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La madre di Lavagna

madre di Lavagna

Morire a 16 anni è una tragedia, morire per futili motivi è una beffa atroce, una nefandezza imperdonabile e, mi si consenta la franchezza, un orrore indicibile.

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I fatti, riportati concordemente dalla stampa, sembrano  abbastanza chiari, una madre esasperata dagli spinelli del figlio, chiama la Guardia di Finanza, e dopo un controllo all’uscita della scuola nella quale saltano fuori 10 grammi di fumo, il ragazzo viene accompagnato a casa e qui, durante la perquisizione si butta dalla finestra e muore.

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La madre al funerale del figlio pronuncia un lucido discorso  che temo abbia suscitato l’entusiasmo di Carlo Giovanardi, attribuendo alle canne la morte del ragazzo.

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Fine della storia e inizio dei dubbi, delle domande e delle considerazioni.

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Mi rendo perfettamente conto di aver usato l’ascia bipenne contro una donna che, comunque si guardi la cosa, sta vivendo una tragedia immane, che forse ha voluto quel surreale rito funebre per esorcizzare il dolore, metabolizzarlo, e provare in qualche modo ad andare avanti, ma trovo del tutto stucchevole il festival del politicamente corretto che porta la totalità dei commentatori ad usare i guanti bianchi e lasciar solo intravvedere quello che in tanti pensano, e cioè che questa storia è intrisa di ideologismo bacchettone e imperdonabile follia.

 

Le canne, qualsiasi cosa dica il senso comune, non hanno mai ammazzato nessuno, e comunque ne muoiono molti di più per le sigarette e per il vino, che sono legalmente tassati; negli ultimi 40 anni centinaia di milioni di persone nel mondo si sono fatte le canne, e questo nella generalità dei casi non ha impedito loro di avere una vita del tutto normale, perché la vulgata che considera il fumo il primo passo verso le droghe pesanti è una risibile stupidaggine alla quale credono solo gli integralisti del passato millennio.

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In ogni caso, se un ragazzo di sedici anni si fa le canne, sedici e non trenta, non si chiamano le forze dell’ordine, si chiama lo psicologo, si chiamano i servizi sociali, ancor meglio si fanno quattro chiacchiere con lui, al limite gli si danno due sberle, o anche quattro se non bastano, ma gli si assicura quel sostegno, quella vicinanza e quella condivisione che ogni famiglia normale dovrebbe garantire ai propri figli; e se come in questo caso sono adottati, anche di più.

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Sedici anni sono l’età in cui si va a scuola, il momento in cui si ha tutta la vita davanti, il tempo in cui tutti i problemi sono superabili, e se un ragazzo di sedici anni si butta dalla finestra per 10 grammi di fumo, vuol dire che ci sono delle angosce e delle solitudini che non potranno mai essere risolte dalle manette, ma vuole anche dire che la famiglia che non lo capisce è assolutamente inadeguata, e che ben più del ragazzo avrebbe avuto bisogno di guardarsi allo specchio e farsi delle domande, invece che vivere di certezze immaginarie e arrogante supponenza.

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Ho trovato agghiacciante il discorso della madre al funerale, nessun dubbio, nessuna incertezza, nessuna assunzione di responsabilità, tuo figlio è morto, si è buttato dalla finestra a sedici anni per 10 grammi di fumo, e tu pensi che sia colpa del fumo, del fumo e non dell’angoscia, della solitudine, della storia pregressa, della vergogna, della riprovazione sociale e del moralismo della famiglia.

 

L’appello a salvarne altri è stato stucchevole, e anche ridicolo, non solo perché giustamente destinato a cadere nel vuoto, chi vuoi salvare da cosa?, ma perchè figlio di una totale incomprensione del problema, della situazione e della circostanza, è stato paradossale e surreale, ma per quel paradosso, per quella visione del mondo patologica e malata un ragazzo di sedici anni ha perso la vita.

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Lo dico con rabbia, quel ragazzo è morto per colpa di chi ha scomodato i finanzieri per una evidente stupidaggine, cercando una soluzione incompatibile con il problema, il fumo non c’entra niente, l’adulto ci doveva pensare proprio perché adulto, e dopo non averci pensato non doveva almeno avere la presunzione di aver fatto la cosa giusta: non ho voglia di perdonare chi ha fatto quella denuncia insensata solo in nome della rabbia, che è un sentimento sempre sbagliato e inadeguato, e oggi cerca di legittimarla col suo dolore.

 

 

 

 

 

 

 

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