tempo valorizzato il trasporto marittimo (anzichè il costosissimo e deturpante su gomma), ed avessimo salvaguardato maggiormente il nostro territorio (anzichè spendere il doppio e anche di più per mettere toppe dopo i numerosi disastri), probabilmente oggi parleremmo in modo diverso. Francamente della chimica a Porto Marghera o dell’acciaieria a Taranto, se non fosse per i posti di lavoro persi (ma io dico che è stato sbagliato crearli in quei settori ed in quei luoghi), non credo che sentiremmo granchè la mancanza, così come non sentiamo la mancanza (ma lamentiamo i danni) di numerose attività produttive ormai chiuse che, ad andar bene, lasciano le falde inquinate. Non era questa la nostra vocazione e solo la scelleratezza di un modello unico, valido per tutti, quello dell’industria pesante e dell’edilizia, ha fatto si che guardassimo appena un centimetro al di là del nostro naso.
    Il Paese che abbiamo oggi è un Paese in declino sotto almeno tre o quattro punti di vista (economico, demografico, valoriale, come minimo) e temo che le battaglie di posizione finiscano, sempre e comunque, per divenire battaglie di retroguardia; dubito che il mantenimento dell’art. 18 potesse modificare granchè,men che meno la sua estensione, così come sono sicuro che la sua abrogazione non porterà a nuovi posti di lavoro.
    Chiudo con una segnalazione che sfugge costantemente ai più: sapete quali sono i tra maggiori fruitori di contratti a tempo determinato o altre forme di lavoro “border line” con lavoratori malpagati e stipendi costantemente in ritardo, talvolta di mesi? Ecco, potremmo farne una vignetta per la settimana corrente e dare libero sfogo alla fantasia: dite la vostra, che ho detto la mia.

    • Kokab 16 dicembre, 2014 at 23:00

      parto dalla fine: non so a cosa ti riferisci tu, ma so bene che in italia il soggetto che più ha abusato di contratti border line, umilianti e malpagati, è la pubblica amministrazione; poi, certo, la telefonista di un call center sarà pagata peggio, ma un professore precario, licenziato per tre mesi l’anno, magari da 20 anni, che guadagna 22/23 € l’ora lordi l’ora, è una cosa che grida vendetta.
      concludo con l’inizio: renzi al mercato delle vacche delle elezioni venderebbe il frigorifero agli eskimesi, e avrebbe potuto lisciare il pelo agli elettori della destra, come ha fatto con quelli della sinistra quando ha dichiarato di non voler toccare l’articolo 18, per stravincere le elezioni, magari con qualche irrilevante punto percentuale in meno.
      ciò che mi riesce difficile da comprendere, anche in prospettiva futura, è un qualche motivo non futile per cui ha inferto quello che è sostanzialmente un vulnus insanabile alla sinistra del suo partito, che poi è quella del paese, rendendo impossibile una vera egemonia politica della sinistra, ed era la prima storica occasione, e rendendo quasi impossibile il consolidamento del partito a vocazione maggioritaria.
      poteva ottenere lo stesso risultato, percorrendo una strada diversa, sostanzialmente a costo zero.
      alla fine non credo sia veramente furbo.

  4. DareioS 16 dicembre, 2014 at 18:53

    I diritti non sono frutto di elargizioni gratuite, spesso sono risultato di lotta e di conquiste, soprattutto i diritti hanno un costo che la società e per essa lo stato deve essere in grado di sopportare.
    Costano il diritto allo studio, alla salute, alla sicurezza pubblica, alla libertà di movimento, alla tutela della famiglia, alla tutela degli invalidi e tantissimi altri diritti anche non di rilevanza costituzionale.
    Costano altresì i cd diritti sindacali, spesso gravano sui lavoratori, talvolta sulle imprese, a volte sullo Stato e sugli enti di previdenza e di assistenza.
    Per poter assicurare la tutela dei diritti si debbono impiegare risorse ma le risorse non sono infinite, conseguentemente la tutela soffre degli stessi limiti delle risorse.
    Lo stato deve scegliere con cura le priorità e i soggetti destinatari di tutela
    Sarebbe bello avere codificati e garantiti tutti i diritti possibili ovvero semplicemente immaginabili, ma questo è pura utopia e non tiene conto della limitatezza delle risorse.
    Assicurare ad una casta di privilegiati diritti insostenibili sotto il profilo economico, significa porre le basi per una società di diseguali, dove determinati soggetti vengono ingiustificatamente avvantaggiati, con conseguente svantaggio e detrimento di molti.
    Il mondo del lavoro è anch’esso segnato da disparità di trattamento che non trovano giustificazione nonché da trattamenti economici sproporzionati rispetto alla qualità e quantità della prestazione lavorativa.
    In periodi di crisi economica si impone il riequilibrio dei diritti, con l’avvertenza al di fuori degli stipendifici di Stato, senza imprese non vi saranno nemmeno più diritti sindacali da tutelare.

