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La destra la si batte con la politica di sinistra, non con i teatrini della politica

I recenti governi di destra hanno vinto secondo le regole di un gioco che i liberali avevano ampiamente accettato prima di giocare. L’impeachment è il modo sbagliato per battere Trump.

 

di Bhaskar Sunkara
(The Guardian)
Traduzione Redazione Modus

 

uasi tutti i democratici concordano sul fatto che la presidenza di Donald Trump è un incubo, e che prima finisce meglio è. Si è meno sicuri di come arrivare al risultato.

Nel campo anti-Trump si sta scatenando una guerra civile: non solo tra i sostenitori di Bernie Sanders e l’establishment democratico, ma tra coloro che vogliono concentrarsi sulla sconfitta di Trump in una competizione elettorale, e su coloro che vogliono intraprendere la strada dell’impeachment .

Giovedì scorso, seguito della pubblicazione del rapporto Mueller, che ha rivelato connessioni tra la campagna elettorale di Trump e la Russia, oltre che di potenziali ostacoli alla giustizia, gli attivisti liberali hanno rinnovato la richiesta che i democratici del Congresso mettano sotto accuse il presidente.

 

Le linee politiche non sono completamente chiare. Poco dopo la sua inaugurazione, la rappresentante di sinistra Rashida Tlaib ha promesso ai suoi sostenitori che “avrebbe promosso l’impeachment di questo figlio di puttana“. Proprio pochi giorni fa, la candidata alla presidenza progressista Elizabeth Warren, anche lei, ha chiesto l’intervento del Congresso. Eppure la risposta di Nancy Pelosi, la Speaker Democratica, è stata chiara: non intraprenderà questa strada.

 

Anche se il ragionamento di Pelosi – che sarebbe partigiano e divisivo – è discutibile, perché una volta tanto la guardiana milionaria del partito del buonismo liberale è dalla parte giusta di un problema. Trovo che tutto di Trump, dal suo contegno ai costi umani delle sue politiche, sia riprovevole. Ma temo di sperperare un’apertura storica per avanzare e sostenere le riforme sociali, per aver in cambio un teatro politico.

Sì, teatro politico, e nemmeno del buon teatro politico. Le udienze per l’impeachment sono affari di una pallosità intrisa di minuzie procedurali. Sentiremo gli esperti analizzare all’infinito definizioni legali opposte di cosa sia “ostruzione”. Parleremo delle motivazioni di Trump e di quelle di Mueller. Vedremo un sacco di Rudy Giuliani sulla TV, ma quella diurna. E, naturalmente, parleremo molto della Russia.

Eppure anche Warren sembra considerare la cosa, pensa che sarebbe una buona idea. Venerdì, in una serie di tweet, la senatrice ha annunciato che “un governo straniero ostile ha attaccato le nostre elezioni del 2016” e ha definito il comportamento del presidente “sleale“. Nella misura in cui le sue affermazioni hanno un carattere politico, questa è quella del nazionalismo, non proprio del terreno amichevole per la sinistra.

 

Anche i tempi non potrebbero essere peggiori. C’è una nuova politica di massa in preparazione, la si avverte. Il nobile obiettivo di salvare l’anima della repubblica non risuona con i milioni di elettori che vanno da stipendio a stipendio. La loro priorità politica è giustamente il lavoro dignitoso, l’assistenza sanitaria, i diritti alla casa e la limitazione degli interessi delle grosse aziende. Molte di queste sono questioni in cui Elizabeth Warren eccelle nel parlare: perché spostare l’attenzione su delle noiose udienze giudiziarie di Washington?

È difficile che i discorsi su impeachment, Russia, ostruzione e corruzione possano parlare alla rabbia e ai bisogni degli americani ordinari. O come simili temi non inghiottirebbero le primarie democratiche, dirottandole lontano dal terreno dove i candidati come Warren e Sanders sono più forti, il terreno della sinistra.

 

E non dimentichiamoci della questione dell’efficacia. L’obiettivo immediato è quello di cacciare Trump dalla carica. Ma nessuno pensa che questo possa accadere, data l’attuale composizione del Congresso. Parlare di impeachment, quindi, è puramente retorico.

Ma al di là dello stesso presidente, il nostro obiettivo deve essere sconfiggere il Trumpismo. Che ci piaccia o no, Trump ha un mandato democratico. Naturalmente, data la natura del collegio elettorale e il sistema rappresentativo in USA, è stato in grado di governare solo con il sostegno della minoranza. Ma Trump è il legittimo presidente secondo le regole di un gioco che i liberali hanno ampiamente accettato prima di giocare. L’unico modo per sconfiggere il suo populismo di destra è nelle urne, mostrando in modo decisivo quel che indicano i sondaggi – che gli americani vogliono soluzioni reali e progressiste ai loro problemi.

 

Prima di incamminarci su questo percorso di impeachment, potremmo guardare cosa è successo in Italia negli anni 2000. Un po’ più intelligente, forse, ma Silvio Berlusconi è il paragone internazionale più vicino che abbiamo per Trump. Era sfacciato, corrotto, razzista e di destra. Ma la coalizione contro di lui finì per essere dominata non da forze che erano popolari, ma da avvocati e giornalisti. Questi hanno difeso i valori istituzionali della repubblica italiana, hanno espresso disgusto per il comportamento personale di Berlusconi e hanno cercato di spodestarlo attraverso i tribunali. Ciò che non hanno fatto è attaccarlo in maniera irresistibile su questioni che hanno risonanza con gli elettori.

In altre parole, il modo per sconfiggere una coalizione politica di destra è attraverso la politica di sinistra, non il teatro.

I presidenti non dovrebbero essere immuni dall’azione penale. Ma è ancora più importante assicurarsi che le gravi violazioni, molte delle quali legali, dei diritti morali delle persone nei confronti degli alloggi e della casa, l’assistenza sanitaria, il lavoro e la sicurezza siano finite. Ciò significa che bisogna parlare di più dei potenti interessi che si oppongono alle politiche che potrebbero avvantaggiare la classe lavoratrice, e meno delle oscure minacce di paesi stranieri, alle quali è fin troppo facile attribuire tutti i nostri mali.

 

 

 

 

** Bhaskar Sunkara è l’editore fondatore della rivista socialista Jacobin. È l’autore di “Il manifesto socialista: la politica radicale in un’epoca di estrema disuguaglianza“.

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