le storie

Hasta luego, Fidel

Hasta luego, Fidel

La morte di Fidel Castro, già politicamente scomparso dopo il passaggio di consegne dinastico avvenuto nel 2006 a favore del fratello Raul, era un evento lungamente atteso che oggi turba solo per il suo valore simbolico, che fa versare qualche lacrima di rimpianto a chi aveva condiviso le sue idee e i suoi sogni, e scatena i festeggiamenti degli esuli cubani emigrati ad appena 90 miglia di distanza, sulle coste caraibiche della Florida e del capitalismo.

Era l’ultimo comunista ortodosso ad avere perso il potere, difficile considerare tali i mandarini cinesi, ed ha avuto la ventura di poter vedere, da spettatore malinconico, il lungo addio al comunismo del paese che aveva governato per molti decenni con pugno di ferro, forse immaginando i cambiamenti che sarebbero avvenuti, e che probabilmente avverranno ancor più rapidamente dopo la sua scomparsa, che piaccia o no a Trump.

Certamente è stato un personaggio gigantesco, con un impatto mediatico inconcepibile per le dimensioni e il peso del suo piccolo paese, e il fatto che oggi tutti i giornali del mondo gli dedichino la prima pagina dimostra che l’eccentrico rivoluzionario cubano dalla biografia leggendaria, passato attraverso alcuni snodi decisivi della storia del ‘900, sarà difficilmente dimenticato.

Hasta luego, Fidel Hasta luego, Fidel

Succede spesso che le rivoluzioni avvengano dove miseria e sfruttamento si incrociano, dove i diritti sfumano nelle più radicali e intollerabili ineguaglianze, ed altrettanto di frequente succede che le rivoluzioni vincenti, in nome di quei diritti quasi sempre ovvi e pleonastici, sui quali neanche si dovrebbe discutere, si trasformino in dittature o dispotismi spietati: è successo alla rivoluzione francese, è successo alla rivoluzione russa e a quella cinese, ed è quasi sempre successo alle cento rivoluzioni che si sono consumate nei paesi poveri del mondo durante tutta l’età moderna, prima per cancellare il colonialismo europeo, e poi per evitare quegli eccessi di concentrazione della ricchezza che oggi sono felicemente garantiti dalla democrazia e dalla libertà occidentale.

Fidel non è stato un’eccezione, ha sconfitto e cancellato un regime vergognoso quando altri regimi vergognosi prosperavano e vincevano in tutta l’America latina, ma per rimanere al potere ha dovuto cancellare ogni forma di libertà, incarcerare e uccidere gli oppositori, e far vivere il suo paese in un autarchico isolazionismo che lo ha lasciato poco lontano dalla precedente miseria, e che solo la rendita di posizione che gli ha assegnato la guerra fredda ha in qualche modo potuto temperare.

Era inevitabile? Poteva andare diversamente? Difficile, oltre che inutile, cercare una risposta per il passato, anche se probabilmente i cubani se lo chiedono ogni giorno, ma il futuro ci potrà forse dire qualcosa, che non vale di certo ora per allora, ma non possiamo pretendere niente di più.

Cuba dovrà affrontare il suo viaggio verso il capitalismo, come è già successo a molti paesi europei emersi dalle macerie del muro di Berlino, nessuno dei quali si può paragonare per tradizione, cultura, collocazione e importanza storica recente all’isola caraibica. Cuba non è in Europa, non ha interrotto alcun tipo di sviluppo, era ed è un paese estremamente povero, con pochissime risorse e senza alcun sistema industriale; non è neanche la Cina, abituata da millenni a forti strutture statali che oggi funzionano perfettamente e garantiscono lo sviluppo economico nella più totale assenza di libertà e democrazia; nessuno sa se Cuba può disporre di una classe dirigente all’altezza del compito che l’aspetta, ma sappiamo tutti che nel mondo globalizzato di oggi i meccanismi che regolano il potere politico e il potere economico non sono sempre coerenti e allineati, neanche in paesi ben più robusti e strutturati.

Hasta luego, Fidel

Cuba è oggi un paese probabilmente più civile di quello che era negli anni ’50, ha un’identità culturale e una coesione sociale, ha goduto di un ruolo importante nel modo, e ha usufruito, grazie ai soldi dei russi, di un ottimo servizio sanitario pubblico e di scuole di apprezzabile valore, tutte cose che non fanno mai male; il resto del mondo è più civile di quanto lo fosse negli anni ’50? Non saprei dire con assoluta certezza, ma se penso che in molti trasformerebbero volentieri Cuba nel parco giochi dove gli occidentali vanno a puttane, mi verrebbe da dire di no.

Vedo un rischio nell’attuale situazione di Cuba, che è poi quello del gioco dell’oca: la sua rivoluzione è nata da una condizione di miseria sociale e morale, è proseguita con una dittatura brutale, tutte lo sono, anche quelle meno sanguinarie, e può finire, per le regole del mondo moderno, e forse anche un po’ per la sua carica simbolica, in una nuova e diversa miseria sociale e morale, come spesso succede nelle controrivoluzioni.

Fidel, per il ruolo che ha avuto e per l’uomo che è stato non poteva evidentemente porsi questi problemi, e non poteva essere il Deng Xiao Ping di sé stesso; era troppo ingombrante la sua personalità, pochi uomini sono stati soli al comando come lui, e probabilmente non si è neppure mai accorto del fatto che era assurda la povertà dei medici e degli insegnanti cubani vicino al relativo benessere del barista che serviva il cocktail ai turisti, ma oggi non è affatto scontato che Cuba si possa incamminare su un sentiero di sviluppo economico e sociale, anche se posso credere che essere molto poveri un po’ aiuti, non fosse altro per il fatto che all’inizio è più facile migliorare.

Naturalmente è una partita che va giocata, sarebbe anche stato saggio farlo prima, ma non è successo, e anche per questo mi sembra che i cubani non abbiano ora in mano le migliori carte da giocare; è vero che oggi in pochi le hanno, ma mi sembra che l’addio a Fidel Castro, ad un tempo carico di malinconici rimpianti per quel che poteva essere e non è stato, e di grandi speranze in un futuro che è invece carico di incertezze e conflitti, rappresenti bene le contraddizioni della modernità, per le quali nessuno, neanche Fidel, aveva e ha le risposte.

Hasta luego, Fidel

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