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Ma veramente il mondo non è mai stato così bene?

 

                        Take one, di Mark Tansey, 1982

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I titoli sui giornali non sono mai stati peggiori. Ma un gruppo sempre più influente di pensatori insiste sul fatto che l’umanità non sia mai stata così bene – e che solo il nostro pessimismo ci trattiene.

 

di Oliver Burkeman
(Traduzione Redazione Modus)

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Alla fine dell’anno scorso chiunque avesse prestato attenzione ai titoli delle notizie molto probabilmente avrebbe concluso che tutto stava andando a scatafascio, e che l’unico atteggiamento minimamente sensato era quello di un pessimismo profondo – temperato, forse, dall’umorismo cinico, sulla base del principio che se il mondo sta andando all’inferno si può anche provare a godere mentre ci si avvia. Naturalmente per molti Brexit e l’elezione di Donald Trump furono tra le tappe peggiori. Ma anche se non sei per “remain” nell’UE, o un critico di Trump, è difficile non essere depressi dalla carneficina in Siria, dalla morte di migliaia di migranti nel Mediterraneo, dai test missilistici nordcoreani, dalla diffusione del virus zika, o dagli attacchi terroristici a Nizza, in Belgio, in Florida, in Pakistan e altrove, né dallo spettro di un catastrofico cambiamento climatico che si nasconde dietro tutto il resto. (E tutto questo prima di considerare anche la morte in serie di tante personalità amate, che sembrava un tentativo calcolato, nel 2016, di girare il coltello nella piaga: nello spazio di pochi mesi David Bowie, Leonard Cohen, Prince, Muhammad Ali, Dario Fo, Carrie Fisher, Keith Emerson, Greg Lake, Gene Wilder e George Michael, per nominare solo una manciata, tutti scomparsi.) E alcuni dei titoli che abbiamo letto finora nel 2017 – il rogo della torre di Grenfell, gli attacchi di Manchester e Londra, il caos di Brexit e gli aggiornamenti 24 ore su 24 di quel che è capace di fare  Trump – frenano qualsiasi impeto nel credere che qualcosa possa migliorare.

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L’altro lato della medaglia

Tuttavia un gruppo di commentatori sempre più seguiti è sembrato immune dalla malinconia. Nel mese di dicembre, in un articolo intitolato “Non dimenticare mai che viviamo nel migliore dei tempi“, l’editorialista del Times (di Londra), Philip Collins, ha fornito un riepilogo di fine anno per rallegrarci: nel 2016, ha sottolineato, la proporzione della popolazione mondiale che vive nella povertà estrema era per la prima volta scesa sotto al 10%; le emissioni globali di carbonio da combustibili fossili non erano aumentate per il terzo anno consecutivo; la pena di morte era stata giudicata illegale in più della metà di tutti i paesi – e i panda giganti erano stati rimossi dall’elenco delle specie in pericolo.

Nel New York Times, Nicholas Kristof ha dichiarato che secondo vari parametri “il 2016 è stato l’anno migliore nella storia dell’umanità”, con la disuguaglianza globale in discesa, la mortalità infantile è stata quasi la metà di quanto era nel 1990, e ogni nuovo giorno vede 300.000 persone che guadagnano accesso all’elettricità. Durante il 2016 e nel 2017, ad echeggiare Collins del Times, l’autore e ex presidente Northern Rock Matt Ridley – già nel titolo del suo libro L’ottimista razionale dichiara le sue inclinazioni – ha mantenuto inalterata la sua produzione settimanale di articoli inneggianti alla promessa dell’intelligenza artificiale (IA), al libero commercio e al fracking.

 

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Il gruppo di esperti, accademici e operatori di thinktank che approfondisce questa testimonianza testardamente allegra della nostra situazione è stato a volte classificato col nome di “Nuovi Ottimisti” (the New Optimists), un nome destinato a evocare lo scetticismo ribelle dei Nuovi Atei guidati da Richard Dawkins, Daniel Dennett e Sam Harris. E dalla loro prospettiva, il nostro umore prevalente di disperazione è irrazionale, e francamente un po’ autoindulgente. Sostengono che questo pessimismo la dice lunga su di noi più che sul come le cose stanno veramente – illustrando una certa tendenza verso l’auto-flagellazione collettiva e una riluttanza a credere nel potere dell’ingegno umano. Un atteggiamento che è meglio compreso quale risultato di vari pregiudizi psicologici che servirono uno scopo nella savana preistorica – ma che ora, nell’era satura dei media, continua ad ingannarci.

