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inFausto Bertinotti: Una vita contro … la sinistra

 

inFausto Bertinotti

No, non è Khrushchev. E’ proprio lui.

 

Il comunismo? «Ha fallito». La cultura politica da cui si deve ripartire? «Quella liberale, che ha difeso i diritti dell’individuo». Il gesto più rivoluzionario di questi anni? «Le dimissioni da Papa di Joseph Ratzinger». L’unica delle tre grandi culture del Novecento che è in vita oggi? «Quella cattolica, che è stata rivitalizzata da papa Francesco che si sta guadagnando consenso e attenzione di mondi lontani».

L’eutanasia politica del prestigioso esponente della sinistra rivoluzionaria italiana si è compiuta, in sordina come da prassi in ogni eutanasia, a Todi il 29 agosto scorso. L’artefice, un uomo arrivato alla fine dell’attività trovandosi svuotato, col male di vivere la politica. Bertinotti ha raccontato  a coloro che gli stavano intorno che la società «chiede una rifondazione delle grandi visioni del mondo. La sinistra che io ho conosciuto, quella della lotta per l’eguaglianza degli uomini, quella che chiedeva ai proletari di tutto il mondo di unirsi, è finita con una sconfitta. Io appartenevo a questo mondo. Questo mondo è stato sconfitto dalla falsificazione della sua tesi (l’Unione sovietica) e da un cambiamento della scena del mondo che possiamo chiamare globalizzazione e capitalismo finanziario globale». Che poi il grande esponente dell’estrema sinistra abbia ostacolato in tutti i modi la svolta della Bolognina, è questione secondaria.

E qui la scelta di campo fatta in tutta la sua vita, ma mai confessata: «Io penso che la cultura liberale- che è stata attenta più di me e della mia cultura all’individuo, alla difesa dei diritti dell’individuo e della persona contro il potere economico e contro lo Stato – è oggi indispensabile per intraprendere il nuovo cammino di liberazione». Che poi la cultura liberale abbia portato negli ultimi 30 anni al neo-liberismo, alla riduzione al lumicino del ceto medio, alla disoccupazione, alla sottocupazione e all’alienazione forzata di tanta parte di persone dal mondo del lavoro, sospinte ai margini della società e a cui è stato negato il diritto fondamentale di ognuno al lavoro e ad una vita dignitosa, queste sono faccende secondarie, quisquilie da intellettuali di periferia. Parola di uno che, anche senza contare risparmi, veleggia con una pensione mensile da sfamarci tutto un campo Rom.

Dopo questo lavacro purificatore, il nuovo battesimo bertinottiano: «Io penso che la cultura liberale ha in maniera feconda scoperto prima, poi difeso e rivalutato il diritto individuale come incomprimibile. Se io oggi dovessi riprendere il mio cammino politico, vorrei mettere nel mio bagaglio oltre a quel che c’è di meglio della mia tradizione, sia pure rivisitata molto criticamente, ma soprattutto ciò che viene portato dalla tradizione liberale e da quella cattolica». Se oggi dovesse riprendere il suo cammino politico insomma, probabilmente rifonderebbe la DC, mettendosi in una ciscoscrizione elettorale sicura, meglio ancora con elezioni senza preferenze.

Oltre ai partiti della sinistra, nemmeno il sindacato è sfuggito alle farneticazioni di Bertinotti, che pure è stato una vita dirigente (sic) della Cgil. Parlando del sindacato come di un ente a lui del tutto estraneo «ll sindacato in Italia è diventato un pezzo dello Stato sociale … mettendosi a sedere ai tavoli di concertazione con governo e imprenditori». E a questo punto Bertinotti ha fatto un esempio pratico e assai illuminante dei risultati di questa scelta sindacale: «Nel 1975 i salari italiani erano i più alti di Europa. Più alti di quelli che c’erano in Germania: un operaio di Mirafiori prendeva di più di un operaio della Volskwagen, e la Fiat faceva 2 milioni di automobili. Oggi i salari italiani sono fra i più bassi di Europa. Qualcosa evidentemente non ha funzionato, e il sindacato è parte di questo qualcosa. Ha scelto sempre il male minore. Ma soprattutto ha scambiato la difesa dei lavoratori con un riconoscimento crescente del suo ruolo istituzionale. Hanno fatto meno contratti e sono andati più volte a palazzo Chigi».

