la società

I soldi non danno la felicità

Quante volte abbiamo sentito dire queste parole e, diciamolo sinceramente, come poter contraddire? La vita è fatta di ben altro che non la materialità che la sostiene e quanto più importanti sono i sentimenti, gli affetti, le sensazioni, le emozioni, che riempiono di colori un tempo che, senza di essi, sarebbe costituita forse da scalature di grigio?
Il fatto è che questa frase, difficilmente la sentiamo pronunciare da chi di soldi ne ha e ne può spendere a profusione; molto più spesso, invece la ascoltiamo da chi, volente o nolente, si trova a fare rinunce indotte da una condizione economica precaria. Intendiamoci, vi sono anche persone che hanno fatto scelte di vita minimali, che si accontentano di poco e scelgono di dare altro valore al loro tempo, ma questa non sembra essere la regola.
Già, il tempo; ma qual’è il suo valore? Se accettiamo la sfida di convertire in denaro il nostro tempo, possiamo dilettarci in un paio di esercizi che consiglio solo a chi non sia già sprofondato, prima ancora di leggermi negli abissi della disperazione.

 

Il primo consiste nel determinare quanto è il valore monetario del tempo che dedichiamo al lavoro; per fare questo esercizio, è necessario essere sinceri e non raccontarsi, quindi, bugie. Per esemplificare ciò che voglio arrivare a evidenziare, prenderò a riferimento uno stipendio ipotetico netto mensile di euro 1.500 (probabilmente rispondente, oggi, ad un reddito medio di chi un lavoro ce l’ha). Consideriamo adesso quante ore settimanali lavoriamo per produrre questo reddito (e per lavoro intendo tutto il tempo che è necessario per svolgere questa attività): 8 ore di lavoro più, mediamente, un’ altro paio di ore per recarsi sul luogo di lavoro e tornare, poi a casa (poi ci sarà chi scende le scale ed è arrivato come, però, anche chi deve percorrere tragitti anche doppi rispetto a quelli da me ipotizzati); 10 ore al giorno, per 5 giorni la settimana, per 4 settimane mensili, e si ottiene una retribuzione media oraria intorno ai 7,5 euro l’ora.

Il secondo esercizio, ancora più deprimente, lo possiamo definire il valore monetario della nostra esistenza; in questo caso, però, anziché le sole ore lavorative, dobbiamo considerare tutto il tempo della giornata, 24 ore al giorno per trenta giorni medi mensili; i soliti 1.500 euro diventano poco più di due euro all’ora.

Alcune tra le persone che si sono addentrate in questi calcoli hanno finito, o per suicidarsi, o per cercare qualche isola tropicale dove vivere di noci di cocco e altri frutti spontanei della terra; la maggior parte resiste nel mandare avanti una macchina che, diciamocelo francamente, forse meriterebbe di essere rottamata per conclamata inefficienza (almeno per i più).
Ma tant’è: questo è il mondo nel quale viviamo e lavoriamo. Cerchiamo, almeno, di fare le cose con un po’ di criterio.
Di primo acchito, mi vien da dire, dovremmo cercare di spendere bene il nostro denaro, ma non sono così annebbiato dal caldo odierno, da non capire che, con 1.500 euro al mese, è assai difficile spendere male, giacché ben poche sono le soddisfazioni che, con una simile cifra, possiamo toglierci, al di là dei bisogni elementari: la casa, i figli, le bollette, la spesa quotidiana.

C’è una cosa, però, che nel nostro Paese, sia pur con redditi così bassi, molte persone continuano a fare, ed è risparmiare; sembrerà un paradosso, un assurdo, ma sia pur in tempi di crisi, sono molte le famiglie italiane che stanno risparmiando (forse non molti tra quelli che guadagnano solo 1.500 euro, ma tant’è) e lo testimoniano i dati resi pubblici del 2014 dai quali si evince che la propensione al risparmio è leggermente diminuita, ma non così tanto come la crisi economica potrebbe far pensare. Soprattutto, considerando che non sono solo dati aggregati (la famosa media del pollo), perché le banche sono in grado di comunicare dati divisi per categorie di risparmiatori, e se è ovvio pensare che pesino molto i pochi che comunque si arricchiscono, resta il fatto che i consumi languono perché anche chi ha redditi bassi, magari risparmia pochi euro, ma sono in molti a farlo.

E qui siamo al punto che voglio andare a toccare: che cosa accade dei nostri risparmi? Se è vero che risparmiare oggi, molto più di ieri, significa fare un sacrificio immediato in previsione di una spesa futura, e se anche giova sempre ricordare che la Costituzione Italiana, all’art. 47 , tutela il risparmio, nella realtà, i nostri sacrifici, sono adeguatamente tutelati?