“Tempo addietro, ci è stato molto utile per la sopravvivenza essere preoccupati di tutto ciò che potrebbe andare storto”, dice Johan Norberg, uno storico svedese autodichiaratosi New Optimist, il cui libro Progress: dieci motivi per guardare verso il futuro è stato pubblicato poco prima che Trump fosse eletto presidente l’anno scorso. Questo è ciò che rende particolarmente interessanti le cattive notizie: nel nostro passato evolutivo fu una cosa molto buona che la nostra attenzione fosse facilmente influenzata da informazioni negative, in quanto poteva indicare un rischio imminente per la sopravvivenza. (Il cavernicolo che spesso pensava che dietro ogni roccia ci fosse un leone in agguato avrebbe sì generalmente sbagliato, ma più probabilmente sarebbe sopravvissuto, riuscendo a riprodursi con maggior successo di colui che invece pensava all’opposto.) Ma questo era prima dei giornali, delle televisioni e di internet: in questi tempi iper-connessi la nostra dipendenza dalle cattive notizie ci porta solo ad introitare le storie deprimenti o enigmatiche di tutto il mondo, che ci minaccino o no, e perciò a concludere che le cose stanno molto peggio di quanto siano in realtà.

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Le notizie veramente buone, d’altra parte, possono essere molto più difficili da individuare – in parte perché tendono a verificarsi gradualmente. Max Roser, economista di Oxford che diffonde il vangelo New Optimist tramite il suo feed Twitter, ha recentemente sottolineato che un giornale avrebbe potuto legittimamente pubblicare quotidianamente negli ultimi 25 anni il titolo “NUMERO DELLE PERSONE NELLA POVERTÀ ESTREMA È DIMINUITO DA IERI DI 137.000”. Ma nessuno lo avrebbe fatto, perché gli eventi quotidiani prevedibili, per definizione, non sono degni d’essere sbandierati. E raramente vedremo un titolo su un evento che non è successo. Ma certamente qualunque valutazione giudiziosa della nostra situazione dovrebbe tener conto di tutte le guerre, pandemie e disastri naturali che potrebbero verificarsi ipoteticamente ma che non accadono?

“Io stesso ero pessimista“, dice Norberg, un 43enne cosmopolita, cresciuto a Stoccolma, che ora è un membro alla libertaria Cato Institute a Washington DC. “Anelavo per i bei vecchi tempi. Ma poi ho iniziato a leggere la storia e mi chiedevo, beh, dove sarei stato io in quei bei vecchi tempi, nella Svezia del nord dei miei antenati? Probabilmente non sarei stato da nessuna parte. L’aspettativa di vita era troppo breve. Diamine, mescolavano la corteccia d’albero nel pane, per farlo durare più a lungo! “

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L'autore svedese Johan Norberg

 

Nel suo libro, Norberg propone 10 dei più importanti indicatori fondamentali della prosperità umana – cibo, servizi sanitari, aspettativa di vita, povertà, violenza, stato dell’ambiente, alfabetizzazione, libertà, uguaglianza e condizioni dell’infanzia. E pare provi particolare piacere nello sfatare le fantasie di chiunque desideri d’essere nato un paio di secoli addietro: non è stato così tanto tempo fa, osserva, che cani rosicchiavano i cadaveri delle vittime di peste abbandonati per le strade di città europee. Nel relativamente vicino 1882, solo il 2% delle case a New York aveva acqua corrente; nel 1900, l’aspettativa di vita in tutto il mondo era una miseria di 31 anni, grazie sia alla morte precoce degli adulti e alla mortalità infantile dilagante. Oggi, al contrario, la media è di 71 – e quelle decadi aggiuntive ci coinvolgono in sofferenze molto minori. “Se ci metti 20 minuti per leggere questo capitolo,” Norberg scrive ad un certo punto, nella sua variante della filastrocca preferita dei New Optimists, “nello stesso tempo altre 2000 persone si saranno affrancate dalla povertà [estrema]” – attualmente definita come il vivere con meno di $ 1,90 al giorno.

Queste ondate di statistiche positive sembrano destinate ad avere l’effetto di demolire le solite irrisolvibili differenze d’opinioni politiche sullo stato del pianeta. I Nuovi Ottimisti ci invitano a dimenticare i nostri pregiudizi di parte e le lealtà campanilistiche, a liberarci delle nostre teorie preferite su ciò che è sbagliato nel mondo e su cosa si deve fare, e respirare, invece, l’aria rinfrescante di fatti oggettivi. I dati non mentono. Guarda i numeri!