E ora Cgil e compagnia sono destinati a scomparire: « Ora arriva Matteo Renzi», ha chiosato Bertinotti, «che ti cancella e il sindacato non ha più armi per difendersi. Perché nel frattempo sono i lavoratori a non riconoscerti più come prima. Avresti dovuto rinunciare tu al sovrappiù di permessi sindacali nel pubblico impiego, non fartelo imporre. Un sindacato così è un sindacato disarmato, che prima o poi si fa irretire nella rete del potere».

Vediamo per un momento l’apporto di Bertinotti al sindacato. Dal 1975 – quando come da lui riferito i salari dei lavoratori italiani nell’industria erano i più alti di Europa – al 1985, è segretario regionale della CGIL piemontese, diventando il leader di Essere Sindacato, la corrente più a sinistra della CGIL, fortemente critica nei confronti della politica di concertazione condotta da CGIL, CISL e UIL. Da questa prospettiva prende parte alle lotte operaie di quel tempo, in special modo quella degli operai della FIAT. Contribuendo a portare i lavoratori ad un livello tale di esasperazione da arrivare nel 1980 ai lunghissimi 35 giorni di sciopero, terminati ignominosamente dalla Marcia dei Quarantamila. Fatto che segnò una disfatta epocale per il sindacato e per il Partito Comunista Italiano e che dal quale non si ripresero più.

Invece di mettersi la coda tra le gambe, il super rivoluzionario della sinistra continua imperterrito nella sua attività, promuovendo il referendum per l’estensione dell’articolo 18 anche ai lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti. Iniziativa che fallisce miseramente per il mancato raggiungimento del quorum di votanti. Forte di questo ‘risultato’, nel marzo del 2005 rilascia una intervista al Corriere della Sera in cui dichiara grande fede rivoluzionaria: «Certo: la proprietà privata non si può abrogare per decreto. Ma è un obiettivo» Questo nonostante che il programma politico del suo partito, il PRC, non menziona affatto l’abolizione della proprietà privata, accettando nei fatti i rapporti di produzione capitalistici. Quale è lo scopo dell’intervista, dunque? Sempre il solito: far gridare allo scandalo la destra, alienare i moderati e far perdere consensi alla sinistra, per continuare a tenerla nella periferia della politica del paese.

Da buon rivoluzionario, nel giugno 2007 Bertinotti da vita alla rivista Alternative per il socialismo. Queste le parole di Bertinotti a proposito della rivista: «Alternative è ciò che è maturato nel nuovo secolo di critica alla globalizzazione capitalistica, e noi tra questo. Noi, è ciò che è cresciuto nel processo di rifondazione, la resistenza e la rottura, e nel suo rapporto con i movimenti. Per il socialismo è una scelta che viene motivata sulla base di quel percorso e che propone un’idea liberata di società aperta, sia come possibilità che come società stessa». Nel frattempo, l’anno prima, nel 2006 dichiara un reddito di 213.195 € che ne fa il quarto politico più ricco della Camera dei deputati del tempo.

I trascorsi non fanno certo prevedere tanto spirito rivoluzionario e tanto benessere economico allo stesso tempo. Fausto Bertinotti nasce a Milano da padre macchinista delle Ferrovie dello Stato e da madre casalinga. Nel 1962 si diploma perito elettronico con tre anni di ritardo per via di alcune bocciature. Evidentemente non erano ancora i tempi degli esami proletari. Aderisce al PSI nel 1960, entrando nel 1964 nella CGIL, Appena in tempo per darsi da fare, sia nell’ostacolare l’entrata del Psi nel governo – incoraggiando la scissione del PSIUP – che per darsi da fare nel riuscire nel 1972 a cambiarne nome, da Partito Socialista di Unità (sic) Proletaria in Partito Scomparso In Un Pomeriggio.

Continuando l’attività frazionista nella quale si rivela sempre più esperto, tra il 1989 e il 1991 è tra i comunisti che non accettano lo scioglimento del Pci, aderendo momentaneamente al PDS, per poi lasciarlo nel maggio 1993, rendendosi anche artifice dell’astensione al voto di fiducia durante la formazione del Governo Ciampi. Dopo aver avuto rassicurazione di diventarne segretario nazionale, a settembre accetta l’invito di Armando Cossutta e Lucio Magri, poveretti, di iscriversi al PRC, Partito della Rifondazione Comunista. Facendo estromettere da segretario Sergio Garavini, che aveva diretto il partito fin dalla fondazione. Curiosamente Bertinotti il 23 aprile 1985 era entrato nella segreteria confederale della CGIL prendendo anche allora il posto proprio di Garavini.

