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E anche queste non sono state solo partite di calcio

E anche queste non sono state solo partite di calcio

Pur con alterne vicende e in mezzo a stucchevoli giochi di ruolo, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sembra una cosa ormai data per scontata dai più, anche se non passa giorno che non arrivino segnali contrastanti che potrebbero far credere che, alla fine, questo divorzio non ci sarà: mentre Farage rientra in politica dalla porta principale (cosa che credevo possibile solo in un paese come il nostro, non certo in UK) probabilmente alla testa di una formazione politica che potrebbe avere la maggioranza relativa dei consensi, il resto dei partiti ormai frammentato  continua a vivere contraddizioni interne che appaiono insanabili, sicuramente tali da impedire che un dibattito serio e definitivo sulla Brexit produca atti concreti per indicare che cosa l’UK diventerà dopo, e quali strade percorrerà.

 

Mentre la politica naviga a vista, accadono alcune cose che possono indurre qualche riflessione; inizio con una partita di calcio (tanto per non mascherare la mia pluridecennale passione).

Non so quanto i bookmakers quotassero una finale di Champions League tutta inglese, e credo che chi avrà scommesso su questa ipotesi (specialmente dopo le partite di andata delle semi-finali) avrà di che gioire di questa scelta, perché in modo del tutto inatteso, sia Liverpool che Tottenham, pur prive dei rispettivi migliori attaccanti, hanno dato una lezione ai nostrani rappresentanti in quel mondo, che ripetono ossessivamente “fino alla fine”, con la fine che per loro arriva sempre troppo presto (non me ne vogliate amici juventini: così è!); due partite da stropicciarsi gli occhi ed invocare un’attenta verifica da parte dell’antidoping!

Per di più, se non accadranno analoghi ribaltamenti negli incontri di ritorno, anche l’Europa League (quella che spesso viene definita la “coppetta”) avrà una finale tutta inglese, con Londra che vedrà schierate in campo nelle due finali tre delle sue squadre cittadine; non credo esista una morale in questo, se non quella che gli inglesi, anche se non hanno inventato il calcio, spesso ci ricordano che così come sanno essere tosti sui campi di battaglia, lo sono anche sul tappeto erboso, trascinando in questa mentalità anche quei loro giocatori che non sono nati nella perfida Albione.

Sicuramente vi saranno inglesi che di questo rigurgito nazionalista si faranno vanto anche in funzione della brexit, così come i londinesi (che in massa la brexit l’hanno avversata) potranno controbattere che a vincere sarà la visione europeista della loro partecipazione nel calcio, anche se nessuno ha mai messo in discussione, ovviamente, il mantenimento dell’iscrizione agli organismi sportivi internazionali delle loro squadre.

In pochi giorni assisteremo alle due finali di coppa ed ai risultati delle elezioni europee nelle quali i sudditi di Elisabetta II saranno chiamati, loro malgrado, ad esprimere i propri rappresentanti nel Parlamento europeo per quel breve lasso di tempo che intercorrerà tra l’insediamento del nuovo organo legislativo e l’uscita del Regno Unito dall’UE; a prima vista anche questa vicenda appare anacronistica, ma un suo qualche significato potrà assumerlo perchè, dando per scontato che la partecipazione del voto inglese sarà scarsa, ci sono due ipotesi contrapposte che potranno alimentarla: la volontà dei brexiter di rafforzare il loro peso in quel consesso e, di contro, l’esigenza di chi alla brexit si oppone, di trovare sponde alle quali aggrapparsi nella speranza che non tutto sia ormai deciso, ed un nuovo referendum possa realmente avere luogo.

Restano poi aperte le due questioni di politica interna all’UK forse più spinose: la sempre maggiore volontà espressa dagli scozzesi nel corso di recenti manifestazioni di poter rivotare sulla loro permanenza nel Regno Unito, e la questione nord-irlandese.