Intendiamoci subito: qui non si danno consigli, non ci sono sfere di cristallo, non ci sono amici che sanno cosa fare; le decisioni di investimento, di come far rendere (poco o tanto), ciò che abbiamo accantonato, attengono alla responsabilità personale di scegliere; il fatto vero è che, quasi sempre, di consapevolezza non ce n’è, per niente, e si rischia, spesso mal consigliati, di fare cose che, consapevolmente, mai avremmo fatto.
Ci sono cose che dovremmo sapere ben prima di decidere a chi e come affidare i propri risparmi e queste cose spesso sono ben mimetizzate in quella montagna di carta che ci viene consegnata in virtù di una pretesa di trasparenza che mai è stata così opaca; vediamo di fissare alcuni punti.

Inflazione
Anche se non facciamo niente, che si possegga poco o tanto, giorno dopo giorno, i nostri soldi perdono di valore erosi dalla bestia nera del denaro: l’inflazione. Si pensi che negli ultimi venti anni, già al netto della pessima gestione all’atto della conversione lira/euro (nella quale per pudore non mi addentrerò) i nostri soldi si sono svalutati, complessivamente, di circa il 45%. E tutto questo considerando solamente il famoso paniere che attualmente si compone di più di 1.400 beni di consumo, ma che non sempre ha rispecchiato gli effettivi consumi delle famiglie italiane (basti pensare al fatto che le nazionali senza filtro sono state tolte quando forse non esistevano più in commercio e, comunque, da non molti anni). Lo spauracchio dei tedeschi dovrebbe impensierirci ben più di quanto faccia perché, in effetti, ci impoverisce, giorno dopo giorno, subdolamente.
Ebbene, quando noi risparmiamo con sacrificio si sappia che, anche in anni di bassissima inflazione come gli ultimi vissuti (e non è detto che duri), il denaro che accantoniamo invecchia, ammuffisce, si deteriora se non facciamo le scelte oculate: chiediamoci “che cosa ci protegge dall’inflazione?” prima ancora di “quale rendimento mi offrono?”.

Tasso di rendimento
E’ quello che determina l’incremento di valore del nostro risparmio; netto o lordo? Sempre e comunque lordo. Nessuno può proporci un tasso netto in quanto nessuno potrà mai prevedere ciò che accadrà sull’imposizione fiscale nel futuro e, promettendo un tasso netto, si espone ad una possibile perdita futura che, temo verrà sempre e comunque scaricata, sotto forma di un minor rendimento, sul malcapitato risparmiatore che si è fidato.
Il rendimento più alto? Espone in ogni caso a rischi più alti; a parità di rischio il tasso non può essere troppo diverso tra un’offerta ed un’altra. Con il denaro non avviene come con la merce che si può trovare a prezzo inferiore da un rivenditore che ha necessità di fare cassa, e può trattarsi della stessa identica merce: qui noi, i nostri soldi, li prestiamo a qualcuno che, poi, dovrà renderceli. E qui viene il bello.

A chi prestiamo i nostri soldi?
Tecnicamente, nel contratto che andremo a sottoscrivere (qualunque esso sia, dal semplice “conto corrente” a forme più sofisticate come il “mandato di gestione”), noi finiremo, in ogni caso per consegnare il nostro denaro a qualcuno e assumeremo una veste (nei confronti di questo qualcuno) di volta in volta diversa, secondo il rapporto: se sottoscriveremo azioni, sia impegnandoci direttamente nel Capitale Sociale di una Spa (Società per azioni e non Beauty Farm), che sottoscrivendo quote di Fondi Comuni di Investimento, diventeremo, a tutti gli effetti, soci in dette società, e ne subiremo tutte le conseguenze sia in positivo che in negativo, con l’unica differenza che, acquistando azioni di una o poche selezionate Società, amplificheremo il rapporto rischio/opportunità, mentre nei Fondi diversificheremo il rischio: ma sempre soci finiamo per essere.
Oltre agli azionisti, esistono poi gli obbligazionisti i quali, a fronte di un tasso di rendimento certo o variabile (ma stabilito nel contratto), vogliono poter contare su questo rendimento indipendentemente dalle alterne vicende societarie: essi prestano i soldi e li rivogliono indietro alla scadenza, dopo aver riscosso gli interessi pattuiti. Va da sé che se la Società fallisce, il capitale e gli interessi possono essere messi in serio pericolo; occorre quindi valutare bene l’investimento prima di farlo. Investire in Titoli di Stato ha la stessa identica logica; ciò che cambia è l’imposta sui guadagni (più bassa per i titoli di Stato) e, teoricamente (lo sottolineo) il fatto che i titoli di Stato dovrebbero rappresentare una sicurezza maggiore.
Ma il rapporto che un po’ tutti finiamo per intrattenere con la Banca e che, specialmente per piccole cifre, finisce per rappresentare il nostro serbatoio principale a cui attingere, è il conto corrente; e quello che rappresenta lo strumento più comune, forse, è anche quello meno conosciuto perché ben pochi sanno che nel depositare su conto corrente, noi diveniamo creditori nei confronti della Banca, ma contrariamente a ciò che accade nei prestiti obbligazionari, ci troviamo sul gradino più basso nella scala di valore relativamente alla qualità del nostro credito: siamo semplici “chirografari”. Di fatto, il rapporto più semplice e più comune è anche quello che, non rendendo ormai più niente, ci espone anche ai rischi maggiori.
In tutte le altre più note forme di risparmio (sia bancarie che assicurative), l’intermediario (Banca e Assicurazione, appunto), intervengono generalmente in qualità di gestori/amministratori, ma i nostri risparmi si trovano custoditi in contenitori autonomi dal patrimonio dell’intermediario, le cui vicende non ne influenzano la sorte. In questi casi, casomai, conviene focalizzarsi sui costi che l’intermediazione comporta, in relazione ai prospettati benefici (in termini economici).