    • Gennaro Olivieri 17 dicembre, 2014 at 08:19

      Caro Dareios, permettimi di contestare amichevolmente la tua tesi che la sopravvivenza delle imprese in Italia dipenda dall’ampiezza e dal costo dei diritti dei lavoratori. Il vero motivo della fragilità delle imprese italiane (e quindi dell’economia del Paese), sta nel loro nanismo e nella scarsissima propensione alla ricerca e all’innovazione. Da decenni siamo un Paese di piccolissime imprese. Si fregiano del titolo di imprenditori, milioni di persone che in realtà sono, nella migliore delle ipotesi, dei bravi artigiani; nella maggioranza dei casi, in realtà si tratta di semplici lavoratori a cottimo che vendono il loro prodotto a un unico committente. Questa amplissima fascia di lavoratori autonomi costituisce la vera sostanza dell’imprenditoria italica, che opera da sempre in settori a basso contenuto tecnologico e a infimo valore aggiunto (come bene spiegava Kokab nel suo pregevole scritto), ed è sostituibile in ogni momento, e in effetti è stata massicciamente sostituita, dalla delocalizzazione del lavoro e delle forniture in Paesi dove il costo del lavoro è bassissimo. La crisi dell’ultimo decennio dimostra che il lavoro continua a esistere nei Paesi dove esiste la grande impresa e dove esiste una vera classe di dirigenti preparati e capaci: classe inesistente in Italia, dove il massimo dell’aspirazione per la maggior parte dei laureati, è quella di restare in università a fare l’assistente in eterno, non esistendo la grande industria e la grande finanza che dovrebbe assorbirli.

      • M.Ludi 17 dicembre, 2014 at 09:05

        Risposta un pò troppo semplicistica su di un universo (quello della piccola e media impresa) assai complesso. Piccolo è bello è stato lo slogan che ci ha consentito in buona parte degli anni 70 e 80 di progredire in aree del Paese dove la grande industria non è mai decollata ed il benessere è stato lungamente diffuso. I famosi “distretti industriali” (decine sparsi nel centro-nord Italia) hanno prodotto ricchezza e gli artigiani (che sembri ridurre a semplici operai) in realtà hanno operato con sapienza nel plasmare materie prime spesso ostiche da lavorare. Il fatto è che il trionfo della “firma” (oggi spesso simìnonimo di prezzi altissimi ai quali non sempre corrisponde adeguata qualità), ha strozzato l’artigianato riducendo una fetta importante dell’imprenditoria italiana a fare da terzisti mal pagati e spesso svuotati di canali produttivi; se oggi vuoi acquistare un capo di abbigliamento, spesso devi rivolgerti o a produzioni di basso prezzo (e bassa qualità) o a “firme” a prezzi esorbitanti (salvo “outlet”); le piccole sartorie stanno sparendo, il calzolaio (che fa le scarpe e non solo le ripara) sta sparendo perchè la moda (termine stupido coniato ad arte per pilotare i consumi) impone altri canali. Ho preso ad esempio il campo dell’abbigliamento ma lo stesso vale per l’arredamento ed altri settori. E’ vero, questo tipo di imprenditoria è debole e difficilmente innovativa ma il vero problemo è che se comperiamo divani che durano una vita, il consumismo ne soffre: la verità è che siamo schiavi di un sistema che ci impone di acquistare ed in breve tempo gettare via, alimentando una catena perversa di corsa al baratro.

        • Gennaro Olivieri 17 dicembre, 2014 at 09:34

          Caro M. Ludi, noi soffriamo la crisi molto più degli altri Paesi europei proprio perchè per decenni abbiamo pensato che un vero e diffuso benessere potesse reggersi: A) sulla produzione di borse, occhiali, divani e bei vestiti, anzchè su meccanica, chimica, farmaceutica e ovviamente finanza; B) sul semplice lavoro per conto terzi, cioè sul lavoro a cottimo mascherato da lavoro autonomo. L’impresa è altra cosa. Che la stragrande maggioranza dell’impresa italiana rientri in queste due fasce, mi sembra difficilmente contestabile.

          • M.Ludi 17 dicembre, 2014 at 12:31

            Il tipo di Impresa che dici tu lascia solo disastri ambientali e l’elenco di cose che i piccoli artigiani fanno è ben più lungo del riduttivo riassunto che ne hai fatto. Soprattutto, la grande impresa è schiava di enormi sfruttamenti di materie prime che finiranno; voglio proprio vedere come va a finire e anche se per ora paghiamo un conto salato, quel tipo di sviluppo non porta da nessuna parte.

