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Nobel che va, Nobel che viene

Ieri ho ripreso in mano un vecchio libro edito dalla “Lato Side Editore” nel 1980 dal titolo Bob Dylan – Tutte le canzoni (1973-1980); 3900 lire, sottolinea la copertina. Ricordo che lo comperai proprio perché raccoglieva testi di un periodo in cui le più belle e conosciute canzoni di Dylan, o erano già state scritte, o lo sarebbero state negli anni seguenti. Non sono un appassionato di poesia ed i suoi testi, sia in lingua originale che tradotti, devono essere letti come tali, seguendo una metrica a tratti faticosa in meandri nei quali hai sempre l’impressione che stia per dire qualcosa per poi lasciare il discorso in sospeso.                       Nobel che va Nobel che viene

Erano anni in cui Internet non c’era e gli appassionati di musica dovevano arrangiarsi a cercare i testi in quanto questi non sempre venivano riportati sulla copertina dei vinili e talvolta, comprendere nell’approssimativo inglese che faceva parte allora del bagaglio culturale medio, cosa cantassero sul palco o dall’altoparlante di uno stereo gli idoli di una (ma forse anche più di una) generazione di giovani, era impresa non sempre facile. Talvolta ci appassionavamo a cercare di comprendere una parola di una canzone, il cui significato poteva fare la differenza sostanziale tra un’ardita metafora ed una banale descrizione; insomma, passavamo pomeriggi, non solo ad ascoltare musica, ma anche a suonare ed a parlare di musica.                       Nobel che va Nobel che viene

 

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Non colsi allora la profondità del messaggio di Dylan e l’importanza del suo scrivere, al di là della melodia, e come molti altri mi limitai ad accettare che la sua musica riempisse l’abitacolo dell’automobile o la stanza dove ascoltavo, estasiato dalle note e da quella voce un po’ acerba, lamentosa ma unica nel suo genere.

Ma in quel suo lamentevole canto, le storie c’erano un po’ tutte; era come guardare un quadro astratto fonte di innumerevoli sensazioni; alla fine non avevi colto a pieno il messaggio dell’artista, almeno quello originale, ma avevi la sensazione che comunque, quei versi ti avessero raccontato una storia e tu l’avevi ascoltata con passione.

 

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Un po’ la stessa sorpresa la ebbi negli anni precedenti quando assistetti in televisione al “Mistero Buffo” di Dario Fo, opera ispirata ai vangeli apocrifi, tutta recitata in una lingua inventata che l’autore chiamò, nella scia onomatopeica della sua creazione, “grammelot”; tu lo seguivi nel suo saltellare sul palco, con gli occhi ed i denti che talvolta sembravano voler uscire da quel corpo, le movenze da acrobata e quel sorriso beffardo che potrebbe benissimo aver ispirato nella finzione scenica il Joker nei film di Batman, ascoltavi il suo ininterrotto dialogo surreale in una lingua incomprensibile e, alla fine, avevi la netta sensazione di aver compreso tutto.

 

Dopo molti anni avviene che Dario Fo ci lascia diciannove anni dopo aver vinto il Premio Nobel per la Letteratura e, nello stesso giorno Bob Dylan vince lo stesso premio; in entrambi i casi ho provato, devo essere sincero, lo stesso sconcerto: nessuno dei due assomiglia sia pur vagamente allo stereotipo di “Premio Nobel per la Letteratura” che il mio vissuto ha idealizzato. Se penso a George Bernard Shaw o a Thomas Mann, Hermann Hesse o Albert Camus, ma anche, Grazia Deledda e Pirandello, come ci affianco Dario Fò e Bob Dylan, sicuramente dei geni nei loro rispettivi campi, ma come inserirli in un contesto letterario popolato dal Gotha della letteratura mondiale da quando nel 1901 venne istituito il premio?                 Nobel che va Nobel che viene

La domanda se la stanno ponendo in molti in questi giorni e molti criticano la scelta fatta dai membri dell’Accademia Svedese; ma sono donne e uomini, come tutti noi e, non solo possono sbagliare, ma potrebbero anche decidere, nella loro inappellabile scelta, di dare un senso dei tempi che cambiano e di una letteratura che non può sempre restare uguale a se stessa, pur nell’unicità straordinaria di certe vite che popolano il nostro vissuto fatto di odore della carta e dell’inchiostro.                           Nobel che va Nobel che viene

 

Subterranean Homesick Blues, uno dei primi tentativi di legare musica e film,
  precursore dei music video, dove le cartelle con i testi vengono stornate da
   Dylan mentre Allen Ginsberg assiste (sinistra). Ginsberg lo riteneva l'erede
   della tradizione poetica americana che lo legava a se, via Kerouac, fino a 
    Walt Whitman. Diceva di Dylan che l'allievo aveva sorpassato il maestro.

 

Lo stesso mezzo ormai è cambiato e sempre più persone utilizzano smartphone e tablet per aver sempre con sé i propri libri; perché non accettare che la poesia ed il racconto, che non è altro se non la vita che scorre, si adegui al mondo che cambia?                  Nobel che va Nobel che viene

Il dibattito è aperto ed ha assunto addirittura toni molto aspri, specialmente in chi non accetta che due simpatici menestrelli/giullari dei nostri tempi possano realmente aver detto qualcosa di nuovo, ignorando completamente ciò che Dante può aver fatto pensare ai suoi coevi quando ha consegnato al mondo la sua Commedia (tuttora, per molti, espressa in una sorta di grammelot), per non dire dei compassati pittori della Place du Thertre quando Vincent Van Gogh iniziò a frequentare il Moulin de la Galette in Rue Lepic a Parigi.

I tempi cambiano, i linguaggi si evolvono le forme espressive mutano e non possiamo, anzi, non dobbiamo avere la presunzione di dire che ormai tutto è stato scritto, suonato, dipinto, solamente perché la maggior parte del nostro personale tempo è ormai passato.                   Nobel che va Nobel che viene

Infine, quanto bello è pensare che Blowing in the wind, della quale posso seguire la melodia e le parole a memoria (tante volte l’ho sentita), non sia stata solo una canzonetta, ma qualcosa che verrà ricordata negli anni a venire.

 

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      Bob Dylan ed  Allen Ginsberg visitano la tomba di Jack Kerouac.

Nobel che va Nobel che viene

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