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C’è qualcosa di nuovo oggi in Germania, anzi, d’antico…

C’è qualcosa di nuovo oggi in Germania. Il paese più ricco e importante dell’Unione, quello con la democrazia più efficiente, con uno dei sistemi elettorali più invidiati per la sua efficacia, al punto di essere spesso assunto come modello di sistema ideale, si è improvvisamente svegliato ingovernabile come la Spagna sgangherata di Rajoy,  e della Spagna costretta a votare e rivotare senza costrutto rischia di fare la stessa imbarazzante figura.

 

Le elezioni del 24 settembre erano state commentate da tutti ponendo l’accento sul clamoroso risultato della AfD, sostanzialmente un partito neofascista, e sulla contemporanea batosta di SPD da una parte, e di CDU/CSU dall’altra, ma nessuno dubitava del fatto che Angela Merkel avrebbe governato ancora, alla testa dell’inedita coalizione “giamaica” formata con Verdi e FPD, atteso che Martin Schulz aveva immediatamente dichiarato la sua indisponibilità alla conferma della logorante grande coalizione.

 

Non saprei dire perché la cosa dovesse apparire a tutti scontata, data la divergenza delle posizioni dei quattro  partiti coinvolti, ma dopo una trattativa insolitamente lunga per gli standard tedeschi siamo arrivati con la fine di novembre al naufragio dell’ipotesi  giamaicana, che lascia quattro diverse opzioni sul tavolo: la riedizione dell’alleanza CDU/CSU con la SPD, che ha determinato risultati elettoralmente rovinosi per chi si è assunto l’onere di governare, una variante poco gettonata che vede l’innesto dei Verdi sulla vecchia coalizione, che si chiedono perché mai lo dovrebbero fare, un governo di minoranza della Merkel, che piuttosto credo preferirebbe tornare a vivere nella DDR, e lo svolgimento di nuove elezioni, presumibilmente nella prossima primavera.

 

Oggi l’impulso e la moral suasion del Presidente della Republica hanno spinto Merkel e Schultz ad aprire una trattativa fino a ieri esclusa, ma non sono possibili previsioni di alcun genere, e di certo il nodo non si scioglierà in tempi brevi visto che non si inizierà neppure a discutere prima dell’anno nuovo. C’è una logica in questo insolito attendismo, perché è evidente che l’interesse del paese, che sarebbe quello della conferma del governo uscente, cozza con quello dei partiti che l’hanno sostenuto, puniti duramente dagli elettori, a dispetto dei risultati sicuramente positivi che sono stati capaci di garantire: l’economia tedesca va bene, il paese è vicino alla piena occupazione, il benessere e le tutele diffuse sono fra le migliori al mondo, e anche sul tavolo europeo la sua leadership non è mai stata forte come ora, grazie anche al demenziale  esito del referendum sulla Brexit.

 

Perché dunque i cittadini tedeschi sono stati così sconsiderati  da portare al suo minimo storico una delle migliori classi dirigenti oggi esistenti al mondo, e votare in massa per partiti impresentabili come l’AfD, iperliberisti e ultraconservatori come l’FDP, minoritari come i Verdi, o sostanzialmente destinati all’opposizione come la Linke? E’ ovvio che la crisi della governabilità tedesca è sostanzialmente importata, perché nulla all’interno del paese, nulla di concreto intendo, giustifica un simile esito, se non le paure, le tensioni, le pulsioni e le fantasie irrazionali di un popolo che ha carattere ma non ha visione, e che forse per questo riesce a dare il peggio di sé quando si dovrebbe  assumere grandi responsabilità.

 

Di cosa hanno paura i tedeschi è abbastanza chiaro. Come tutti quegli europei che ragionano con la pancia invece che con la testa hanno paura dell’immigrazione, che a dispetto del fatto che a loro ha dato solo benefici, è ormai considerata in modo istintivo una minaccia mortale, e nel segreto dell’urna si regolano sempre più spesso come gli inglesi di Farage, i francesi della Le Pen, e gli italiani di Salvini, sostanzialmente degli analfabeti funzionali a cui andrebbe ritirato il certificato elettorale. E poi, come tutti i ricchi che temono di impoverirsi , hanno paura della crisi economica che sta corrodendo l’Europa sud occidentale, e quindi hanno paura dell’Europa, di questa Unione Europea impoverita che percepiscono sempre di più come un peso e un limite, e non come una prospettiva vitale per il futuro, incuranti del fatto che proprio loro sono quelli che dall’Unione traggono i maggiori vantaggi, e soprattutto quelli che dal suo fallimento rischiano le perdite più gravi, non fosse altro per il fatto che a qualcuno le devono pur vendere le macchine.