Ma i numeri, si scopre, possono essere politici come ogni altra cosa.

 

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 Steven Pinker, autore de Il declino della violenza

 

Quali fatti

I Nuovi Ottimisti hanno sicuramente ragione sul fronte della nostalgia: nessuno sano di mente dovrebbe desiderare d’aver vissuto in un secolo precedente. In un’indagine del 2015 per YouGov, il 65% dei cittadini britannici (e l’81% dei francesi) ha dichiarato di pensare che il mondo va peggiorando – ma questi pareri, giudicandoli secondo numerosi indicatori, sono semplicemente sbagliati. In realtà, le persone stanno uscendo dalla povertà estrema ad un tasso straordinario; la mortalità infantile è davvero crollata; gli standard di alfabetizzazione, igiene e aspettativa di vita non sono mai stati più alti. La media europea o americana gode di lussi che persino i potentati medievali letteralmente non avrebbero potuto neanche immaginare. La ricerca fondamentale del libro di Steven Pinker, Il declino della violenza, del 2011, un testo di riferimento fondamentale per i Nuovi Ottimisti, sembra essere stata ampiamente accettata: viviamo nell’epoca più pacifica della storia, con violenze di tutti i tipi in forte calo – dai morti in guerra al bullismo da cortile scolastico.

 

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  Immagine da Il declino della violenza

 

Ma i Nuovi Ottimisti non sono principalmente interessati a convincerci che la vita umana comporta molte meno sofferenze di qualche centinaio di anni fa. (Anche se sei un pessimista convinto probabilmente non hai bisogno di esser convinto di quello). Incastonate all’interno di questa affermazione sostanzialmente indiscutibile, ci sono diverse implicazioni più controverse. Ad esempio: poiché le cose sono migliorate in modo così chiaro, abbiamo buone ragioni per supporre che continueranno a migliorare. E inoltre – anche se questa è una rivendicazione talvolta esplicita nel lavoro dei Nuovi Ottimisti – che tutto ciò che stiamo facendo in questi ultimi decenni chiaramente funziona, e quindi le scelte politiche ed economiche che ci hanno portato sin qui sono quelle a cui dobbiamo continuare ad aderire. L’ottimismo, dopo tutto, significa non solo credere che le cose non siano così cattive come immaginiamo: significa avere giustificata  fiducia  nel fatto che saranno presto migliori.

“L’ottimismo razionale afferma che il mondo si allontana dalla crisi attuale”, ha scritto Ridley dopo la crisi finanziaria del 2007-8, “a causa del modo in cui i mercati di beni, servizi e idee permettono agli esseri umani lo scambio e la specializzazione per il miglioramento generale … Sono un ottimista razionale: razionale perché sono arrivato all’ottimismo non attraverso il temperamento o l’istinto, ma guardando le prove “.

 

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Se tutto ciò fosse vero, si potrebbe credere che una parte schiacciante dell’energia che dedichiamo alla discussione dello stato dell’umanità – tutta l’indignazione politica, gli avvertimenti sugli imminenti disastri, i blog esasperati, tutta la nostra ansia e senso di colpa per la miseria che affligge il mondo intero – sarebbero sprecati. O, peggio, potrebbero essere controproducenti, in quanto la credenza che le cose siano irrimediabilmente negative non sembra un buon modo per motivare le persone a migliorare le cose, e perciò potrebbero diventare una profezia auto-avverante.

“Ecco i fatti”, ha scritto l’economista americano Julian Simon, la cui forte opposizione alle previsioni tenebrose degli ambientalisti e degli esperti di sovrappopolazione negli anni ’70 e ’80 ha posto la scena per i Nuovi Ottimisti di oggi. “In media, le persone di tutto il mondo vivono più a lungo e mangiano meglio di prima. Pochissime persone muoiono di fame oggi rispetto ai secoli precedenti … ogni singola misura di benessere materiale e ambientale negli Stati Uniti è migliorata piuttosto che deteriorata. Questo vale anche per il mondo considerato nel suo complesso. Tutte le tendenze a lungo termine indicano esattamente la direzione opposta rispetto alle proiezioni dei profeti di sventura.”

Questi sono i fatti. Allora perché non siamo già tutti Nuovi Ottimisti ?