È in ogni caso opportuno conoscere bene questi aspetti perché il mondo va avanti, le cose cambiano e non sempre ciò che accade ci viene detto, anzi, molto spesso veniamo tenuti all’oscuro di tutto fino a quando veniamo travolti da eventi che mai avremmo immaginato potessero succedere.
E’ accaduto così che, su sollecitazione del Fondo Monetario Internazionale, anche la Comunità economica europea ha emanato una direttiva (che già gli Usa hanno applicato – Lehman Brothers docet) che gli Stati aderenti dovranno recepire: d’ora in avanti in caso di dissesto di una Banca, se ne dovranno fare interamente carico amministratori, dipendenti, fornitori e clienti (si, avete capito bene, anche i clienti); ricordate quando nella notte tra il 9 ed il 10 luglio 1992 il Governo Amato decise in gran segreto di attuare un prelievo forzoso del 6 per mille su tutti i depositi bancari? Ebbene questo potrà ripetersi, non solo su decisione governativa, ma anche semplicemente perchè la vostra Banca potrebbe andare in crisi di liquidità e dover ricorrere ai vostri depositi e, a quel punto non resterà altro se non entrare in una di quelle procedure concorsuali (dal fallimento in su) nelle quali raramente si ottiene soddisfazione adeguata.

Sul fatto che, ormai, anche gli Stati possano fare questo, sorvolo (anche se il pericolo c’è e più volte, negli ultimi anni, si è ipotizzato un provvedimento in tal senso), ma lo si sappia bene che così, d’ora in avanti, andrà il mondo; almeno il nostro.

Sul fatto che ormai ben pochi siano i beni rifugio idonei a salvarci da un destino apparentemente ineluttabile, non è questa la sede per dilungarci; vorrei però prendere spunto da un articolo che abbiamo pubblicato in Modus durante l’ultimo speciale fatto in previsione dell’Expo di Milano, per dare qualche suggerimento non banale (anche se di non facile realizzazione per tutti) in quanto, tra i beni rifugio più reputati al momento, e sembrerà assai strano, c’è il terreno agricolo senza immobili sopra; forse abbiamo proprio sbagliato tutto.

 

Torneremo tutti agricoltori, e sarà la nostra salvezza

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11 comments

  1. Kokab 10 giugno, 2015 at 17:43

    ammetto la mia abissale ignoranza su questo tema specifico, ma quando ho letto che “in caso di dissesto di una banca, se ne dovranno fare interamente carico amministratori, dipendenti, fornitori e clienti”, in appliazione di una direttiva del fondo monetario internazionale, sono letteralmente trasecolato, non solo perchè non vedo un convincente fondamento giuridico dietro questa scelta, intravedendone al massimo uno di natura economica, ma anche perchè si sta delegando ad un soggetto privato una delle più tipiche e fondamentali potestà pubbliche, ossia alleggeriredi una certa somma i conti correnti dei cittadini.
    sarà un limite mio, ma è già spiacevole che lo faccia uno stato, che lo possa fare un privato, anche ammettendo la pubblica utilità del servizio di gestione del risparmio e del credito svolto dalle banche, a me pare del tutto incomprensibile; vista l’autorevolezza della fonte che ha determinato questo indirizzo normativo, non posso che aspettare spiegazioni da chi queste logiche le comprende.

