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I dubbi sulla morte di Marilyn

dubbi sulla morte di Marilyn

Saranno messe all’asta le foto di Marilyn Monroe scattate sul set del film ‘Something’s Got To Give’ del 1962, diretto da Cukor e mai ultimato a causa della morte dell’attrice”.

Tempo fa lessi un articolo su come fu trovata Marilyn la mattina del 5 agosto 1962. Era il racconto dei due necrofori che si occuparono di ricomporre il suo corpo prima della sepoltura. I due venivano chiamati quando morivano le celebrità a Hollywood. Furono loro quella mattina, avvisati dalla questura di Los Angeles con destinazione Fifth Helena Drive – come riportò il Daily Mail nel giugno 2015 – a constatare insieme al coroner il pessimo stato in cui versava il corpo di Marilyn. Li informarono preventivamente che c’era stato un suicidio, a seguito di una overdose di Nembutal. Quando arrivarono trovarono il corpo già in rigor mortis, cosa assai strana perché, da quello che gli era stato detto, Marilyn era deceduta solo tre ore prima. Il coroner trovò buchi sotto l’ascella e cercò nei posti più insoliti: nel naso, sotto le dita e la lingua, perfino nei genitali, ma non trovò altri segni di iniezione. Poi toccò a loro e quando rimossero il lenzuolo che la copriva, non potevamo credere che si trattasse del corpo di Marilyn Monroe…

Sembrava una donna anziana che non si era presa cura di sé. Irriconoscibile. Poiché era morta a faccia in giù, il suo viso era livido, pieno di chiazze viola. Il collo era molto gonfio, i capelli crespi. Si evinceva che non li aveva tinti da un bel po’, perché la ricrescita era scura. Non si depilava le gambe da almeno una settimana, non si era fatta da tempo né manicure né pedicure, e le sue labbra erano completamente screpolate. Il mio collega dovette fare un incisione sul collo per sgonfiarlo, mentre io la tenevo girata da un fianco. È stato sgradevole guardare. La Monroe non indossava mutandine, e infatti non ne trovammo nella sua casa. Tra le cose che mi consegnò la sua assistente c’era anche un reggiseno imbottito. I seni erano comunque troppo piccoli per farli sembrare generosi, perché l’incisione delle costole durante l’autopsia aveva sensibilmente ridotto quelli originali. Allora le mettemmo del cotone nel reggiseno.

Tutto questo può anche sembrare plausibile se si pensa a Marilyn come ad una donna depressa isolata che ha chiuso i suoi rapporti col mondo. Ma quello era il periodo in cui l’attrice stava girando proprio il film delle foto in asta, il suo ultimo film “Something’s Got To Give” quello che non riuscì a finire proprio a causa della sua morte. Allora sarebbe giusto chiedersi come può un’attrice che sta girando un film ridursi in quello stato? È noto che la casa di produzione in genere si occupa di tutto: trucco, parrucco, massaggi, dieta, vitamine e tutto il resto. Ci sono le foto e i fotogrammi del film che testimoniano l’eccellente stato fisico di Marilyn durante le riprese.

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Le foto di Lawrence Schiller

 

Tante le circostanze poco chiare a cominciare dal comportamento del coroner, Theodore Curphey, la sua fretta di chiudere il caso con una diagnosi di “probabile suicidio”per overdose di Nembutal quando nella stanza e nel bagno non si trovò neppure un bicchiere, o qualunque altro contenitore che necessariamente la Monroe avrebbe dovuto utilizzare per ingerire le capsule, che tra le altre cose non furono mai rintracciate nel contenuto gastrico.

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Dietro le quinte a "Something's got to give"

 

Dopo 55 anni, le circostanze della morte di Marilyn Monroe, il suo presunto suicidio, è sempre più disseminato di prove così sconcertanti che nessuno, dato il tempo trascorso, potrà mai chiarire.
Di seguito parti del libro “L’enigma della morte di Marilyn Monroe” di Francesco Mari, Elisabetta Bertol e Barbara Gualco, due docenti di Tossicologia e uno di Criminologia forense, che analizzano documenti e fatti di quel tragico 5 agosto 1962..