 

L’11 settembre e i pregiudizi cognitivi

Gli ottimisti stanno dicendo ai catastrofisti di rallegrarsi almeno dal 1710, quando il filosofo Gottfried Leibniz concluse che il nostro deve essere il migliore di tutti i mondi possibili, perché Dio, essendo perfetto e misericordioso, non ne avrebbe creato uno mediocre. Ma questo più recente scoppio di positività può essere meglio interpretato come una reazione al pessimismo scatenato dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Per prima cosa, quegli attacchi sono stati un tipico esempio di come le notizie cattive ad alta visibilità attivano i nostri pregiudizi cognitivi, convincendoci che il mondo sta diventando mortalmente più pericoloso di quanto lo sia veramente: in realtà, un numero leggermente più alto di americani è morto guidando motociclette nel 2001, di quanti ne sono stati uccisi nel World Trade Center e sugli aerei dirottati.

 

Ma il nuovo ottimismo è anche una replica al tipo di introspezione che si è diffusa in occidente dopo l’11 settembre, e successivamente dopo la guerra in Iraq – la sensazione che, se la nuova insicurezza globale sia stata o no colpa nostra, imponeva comunque una autocritica e una riflessione, piuttosto che un’affermazione più stridente dei meriti della nostra visione del mondo. (“Il mondo intero ci odia, e ce lo meritiamo”, è come il filosofo francese Pascal Bruckner descrive, in modo sfacciato, questo atteggiamento). Al contrario, gli ottimisti insistono, i dati dimostrano che il dominio globale del potere e delle idee occidentali rispetto agli ultimi due secoli ha visto un miglioramento nella qualità della vita di quasi tutti. Matt Ridley ama citare un predecessore degli ottimisti contemporanei, lo storico Thomas Babington Macaulay: “Secondo quale principio, quando non vediamo altro che miglioramenti dietro di noi, non dobbiamo aspettarci altro che peggioramento dinnanzi a noi?”

 

L’autocritica scoraggiata che frustra i Nuovi Ottimisti è alimentata in parte – almeno dal loro punto di vista – da una sorta di illusione ottica del modo in cui pensiamo al progresso. Come osserva Steven Pinker, ogni volta che sei impegnato a giudicare i governi o i sistemi economici per esser venuti meno a degli standard di decenza, è troppo facile perder di vista come gli standard stessi si sono alterati col passar del tempo. Siamo scandalizzati da segnalazioni di prigionieri torturati dalla CIA – ma solo grazie alla nascita storicamente recente di un consenso diffuso sul fatto che la tortura non è accettabile. (Nell’Inghilterra medievale, era una caratteristica relativamente banale del sistema di giustizia penale). Possiamo essere spaventati dalle morti dei migranti nel Mediterraneo solo perché partiti dalla posizione che gli sconosciuti provenienti da terre lontane sono degni di considerazione morale, idea che probabilmente colpirebbe la maggior parte di noi come assurda se fossimo nati nel 1700. Cosicché, più forte crescerà questo tipo di consenso, più inaccettabile ogni violazione di esso ci sembrerà. E così, ironicamente, l’indignazione che proviamo quando leggiamo i titoli è in realtà una prova che il presente è un momento magnifico per essere vivi. (Una recente aggiunta alla libreria New Optimist, The Moral Arc di Michael Shermer, lega direttamente questo argomento alla fiducia nutrita dall’ottimista per la scienza: è il progresso scientifico, afferma Shermer, che è destinato a renderci sempre più etici.)

 

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L'autore Matt Ridley

 

Ottimismo razionale

Permane il sospetto fastidioso che questa argomentazione sia in qualche modo basata su un trucchetto – sembrerebbe permettere che qualsiasi indignazione possa essere reinterpretata come prova del nostro miglioramento – che potrebbe condurci ad un’altra obiezione: anche se è vero che tutto è veramente tanto migliore di quanto sia mai stato, perché assumere che le cose continueranno a migliorare? I miglioramenti nei servizi igienici e nell’aspettativa di vita non possono impedire che il crescente livello del mare distrugga il vostro paese. Ed è pericoloso, più in generale, prevedere i risultati futuri dalle prestazioni passate: se si guardano le cose in tempi sufficientemente lunghi, diventa impossibile sapere se i progressi che i Nuovi Ottimisti celebrano sono testimonianza della costante traiettoria verso l’alto della storia o semplicemente di un bip, un caso.