  5. Franz 16 dicembre, 2014 at 17:03

    Solo una piccola annotazione ad un blog che mi sembra abbia bene analizzato la situazione attuale del PD: parlando di Maggioranza si intende la maggioranza di quelli che hanno votato alle primarie e non degli iscritti. Credo che questi ultimi, dopo un’iniziale e disciplinato appoggio a Renzi, si siano ormai resi conto che quello attuale non é il partito a cui si erano iscritti e che quindi, all’interno del partito, la cosidetta Minoranza sia oggi in realtá maggioranza. Gli elettori delle primarie provenivano da varie aree, e molti, giá ora, guardano in altre direzioni. Quanto poi al fatto che credere che sia il massimo della democrazia togliere dei diritti ad un gruppo invece di allargarlo a tutti non é semplice idiozia: è malafede.

    • menomale 16 dicembre, 2014 at 19:15

      Ciascuno è libero di avere le convinzioni che più gli aggradano sul concetto di Maggioranza e su come questa dovrebbe venire stabilita. Ma rimangono convinzioni personali che si possono tranquillamente esprimere, ma non provare. Per accertare lo stato delle cose ci sono le scadenze elettorali e le primarie : ” carta canta ” diceva mio nonno per sottolineare che i dati certi sono fatti e tutto il resto chiacchiere. Certo che se voglio trovare una maggioranza a tutti i costi posso sempre dire che nel mio condominio quasi tutti la pensano come Fassina, o che nei piani dispari sono tutti Civatiani, ma è un giochetto che non porta da nessuna parte, come quello, espresso più volte in altre pagine, che asserisce che il 40 % del 60 % non vale come 40 %. Gli equilibri vengono attestati da chi vota “quando” si vota, e siccome non si può riaccertare lo stato dell’arte ogni due settimane, valgono fino al giro successivo. Giro che devono aspettare anche tutti quelli che cambiano legittimamente idea, fossero anche un esercito. Detto questo, nel PD di questi tempi c’è molta confusione. Una confusione che tutti, e sottolineo tutti, alimentano, anche tentando di stabilire se sia più idiota chi non allarga a tutti certi diritti o chi non capisce che sarebbe bello, certo, ma proprio non funzionerebbe.

      • Scan 16 dicembre, 2014 at 20:03

        di quale giro parli? delle prossime europee? si, perché il famoso 40,8% sbandierato da renzi e i suoi è stato ottenuto dal pd (non da matteo vostro) alle europee anche con i voti di chi, come me, non ha mai votato e non voterà mai uno come renzi; che, non dimentichiamolo, gli unici voti li ha presi alle primarie e sta governando con i voti ottenuti da bersani

        • M.Ludi 16 dicembre, 2014 at 20:14

          Mi sembra che tu abbia urgente bisogno (come molti altri) di fare un pò di ripasso di Diritto Costituzionale: Renzi è lì dove sta del tutto legittimamente sino a quando il Parlamento non gli voterà la sfiducia.

          • Franz 16 dicembre, 2014 at 21:30

            Non voglio fare il dinfensore di Scan (é l’ultima cosa di cui ha bisogno!) ma non mi pare che abbia messo in dubbio la legittimitá del governo Renzi: ha solo detto che governa (come prima ha fatto Letta) perché Bersani ha vinto le elezioni, cosa che non puó essere messa in discussione.

    • sandy 16 dicembre, 2014 at 19:27

      Concordo e aggiungo da elettrice del PD che io ho votato il programma di Bersani,non mi riconosco in quello di Renzi e trovo anche abbastanza sleale che lui non ne abbia tenuto conto,visto che non è stato votato da nessuno,sarebbe stato più onesto concordare con Bersani un percorso condiviso,comunque resta l’amarezza che ormai considero il PD il mio ex partito.

    • M.Ludi 16 dicembre, 2014 at 23:12

      Franz ti rispondo qui; le elezioni non le ha vinte Bersani, ma il PD di cui Bersani era, pro-tempore, Segretario. Ancora da capire se con Renzi avremmo avuto una vittoria, così imperfetta da creare la situazione paradossale che viviamo adesso.

      • Franz 17 dicembre, 2014 at 21:19

        SE…possiamo discuterne per quattro anni. Suppongo che anche le elezioni europee siano state vinte dal PD, e non, come in tanti sostengono, da Renzi… Inoltre, intendevo chiaramente “il PD guidato da Bersani”, ma era troppo lungo da scrivere: l’esaltazione di una sola persona non fa
        parte del mio bagaglio politico, cosa che mi pare invece sia il ‘modus vivendi’ di altri.

Leave a reply

WordPress Appliance - Powered by TurnKey Linux