Dell’autopsia si occupò Thomas Noguchi, vicecoroner dello staff di Curphey il quale nello stomaco di Marilyn non trovò niente di significativo. Eppure 47 capsule di Nembutal – tante ne avrebbe dovute ingerire per giustificare i livelli della sostanza nel sangue e nel fegato, pari a tre volte la dose letale – hanno la loro consistenza, sono colorate di un giallo intenso, e almeno un piccolo residuo sarebbe dovuto restare. Nella nostra esperienza, nei casi di suicidi con barbiturici, c’è sempre un residuo gastrico notevole, perché quando sopravviene la morte, blocca l’assorbimento di queste sostanze. Invece Noguchi trovò solo 20 millilitri di materiale mucoso, privo di residui: l’analisi venne fatta con il microscopio a luce polarizzata, strumento che si usa ancora e consente di individuare tracce anche minime dei cristalli che caratterizzano molecole come quella del pentobarbital”.

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Un altro dato contrasta con l’ipotesi del suicidio: “Come ha fatto Marilyn ad assumere 47 capsule di Nembutal, se quel giorno, come risulta dalle prescrizioni mediche, doveva averne a disposizione solo 25?” (Elisabetta Bertol).

Anche alla luce dell’analisi psicologica, l’ipotesi del suicidio fa acqua: “Il giorno prima di morire Marilyn parlò con la nipote di Joe DiMaggio del loro accordo per risposarsi l’8 agosto. Inoltre, se avesse scelto di farla finita, con ogni probabilità avrebbe aggiornato il testamento: quello ritrovato, vecchio di 18 mesi, non prevedeva disposizioni a favore di Greenson, che invece ormai era diventato una presenza fondamentale per il suo equilibrio psichico” (Barbara Gualco).

Forti dubbi sul suicidio furono del resto espressi proprio dalle persone più coinvolte nelle indagini: il procuratore John Miner nel suo rapporto scrisse che non si trattava di suicidio (per poi correggere aggiungendo a “suicidio” l’aggettivo “intenzionale”) – e il tossicologo Lionel Grandison firmò il certificato di morte con l’indicazione di suicidio ma rivelò di esservi stato costretto da Curphey, e che la sua vera ipotesi sulla morte di Marilyn era quella di un’iniezione letale.

 

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Foglio di provini a contatto di Lawrence Schiller
    (cliccare immagine per miglior risoluzione)

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Un po’ diversa è la conclusione dei tossicologi italiani: “La concentrazione di barbiturico nel sangue, 4,5 milligrammi su 100 millilitri, in confronto a quanto riscontrato in altri casi di suicidio, è così elevata da rendere quasi impossibile l’ipotesi che la Monroe abbia assunto per via orale un quantitativo del genere. Ma nell’autopsia non si è trovata alcuna traccia di iniezione. Si è riscontrata invece una zona infiammata nel colon retto e questo può indicare che l’assorbimento massivo del veleno sia avvenuto lì. Ecco perché possiamo sottolineare la validità scientifica dell’ipotesti contenuta nella biografia di Spoto e cioè che la somministrazione sia avvenuta via clistere. Pratica che per Marilyn – al netto del veleno – era un’abitudine, per la quale la assisteva la governante. Fu dunque la Murray a somministrare la dose fatale? E avrebbe agito di sua iniziativa o per conto di qualcuno? Qui le cose si fanno più ingarbugliate: da un lato è noto che la governante covava risentimento per Marilyn, che stava per licenziarla. Dall’altro si sa che Marilyn aveva minacciato Robert Kennedy, l’amante che l’aveva lasciata per non compromettere la vita familiare, di convocare una conferenza stampa con rivelazioni clamorose per lunedì 6 agosto se lui non fosse andato a trovarla nel week-end. Il 3 agosto risultano diverse chiamate senza risposta della Monroe all’hotel dove si trovava Kennedy. E proprio lui fu fermato dalla polizia di Los Angeles per eccesso di velocità a pochi chilometri dalla casa della Monroe, intorno alle 24 di quella notte in cui l’umanità si addormentò per risvegliarsi con un sogno di meno.”(Francesco Mari)

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 Marilyn Monroe - foto di Lawrence Schiller
 (cliccare immagine per miglior risoluzione)

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"Something's Got to Give", scena nella piscina audio inalterato da riprese

 

 

 

 

 

 

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