 

Quasi ogni miglioramento che Norberg inneggia nel suo libro Progress, ad esempio, si è compiuto negli ultimi 200 anni – un fatto che gli ottimisti ergono a prova dell’inarrestabile potenza della civiltà moderna, ma che potrebbe altrettanto essere preso come prova di quanto siano rari tali periodi di avanzamento. Gli esseri umani sono in giro da 200.000 anni; estrapolare da questi un tratto relativamente breve di 200 anni non sembra particolarmente saggio. Rischiamo di commettere l’errore dello storico britannico ottocentesco Henry Buckle, che dichiarò con fiducia nel suo libro “Storia della civiltà in Inghilterra”, che la guerra sarebbe stata una cosa del passato. “Che questo esercizio barbaro stia, nel progresso della società, diminuendo costantemente, deve essere evidente, anche al lettore più affrettato della storia europea”, scrisse. Era il 1857; Buckle sembrava fiducioso che la Guerra di Crimea da poco conclusa sarebbe stata una delle ultime.

 

Ma la vera preoccupazione qui non è che il progresso costante degli ultimi due secoli si inverta gradualmente verso la retromarcia, ponendoci di nuovo nelle condizioni del passato; è che il mondo che abbiamo creato – il motore stesso di tutto questo progresso – sia una realtà così complesso, volatile e imprevedibile, che una catastrofe ci potrebbe essere in qualsiasi momento. Steven Pinker può essere assolutamente corretto nel sostenere che sempre meno persone si avvalgono della violenza per risolvere i loro disaccordi, ma (come egli stesso riconoscerebbe) basta un singolo narciso arrabbiato ed in possesso dei codici nucleari per scatenare un disastro globale. La tecnologia digitale ha indubbiamente contribuito ad alimentare un aumento mondiale della crescita economica, ma se il mese prossimo dei cyberterroristi la utilizzano per far crollare l’infrastruttura finanziaria del pianeta, tale crescita sarebbe storia passata.

“Il punto è che se qualcosa va seriamente storto nelle nostre società, è veramente difficile vedere dove si ferma”, afferma David Runciman, professore di politica presso l’Università di Cambridge, che ha una visione meno sanguigna del futuro e che ha discusso con i Nuovi Ottimisti come Ridley e Norberg. “Il pensiero che, ad esempio, la prossima crisi finanziaria, in un mondo interconnesso e guidato algoritmicamente come il nostro, potrebbe semplicemente espandersi a spirale fuori controllo – non è un pensiero irrazionale. Ciò rende molto difficile essere ottimisti.” Quando vivi in ​​un mondo in cui tutto sembra migliorare, ma cionondimeno potrebbe anche crollare tutto domani, “è perfettamente razionale dare di matto.”

 

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L'autore britannico David Runciman

 

Runciman solleva un pensiero correlato e altrettanto preoccupante che riguarda la politica moderna, nel suo libro The confidence trap (La trappola del compiacimento democratico) . La democrazia sembra fare bene: i Nuovi Ottimisti notano che attualmente esistono circa 120 democrazie tra i 193 paesi del mondo, un bell’aumento considerato che nel 1972 erano solo 40. Ma cosa succederebbe se fosse la forza stessa della democrazia – e la nostra soddisfazione per la sua capacità di sopravvivere a quasi qualunque cosa – che presagisce il suo eventuale collasso? Potrebbe essere che il nostro vero problema non sia un eccesso di pessimismo, come sostengono i New Optimists, ma un pericoloso grado di presunzione?

Secondo questo argomento, le persone che hanno votato per Trump e Brexit non lo hanno fatto perché avevano concluso che il loro sistema era rotto e doveva essere sostituito. Al contrario: votarono proprio perché erano diventati troppo presuntuosi che la sicurezza essenziale fornita dalla stato sarebbe comunque sempre stata lì per loro, qualunque scelta incendiaria avessero fatto nella cabina elettorale. La gente ha votato per Trump “non perché gli credevano”, ha scritto Runciman. “Volevano che Trump scuotesse un sistema che nel contempo si aspettavano li avrebbe protetti dalla sconsideratezza di un uomo come Trump.” Il problema con questo schema – produrre shock elettorali perché sei sicuro che il sistema possa resistere – è che non c’è ragione di supporre che possa continuare indefinitamente: a un certo punto, i danni potrebbero non essere più riparabili. I Nuovi Ottimisti “descrivono un mondo in cui l’azione umana non sembra importi, perché ci sono queste forze evolutive che ci stanno muovendo nella giusta direzione”, dice Runciman. “Ma l’azione umana importa ancora … gli esseri umani hanno ancora la capacità di rovinare tutto. E potrebbe essere che la nostra capacità di far casino sia in crescita.”