 

I tedeschi hanno un terrore ancestrale della crisi economica e sociale che sta fuori dai loro confini, non ne vogliono essere contagiati, e non ne vogliono pagare alcun prezzo, ritenendo che a sud ovest della Germania  possano e debbano valere nei momenti di crisi solo le politiche del rigore, e non quelle che a loro sono state concesse in occasione della riunificazione con la DDR: fuor di metafora, se anche si poteva pagare per riunificare la Germania, perché loro, i tedeschi, sono affidabili, di certo non si può pagare nello stesso modo, e quindi in termini assoluti in misura maggiore, per unificare l’Europa, perché gli altri, i popoli latini, lo sono molto di meno. Probabilmente è per questo che agli occhi dei tedeschi  noi abbiamo società economicamente impoverite dalla crisi e socialmente devastate dal terrore per i migranti.

 

Può sembrare un paradosso che il paese europeo con la più alta immigrazione economicamente e socialmente integrata abbia paura dei migranti, e che si chieda se staccare la spina alla costruzione dell’Europa proprio quando avrebbe in mano le carte migliori per guidarla, ma io credo che in tutto ciò ci sia qualcosa di molto tedesco, una sorta di autismo diffuso, che da oltre un secolo li spinge a giocare le partite importanti sul lato sbagliato del campo. Perché i tedeschi, che pure hanno avuto nel dopoguerra grandi leader compiutamente europeisti , non riescono a pensarsi altro che come nord europei contrapposti agli europei del sud? Per un retaggio della storia? Per l’etica protestante? Per un inconfessabile spirito bottegaio che li rende inadeguati  alla loro cultura, alla loro  leadership, e ai risultati che potrebbero ottenere?  Onestamente non saprei dire, ma credo che anche un bambino capisca che una Germania egemone su paesi come Polonia e Ungheria, politicamente dei nani che si sarebbero meritati altri 50 anni di socialismo reale a pane, acqua e galera, oltrechè contrapposta ai paesi latini spinti verso il Nord Africa, determini esattamente l’Europa che sognano a Mosca e a Pechino, atteso che al momento Trump è impegnato in altri pensieri.

 

Io credo che Merkel e Schultz queste cose le sappiano bene, e sappiano pure molto bene che i loro concittadini possono anche essere degli indefessi lavoratori, ma fanno  una gran fatica a pensare in grande senza l’ausilio di una calcolatrice, come se i grandi processi storici potessero essere rinchiusi in logiche così banali. Oggi che le cose sono meno semplici di ieri, la Germania scopre con inquietudine che può esistere l’ingovernabilità, e con essa l’impopolarità del governo senza alternative, per palese inadeguatezza degli elettori.  Credo anche che Merkel e Schultz sappiano di dover governare contro una parte importante della società e degli elettori tedeschi, condannati, per non essere travolti nella prossima occasione, ad ottenere un successo che pare fuori dalla portata di chiunque in tempi ragionevolmente brevi.

 

Poiché sono pur sempre tedeschi, e non hanno ancora dimostrato di avere la stoffa di Willy Brandt e di Helmut Kohl, non sono forse i più attrezzati a compiere l’impresa, ma non ce li possiamo scegliere, e l’alternativa ad un loro improbabile successo sarà quella dello sfaldamento dell’Unione, perché prima o poi la Germania dovrà smettere di fare l’asino di Buridano, e dovrà decidere come e dove spendere la sua forza, se con l’occhio fisso sul presente, o con lo sguardo rivolto al futuro, possibilmente senza il dito sulla calcolatrice. Oggi l’Europa ha più che mai bisogno di politica, mentre gli europei, anche i tedeschi, che pure ne hanno, vorrebbero semplicemente più soldi.  In questa cesura sta la ricorrente e sempre più diffusa ingovernabilità dell’Europa, in termini storici ancor prima che politici, e nella complessità di questa sfida rischia di deflagrare l’autistica ottusità di una parte dei tedeschi, che rifiutano di capire due cose: che non è solo una questione di soldi, che comunque a volte è necessario spendere, e che il modello che deve governare l’Europa assomiglia al loro e non a quello che loro vogliono affibiare agli altri. C’è anche qualcosa di antico nella Germania “ingovernabile” di oggi, e non è una buona cosa.

 

Germania

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