    • M.Ludi 10 giugno, 2015 at 21:58

      E’ proprio il fondamento giuridico che legittima il coinvolgimento anche dei clienti: nel diritto civile quando una Società per Azioni fallisce, i creditori si devono rivalere sulla Società fallita e non sullo Stato; chiedere agli obbligazionisti Cirio, Parmalat, Argentina e Lehman Brothers. Era del tutto illusorio pensare che i correntisti delle Banche ne venissero esentati. Poi potranno essere anche attivati strumenti di tutela (come il FID, se ce la fa), ma d’ora in avanti non ci conterei molto. Spera che la Banca presso la quale hai depositato i tuoi soldi non fallisca, altrimenti dovresti toccare con mano (e non uso altre metafore) il fondamento giuridico.

      • Kokab 10 giugno, 2015 at 22:14

        mi sembra che il problema sia più sottile, un conto è perdere i propri soldi perchè la banca fallisce, è quasi sempre successo e sempre succederà, cosa diversa mi sembra essere il fatto che una banca in difficoltà, e non legalmente fallita, prelevi i soldi dai conti correnti per tenersi in piedi.
        quanto a me, il problema non si pone, io spendo sempre e immediatamente quello che guadagno, per principio e per necessità…

    • nemo 11 giugno, 2015 at 09:05

      Il primo esempio, storico, di fallimento di quella che sarebbe poi diventata un banca ci viene dalla storia di papa Callisto I. Da schiavo passato per il lavoro forzato alle miniere in Sardegna , dopo aver truffato molti dei suoi depositari, si trovo ad essere nominato Papa. Sarà forse l’inizio della voracità economica della nascente Chiesa ?

  2. Berto Al 10 giugno, 2015 at 10:11

    Ho sempre pensato che la vita fosse “qui ed oggi” per cui il domani ha per me sapore vago, indefinito; ma poichè, evidentemente, la maggior parte degli italiani al futuro ci pensa, sarebbe opportuno che certe notizie non trapelassero solamente per la buona volontà di qualcuno.

  3. nemo 10 giugno, 2015 at 08:23

    Bella conclusione, torneremo tutti Cincinnato? Il generale romano che tolta la corazza di guerriero tornava al suo campo a coltivare la terra ? Battute, storiche a parte, da parte mia il risparmio, attuale, è finalizzato a creare risorse per fare fronte al pagamento delle tasse, quelle di metà giugno e fine anno. Altro non mi è possibile visto il peso delle stesse. Quindi, ringrazio il nostro amico per i consigli, sempre utili. Ho voluto dare il mio contributo per evitare che la notizia, gli italiani hanno ripreso a risparmiare , fosse così generalizzata da non comprendere le grandi differenze che nel suo interno ha.

  4. Luistella 9 giugno, 2015 at 16:59

    Quanto hai scritto serve un pò , almeno nel mio caso a liberarti un pò dal senso ” di colpa”, che ti senti , specie se sei una donna . E cerco di spiegarmi meglio. Quando lavoravo , e mi dovevo quindi ridistribuire la giornata nei vari impegni non solo lavorativi, non mi rendevo conto che stavo facendo ( nè più nè di quanto fatto da tante altre), tutto e di più. Se tornavo a casa stanca o nervosa o non avevo pazienza con i figli, successivamente con il genitore anziano, non era perchè fossi una “cattiva” madre , figlia, lavoratrice, moglie, ecc…, ma era perchè, al termine della giornata, avevo esaurito tutte le disponibilità in mio possess. Di buono avevo ed ho sempre avuto, che “non mi portavo il lavoro a casa” e la “casa sul lavoro”, salvo casi particolari.Riuscivo insomma a staccare la spina a secondo delle situazioni. Mi bastava una settimana al mare, anche se carica di bambini vivaci di cui occuparmi, per rinascere ed affrontare di nuovo la routine. Ciò nonostante mi sono sempre rimproverata, in modo più o meno inconscio, di non avere fatto abbastanza, di essere stata inadeguata ai compiti che avevo, specie nei confronti dei figli. Solo ora che non lavoro più, mi rendo conto che non potevo fare di più. Forse meglio, sì, ma a volte non so come sono riuscita a fare tutto ciò che negli anni lavorativi ho svolto.
    Per quanto riguarda i risparmi , le difficoltà in cui ci troviamo causa la crisi globale e gli anni di malgoverno, quando questi ci sono ancora e non usati per tirare avanti la baracca in questi anni “feroci”, penso sia la necessità della gente di ridurre un pò l’ansia del restare senza denaro, di riconquistare un pò di sicurezza economica.Perchè è ben vero che la frase, i soldi non danno la felicità, è spesso usata da chi non ha questi problemi. Oppure pur avendone molti,non riesce a goderseli. Dalle mie parte si dice che ci vuole la salute, ma anche un pò di valute…

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