Gli ottimisti non sono ignari di tali rischi – ma il fatto che si possa trovare una interpretazione positiva degli stessi spaventosi fatti, è una caratteristica consolidata della mentalità ottimistica. “Stai chiedendo: «Sono forse l’uomo che cade da un grattacielo» e, mentre passa il secondo piano prima di sfracellarsi sul marciapiede, dice: «Fin qui, bene?», dice Matt Ridley. “E la risposta alla domanda è, in realtà, in passato, la gente ha previsto una catastrofe appena dietro l’angolo, ed ha sbagliato così spesso che questo è un fatto rilevante da tenere in conto.”  La storia sembra dar ragione a Ridley. Poi, naturalmente, è ovvio che sia così: se in realtà si fosse verificata una catastrofe che ponesse fine alla civiltà, probabilmente ora non staremmo a leggere questo articolo. Le persone che prevedono catastrofi imminenti di solito si sbagliano. D’altra parte hanno bisogno di aver ragione solo una volta.

 

I fatti deprimenti

Se c’è un singolo momento che ha segnalato la nascita del Nuovo Ottimismo, è stato – in modo appropriato – un discorso TED, pronunciato nel 2006 dallo statistico svedese e dall’autodefinito “educa-intratteni-tore” Hans Rosling, morto all’inizio di quest’anno. Titolo “Le migliori statistiche che hai mai visto”, il discorso di Rosling ha riassunto i risultati di un ingegnoso studio da lui condotto tra studenti universitari svedesi. Presentando agli studenti coppie di paesi – Russia e Malesia, Turchia e Sri Lanka e così via – ha chiesto loro di indovinare quale dei due avesse avuto i migliori risultati secondo vari indicatori di salute, quali i tassi di mortalità infantile. Gli studenti hanno sbagliato in modo prevedibile, basando le loro risposte sull’ipotesi che i paesi più vicini al proprio, sia geograficamente che etnicamente, sarebbero andati meglio.

 

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 Hans Rosling

 

Ma in effetti Rosling aveva scelto le coppie di paesi per dimostrare un punto: la Russia aveva due volte la mortalità infantile della Malesia e la Turchia due volte quella dello Sri Lanka. Parte della mentalità disfattista del moderno occidente, secondo il punto di vista di Rosling, è l’assunto profondamente radicato che viviamo in tempi che non miglioreranno oltre – e che il futuro che stiamo lasciando, alle future generazioni e in particolare al mondo oltre l’Europa e l’America settentrionale, potrà solo essere scoraggiante. Rosling si divertiva ad osservare che se questo esperimento fosse stato condotto sugli scimpanzé etichettando una banana con il nome di ogni paese e invitandoli a sceglierne una, avrebbero fatto meglio degli studenti, dato che avrebbero avuto ragione la metà delle volte, grazie al puro caso. Gli uomini occidentali ben istruiti e con pregiudizi, al contrario, arrivano a concludere le cose sbagliate più di quanto farebbero se si affidassero al caso. Non siamo semplicemente ignoranti dei fatti; siamo attivamente convinti di “fatti” deprimenti che non sono veri.

È esilarante guardare oggi il video di Rosling “Le migliori statistiche che hai mai visto”, in parte a causa della performance su-di-giri di Rosling, ad alta energia, ma anche perché sembra illuminare con luce accorta, di fatti oggettivi, domande generalmente impantanate da scontri polarizzanti. Molto di più di quando ha tenuto il discorso, viviamo ora in una era (age of the take), in cui un’apparentemente infinita quantità di post, di blog, colonne di opinione, libri e di teste televisive competono per spiegarci come “sentire” la notizia, come “prenderla”. La maggior parte di queste opinioni si concentra meno sull’accumulare fatti concreti a favore di una opinione e più sul dichiarare quale atteggiamento dovresti adottare: tipico che si sia invitati a concludere che Donald Trump sia un fascista o che non lo sia, o che i presentatori della TV siano strapagati, o che il tuo praticare yoga sia un’istanza di appropriazione culturale (questo non dovrebbe veramente sorprendere: l’economia d’internet è alimentata dall’attenzione che vi è prestata, ed è molto più facile cogliere l’attenzione di qualcuno con argomenti emotivamente carichi piuttosto che con informazioni semplici – e in più con lo scrivere opinioni non si deve pagare il costoso lavoro giornalistico richiesto per scovare vere notizie). I Nuovi Ottimisti promettono qualcosa di diverso: un modo per “sentire” il mondo basato sul modo in cui è veramente.

