La lampada turca

Nel 2006, se pur per un brevissimo periodo, ebbi modo di visitare Istanbul. La mia impressione fu quella  di una metropoli  laicizzata, paragonabile ad una  città europea, non so perché mi ricordava Genova. Poche donne velate, poche restrizioni, almeno ai turisti. La guida ci disse che , essendo mese del ramadan, non avremmo trovato  mercati o negozi di alimentari aperti, per eventuali acquisti di cibo. All’entrata in moschea dovemmo lasciare le scarpe fuori dell’entrata, scarpe che poi potemmo indossare all’uscita, solo dopo aver rigorosamente superato la soglia di marmo della moschea.

Ci venne consigliato, nel far visita al grande bazar di Istanbul di usare un minimo di accorgimenti e di non girarlo da soli. Tutto qui. Al bazar acquistai una lampada di vetro colorato che si appende al muro. Una candelina messa all’interno, dà una bella e tenue luce policroma. Il venditore , certamente abituato a trattare con turisti italiani, alternava alcune parole in italiano a “Ah italiani! Totti, Totti!” La nazionale italiana aveva vinto i mondiali e quale invito migliore poteva essere al fine di fare acquistare più merce possibile, quello di ricordare  il famoso calciatore!

Come di consuetudine, ci portarono a visitare Santa Sofia, il monumento più importante dell’architettura bizantina e che è una delle opere più significative della storia dell’umanita’.

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L'interno del Museo di Santa Sofia ad Istanbul

 

Santa Sofia fu costruita in onore della Santa Sapienza  dall’imperatore Costantino, fu distrutta, ricostruita, passò attraverso le varie religioni che esposero i loro simboli ed icone, nei secoli. Non rifarò qui la storia di Santa Sofia , che sarebbe supefluo. Dirò solo ciò che ci fece notare la guida. Mentre all’entrata ci sono effigi cristiane, all’interno c’è un enorme medaglione, non saprei come definirlo altrimenti, dedicato ad Allah. Talmente grande che non avrebbe potuto essere  trasportato fuori da Santa Sofia. Fu Ataturk che dette un taglio alla faccenda,  dichiarando Santa Sofia sconsacrata in modo che rimase simbolo  di tutte le religioni che sono passate di lì e  divenne museo . In poche parole, simbolo di pacificazione . Pacificazione che da tempo non si sa più cosa sia.

 

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 Erdogan davanti a Santa Sofia

 

Recentemente ho saputo che nel 2015  e da maggio dell’anno in corso, c’è una forte e pressante richiesta da parte di musulmani di trasformare il museo di Santa Sofia in moschea. “Musulmani davanti alla “moschea” di Santa Sofia per la conquista di Costantinopoli e la gloria neo-ottomana di Erdogan”, così riporta un giornale del maggio 2016. Il ministro della cultura e del turismo turco esprime questo suo sogno : “Aprire Santa Sofia alla preghiera è il mio sogno personale, il mio scopo, la mia ambizione. Anche se ci sono vari dibattiti sul suo stato giuridico, la questione va al di là della politica …” . Certo, va al di là della politica, va al di là d’ogni unificazione, d’ogni tentativo di riappacificazione tra i vari popoli e le religioni che hanno attraversato queste terre. Va verso l’integralismo, verso  l’accentramento del potere assoluto di chi si erge come capo assoluto di una nazione. E questa notizia è del settembre 2015. Credo che presto il “sogno” di questo ministro, verrà esaudito, alla luce dei recentissimi fatti.

 

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La lampada turca     Foto dell'autrice

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Ho ripensato spesso ad Istanbul quando ci sono stati i terribili attentati, alla rielezione, detta “democratica” di  Erdogan e ai metodi democratici usati in tal periodo. In particolare  ho pensato ad Istanbul nei giorni del tentato golpe e agli attuali mezzi usati oggi dal sultano Erdogan  per ristabilire “l’equilibrio democratico” nel paese; in sostanza per disfarsi di tutti gli oppositori al regime e soffocare così ogni tentativo di laicizzazione. Non poteva esserci pretesto più favorevole  che quello del tentato golpe, per scatenare la reazione.

Quando a volte, la sera accendo una candelina all’interno della lampada, mi pare di accendere una piccolissima speranza che  possa ritornare un po’ di democrazia e rispetto della persona umana, ma so che è una speranza vana.

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   Il Gran Bazaar di Istanbul in una elaborazione dall'artista Aydın Büyüktaş
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