 

     La giornalista Carole Cadwalladr

Sulla possibilità della Scozia di andare nuovamente a votare dopo che nel 2014 il 55% dei cittadini si era espresso per restare in UK, ci sono sempre più voci a favore; d’altronde come non ammettere che quel risultato così risicato per un referendum di quella portata, avrebbe potuto essere diverso se gli scozzesi avessero potuto sapere che di lì a poco il contesto sarebbe totalmente cambiato? Da un punto di vista demografico e industriale, l’importanza della Scozia è marginale nel contesto dell’UK (giacimenti petroliferi a parte), ma da quello politico e dell’immagine lo è eccome, e non solo per la storica contrapposizione tra le due nazionalità (cosa che potrebbe paradossalmente alimentare pulsioni non volute), ma perché il distacco di Edimburgo finirebbe per porre la parola fine ad uno degli Stati dalla storia più gloriosa a livello mondiale, anche perché a ruota probabilmente pure in Irlanda del Nord vi sarebbero iniziative per tornare nell’alveo storico dal quale innaturalmente è stata staccata.

 

E persino il Galles (i cui elettori si sono espressi in massa per la Brexit) potrebbe accorgersi che il benessere di cui gode è frutto in gran parte dei sostanziosi trasferimenti che la Comunità Europea  effettua in favore di quella regione, che dopo l’abbandono delle miniere di carbone e la cura Tatcher è una di quelle che più di tutte ha sofferto la deindustrializzazione e la perdita di posti di lavoro.

Per non parlare di Londra, per la quale molti stanno ipotizzando una sorta di percorso autonomo come testa di ponte tra ciò che resterà dell’UK ed il continente, come se realtà tipo Hong Kong, Singapore o Macao fossero facilmente riproducibili oggi sulla Manica.

Ma il problema più spinoso era e resta quello di Belfast e di ciò che accadrà da quelle parti se coloro che hanno deposto le armi (nascondendole) dopo l’accordo del 10 aprile 1998 decidessero di riprenderle, molti ingrigiti dall’età, ma ancora pronti a rinsaldare le fila in vista di una nuova stagione di sangue, della quale abbiamo già iniziato a vedere i primi segnali a novembre scorso con l’uccisione della giovane giornalista Lyra McKee in quella città che viene denominata Londonderry o di Derry, secondo la fazione di appartenenza.

 

        La compagna di Lyra McKee (dx) la ricorda

Una curiosità; la seconda città dell’Irlanda del Nord si era sempre chiamata Derry (Doire in gaelico) sino al 1613 quando il Re d’Inghilterra decise di aggiungere “London”, a voler ribadire il suo pieno diritto su quelle terre. Da quel momento in poi la questione nazionalista non si è mai sopita, e solo nel 1998, con gli accordi di pace tra i nazionalisti del Sinn Féin e gli unionisti, ha ripreso forza lo scontro per riportare alle origini il nome di quella che è stata una delle città simbolo dell’IRA.

Il 30 gennaio del 1972 Derry fu teatro di una delle più spregevoli reazioni da parte dell’esercito inglese durante una manifestazione, con l’intervento della polizia che portò alla morte di 13 manifestanti; fu l’inizio di una rivolta che durò mesi, durante la quale vennero trucidate quasi 500 persone. Il comportamento del governo di Londra fu indegno, con la Regina (quella attuale naturalmente) che decorò uno dei massimi organizzatori delle stragi; fu solo con Tony Blair (scozzese) che fu istituita una commissione d’inchiesta che riportò alla luce le responsabilità, e quella fu una delle pietre miliari della riconciliazione nazionale del 1998, quella stessa che adesso viene rimessa in discussione con la Brexit.

Su quella tragica domenica del 1972 gli U2 hanno composto una delle loro più famose canzoni nel 1983 (probabilmente non la più bella), mentre nel 2002 è stato girato un film con la regia di Paul Greengrass (che con quel cognome può anche essere scambiato per irlandese anche se è inglese purosangue): Bloody Sunday.

Certo che ai giocatori di Barcellona ed Ajax (che le hanno prese di brutto da Liverpool e Tottenham) non avrei consigliato la visione di quel film prima della partita, perché sarebbe stato decisamente eccessivo accostare vicende così drammatiche ad una partita di calcio, ma una maggior considerazione delle notevoli risorse caratteriali di quel popolo l’avrei consigliata, eccome! E che ne abbiano non so se considerarla una bella notizia (calcio a parte, naturalmente).

 

 

 

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