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Ma dopo esserti addentrato nel loro lavoro, cominci a chiederti se tutti i loro fatti,  che tirano su il morale, davvero stanno in piedi. Per cominciare, perché supporre che il confronto corretto da fare sia quello tra il mondo come era, diciamo, 200 anni fa, e il mondo come è oggi? Potrebbe essere sostenuto che confrontare il presente con il passato è truccar le carte. Naturalmente le cose oggi sono meglio di come erano. Ma però non è affatto detto che siano buone come dovrebbero essere. Scegliere alcuni esempi evidenti, l’umanità ha indiscutibilmente la capacità di eliminare la povertà estrema, o i mezzi per finire le carestie o ridurre radicalmente i danni umani al clima; ma non abbiamo realizzato nessuno di questi miglioramenti, e il fatto che le cose non siano così terribili come erano nel 1800 esula dal punto.

 

Ironicamente, data la loro dipendenza da pregiudizi cognitivi per spiegare la nostra predilezione per la negatività, i Nuovi Ottimisti potrebbero essere loro stessi alle prese con uno di quei pregiudizi: l’ “ancoraggio pregiudiziale”, che descrive la nostra tendenza a fare troppo affidamento su determinati pezzi di informazioni quando si formulano  giudizi. Se si parte dal fatto che le vittime della peste una volta languivano nelle strade delle città europee, è naturale concludere che la vita di questi giorni è meravigliosa. Ma se si parte dalla posizione nella quale avremmo potuto eliminare le carestie, o invertire il riscaldamento globale, il fatto che tali problemi continuano a persistere può provocare un diverso tipo di giudizio.

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L’argomentazione che dovremmo sentirci più felici di quanto lo siamo perché la vita sul pianeta, in media e complessivamente, sta migliorando, fraintende una verità fondamentale sul funzionamento della felicità: i nostri giudizi sul mondo sono il risultato di confronti specifici che sentiamo essere rilevanti per noi, non dell’adottare quella che David Runciman definisce come “la vista dall’orbita spaziale”. Se le persone della tua piccola città sono molto meno economicamente sicure di quanto fossero a memoria d’uomo, o se sei una giovane che affronta la prospettiva che non potrai mai possedere una casa, non ti è particolarmente consolante dire che sempre più cinesi entrano nelle classi medie. Ridley, ricorda che durante le letture pubbliche dei suoi libri nel midwest degli Stati Uniti il pubblico spesso interroga il suo ottimismo sulla base del fatto che le proprie vite non sembrano essere in una traiettoria verso l’alto. “Dicono: ‘Lei continua a dire che il mondo sta migliorando, ma da queste parti non sembra così’. E io gli rispondo: ‘Sì, ma questo non è il mondo intero! Non sei neanche un po’ rallegrato dal fatto che gli africani veramente poveri stiano diventando un po’ meno poveri?'” Certo, c’è un modo di vedere in cui questo è un punto valido. Ma c’è un altro senso in cui è completamente irrilevante.

 

Ottimismo di mercato

Al centro del nuovo ottimismo vi è un argomento ideologico: in linea di massima i suoi proponenti sono sostenitori del potere dei mercati liberi e legano il loro quadro sorridente del passato recente dell’umanità e del prossimo futuro alla  giustificazione della loro politica. Questo è un argomento politico perfettamente legittimo da sostenere – ma è pur sempre un argomento politico, non un semplice e neutrale affidamento a fatti oggettivi. Sostenere che stiamo vivendo in un’era d’oro e che il nostro umore dominante di pessimismo è ingiustificato, non è un antidoto all’epoca satura di opinioni e non di fatti, ma una opinione come qualsiasi altra – ed ha altrettanto senso adottare il contrario punto di vista. “Quello che mi infastidisce”, dice Runciman, “è questo presupposto che se si respinge il loro argomento, quello che stai dicendo è che per te tutte queste cose (in miglioramento) non valgono la pena essere valorizzate … Il fatto che le persone si sentano profondamente a disagio nel mondo in cui abitiamo adesso, nonostante tutti questi indicatori che parlano di miglioramenti, mi sembra ragionevole, data la relativa instabilità delle prove di questo progresso e l’imprevedibilità che la sovrasta. Tutto è veramente fragile.”