L’anno dopo, nel 1995, Bertinotti si attivizza di nuovo e, insieme a Armando Cossutta, decide di rompere l’unità con i partiti dell’alleanza dei Progressisti, e di votare contro la fiducia al neo Governo di Lamberto Dini, proposto dal Presidente Scalfaro per impedire le elezioni invocate da Silvio Berlusconi, dopo che Umberto Bossi aveva rotto l’alleanza di centro-destra. Contro l’infausta scelta si schierano Garavini, Lucio Magri, Rino Serri, e complessivamente 12 deputati, 3 senatori e 2 europarlamentari del PRC. I quali salvano con il loro voto il Governo Dini, uscendo dal partito. Grazie a questo salvataggio, vengono evitate le elezioni invocate da Berlusconi e il centro-sinistra guadagna i 12 mesi di tempo sufficienti per recuperare e vincere le elezioni del 1996. Con l’uscita di Garavini, dei dirigenti ex ingraiani a lui più vicini, e della corrente di Magri, Bertinotti prende il controllo del partito, dando il benservito a Cossutta e cominciando a fare, come vedremo,  i fatti suoi.

Le elezioni politiche del 1996 sono vinte dall’Ulivo e Prodi diviene Presidente del Consiglio. Non mancano naturalmente, immediati attriti con Rifondazione Comunista: sulla riforma delle pensioni e, soprattutto, sulla legge finanziaria del 1998. Questa volta finalmente Bertinotti convince la maggioranza dei suoi a votare contro, Subito dopo il governo Prodi cade, sostituito dall’allora segretario del PDS Massimo D’Alema. Non riesce a mettere il bastone tra le ruote a quest’ultimo solamente per il fatto che D’Alema, in quanto ad insuccessi, non ha certo bisogno di ricorrere ad aiuti esterni.

Nonostante il flop del PRC alle elezioni europee del 1999, Bertinotti riesce a farsi eleggere deputato al Parlamento di Strasburgo e, così, a continuare a prendere lo stipendio di onorevole, con tanto di indennità e benefici di ogni sorta. Dal 2002 inizia il disgelo tra Rifondazione e il Centro-sinistra, che si alleano sia alle elezioni amministrative, sia per le regionali del 2005, nettamente vinte dall’alleanza di centro-sinistra, di cui Rifondazione entra a far parte. Bertinotti partecipa alle primarie per la scelta del capo della coalizione dell’Ulivo alle elezioni politiche del 2006, raccogliendo il 14,7% dei consensi. La campagna elettorale di Bertinotti era centrata sullo slogan “Voglio”. Cosa volesse, si capirà molto presto. Infatti, appena assicuratasi l’elezione a presidente della camera dei deputati – con conseguente aumento di stipendio – Bertinotti comincia ben presto a rilasciare interviste che fanno da pietra tombale al governo Prodi. Con colto liricismo Bertinotti paragona Prodi a Vincenzo Cardarelli, «il più grande poeta morente», paragondo invece il suo governo ad un brodino caldo. Dichiarando infine senza mezzi termini, per non essere frainteso da coloro che non amano la poesia o i pasti leggeri,«questo governo ha fallito».

Finisce con l’ultimo governo di sinistra e, con il successo elettorale del partito ad personam di Berlusconi, l’avventura politica del nostro eroe. Senza partiti progressisti da poter scindere, senza coalizioni riformiste da abbindolare, senza governi di sinistra da poter far cadere, piano piano l’ardimentoso campione dell’ultra sinistra italiana si avvia sulla via di Damasco, con tanto di ravvedimento da fargli proclamare le virtù del capitaliasmo neoliberista attuale. Ma questo non significa affatto che l’attività politica di Bertinotti sia stata tutta sprecata. Infatti, nonostate le umili origini, anni di lotte per il proletariato lo hanno reso persona benestante e anche un apprezzato frequentatore dei salotti più ambiti dell’aristocrazia della capitale.