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Johan Norberg, che ha lanciato il suo libro Progress due mesi prima delle elezioni presidenziali statunitensi, ha visto i risultati in una mattina nebbiosa a Stoccolma, ad una festa organizzata dall’ambasciata americana. Quando la vittoria di Trump divenne una certezza, l’atmosfera cambiò da un allarmismo rumoroso ad una atterrita incredulità. “Eravamo tutti svedesi attivi nei media, in politica, negli affari e così via – penso che sarebbe stato difficile trovare una sola persona che avesse sperato che Trump vincesse – così ben presto l’atmosfera si è intristita  drammaticamente”, ricorda Norberg . “E inoltre, non avevano alcool, il che non aiutava, perché tutti dicevano: ‘Abbiamo bisogno di qualcosa di forte da bere!’ Ma l’incontro lo avevano impostato come una cosa da prima colazione.” Sorride. “Penso che gli americani davvero non capiscano gli svedesi.”

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I picchi populistici degli ultimi due anni negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – che alimentano l’ascesa di Trump, il voto di Brexit e gli imprevisti livelli di sostegno per Bernie Sanders e Jeremy Corbyn – rappresentano un problema complicato per i Nuovi Ottimisti. Da una parte è abbastanza facile caratterizzare come un errore una tale rabbia diretta verso l’establishment politico, basata su un mancato recepimento di quanto bene le cose stiano andando; oppure ascriverla come una reazione legittima a intoppi reali sulla strada del progresso, ma localizzati e temporanei, che non dovrebbero necessariamente giustificare un più ampio pessimismo. D’altra parte, è una visione curiosa del mondo quella che vede tali onde politiche solamente come risposte, in errore o in altro modo, alla situazione reale. Quelle maree politiche fanno parte di quella reale situazione. Anche se pensate che i sostenitori di Trump, ad esempio, erano del tutto in errore nel percepire negativamente la loro situazione, la percezione stessa era sufficientemente reale – ed hanno davvero eletto Trump, con tutto il suo potenziale di destabilizzazione (i Nuovi Ottimisti, afferma David Runciman, pensano alla politica come a nient’altro che un fastidio, perché secondo loro “le cose che guidano il progresso non sono politiche, ma le cose che conducono al fallimento sono politiche”). Si arriva ad un punto in cui smette di essere così rilevante se vi sia giustificato motivo o meno per il pessimismo e l’ansia diffusi, e diventa più importante la constatazione che sono diffusi.

Norberg non è un sostenitore di Trump, e il risultato delle elezioni potrebbe sembrare una battuta d’arresto per un autore che promuove un libro che considera del tutto roseo l’avvenire immediato dell’umanità . Nel libro fa notare che il progresso non è affatto inevitabile: “C’è un rischio reale di un reazione contraria e nazionalistica”, scrive. “Quando non vediamo il progresso che abbiamo ottentuto, cominciamo a cercare i capri espiatori per i problemi che rimangono.” Ma è nella natura del Nuovo Ottimismo che gli sviluppi negativi possono essere riletti / reinterpretati così da creare nuove ragioni per essere allegri.

“Penso sia posibile che in un paio di anni  penseremo che sia stata una cosa fantastica che Trump abbia vinto”, dice. “Perché se avesse perso, e Hillary vinto al suo posto, sarebbe stata la presidente più odiata dei tempi moderni, e poi Trump e Bannon avrebbero usato ciò per costruire un impero d’ultra-destra, creando, quello sì,  una valanga di odio, e inoltre la prossima volta avrebbe potuto nascere un candidato più disciplinato: un vero e proprio fascista, piuttosto che qualcuno tanto incapace nel ruolo … Trump potrà rivelarsi la persona incompetente e narcisa che rovina il brand populista negli Stati Uniti una volta per tutte.” Questo tipo d’argomentazione controintuitiva soffre il fatto di non essere falsificabile, e comunque è ben lontana da una posizione di positività basata sulla direzione in cui il mondo si muove. Ma forse è la verità veramente indiscutibile su cui sia i Nuovi Ottimisti che i veri ottimisti possono concordare: qualunque cosa succeda, le cose potrebbero sempre, in linea di massima, essere peggiori.

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