Aspettiamo ora di vederne altri pronti ad emularne le gloriose gesta. Candidati già se ne vedono diversi all’orizzonte, pronti a prendere l’eredità del super rivoluzionario la cui guida ispiratrice è sempre stata quella del “Tutto e Subito”. E, se non è possibile avere tutto e subito, ebbene, che si vada avanti col neoliberismo tanto apprezzato nel discorso di Todi.

Bertinotti, bontà sua,  fece la fortuna di Berlusconi. Chi sarà o saranno attualmente gli artefici di future fortune?

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6 comments

  1. nemo 5 dicembre, 2014 at 09:29

    Ottima ricostruzione, puntigliosa, del personaggio. Oggi si “converte” al liberalismo, vivaddio padrone di farlo, ma convengo, anziché godere della “sudata” pensione costui ancora parla e quel che è peggio non lo fa con quella che era una delle caratteristiche prncipali degli intellettuali della sinistra facendo autocritica, lo fa distribuendo perle di saggezza, come se la saggezza, sopratutto politica sia mai stata il suo forte. Con la esperienza, collaudata, delle molteplici scissioni alle quali ha partecipato e delle , diverse, sconfitte che ha subito, oggi il nostro ci dona , in senso metaforico una parte delle sua saggezza, ci dice che ha scoperto il senso positivo che la società liberale porta con se , ha scoperto il senso positivo della religione , attraverso la il cattolicesimo, starei in guardia fossi uno dei raprresentanti di queste due filosofie, starei in guardia vista la storia di sconfitte che le scissioini che costui ha regalato alla sinistra , starei in guardia , trovasse adepti !

  2. scan 2 dicembre, 2014 at 22:04

    ti leggo solo ora e mi dispiace perché solo ora posso spiegare le critiche al tuo post. che non sono alla tua precisa ricostruzione storica del vissuto politico di quell’individuo che, personalmente, ho trovato, sempre, pericoloso per le sorti della sinistra; sono, invece, le mie critiche all’accostamento che hai fatto, in conclusione, tra bertinotti e la sinistra interna (ripeto, interna) al pd. come puoi raffrontare il rivoluzionarismo in cachemire, massimalista, senza se e senza ma, di superfaust con il tranquillo pensiero socialdemocratico di un cuperlo, civati, fassina (anche lui), per non citare l’ottimo bersani? persone, quelle che ho citato, che vedono con preoccupazione una deriva liberista del partito al quale appartengono e a cui tengono, se non altro per motivi di età, più che non l’ex sindaco di firenze. con l’amicizia di sempre

  3. Franz 1 dicembre, 2014 at 12:49

    Canadair, forse dimentichi personaggi come Fisichella, Dini, Mastella, che vennero accolti a braccia aperte nello schierameto progressista. A quei tempi bastava muovere una mezza critica al pregiudicato evasore per essere considerati, da importanti dirigenti del CS, degli eroi da santificare. Che Bertinotti abbia fatto enormi sciocchezze non ci piove. Ma non si puó imputare a lui il fatto che richiedesse di seguire gli accordi elettorali.. Ricordo con disgusto un intervento dello scomparso Claudio Rinaldi, in cui l’allora direttore dell’ ‘Espresso’ chiedeva, papale papale di non prendere piú in considerazione detti accordi. E, per concludere, se oggi degli squallidi individui hanno la possibilitá di sproloquiare ad ogni occasione, non é certo colpa di SEL o degli oppositori interni del PD. Le responsabilitá vanno cercate piú in alto.

  4. scan 1 dicembre, 2014 at 00:56

    tutto questo parlare di un personaggio ormai dimenticato di una pseudo sinistra di 20 anni fa, di cui nessuno sente la mancanza, per, velatamente, mettere in guardia da “pericolosi” oppositori al renzismo imperante? non capisco…
    “Aspettiamo ora di vederne altri pronti ad emularne le gloriose gesta.”
    ma di che parli canadair?
    “Bertinotti, bontà sua, fece la fortuna di Berlusconi. Chi sarà o saranno attualmente gli artefici di future fortune?”: per adesso, chi ha tolto dalle ragnatele dell’oblio un personaggio impresentabile come il delinquente berlusconi, è un ex sindaco di firenze

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