le storie

Trotsky ed il Che: aneddoti italiani

Quando Lev Trotsky venne assassinato a Coyoacan (Messico) nel 1940, per ordine di Stalin, Ernesto Guevara de La Serna, detto il Che, nato nel 1928  (di cui il 9 ottobre ricorreva la morte) era troppo piccolo perché le storie dei due rivoluzionari potessero in qualche modo intersecarsi; ed anche se i loro spostamenti potrebbero ipotizzare una temporanea contiguità geografica, non si incontrarono mai, neppure in Italia, dove Trotsky, peraltro, soggiornò per un breve periodo nel 1937 esule e perseguitato da Stalin, ma dove il Che non venne mai. Eppure le loro storie, così lontane nello spazio e nel tempo, in qualche modo hanno avuto un legame, diretto o indiretto, con il nostro Paese.            Trotsky ed il Che: aneddoti italiani

 

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              Lev Trotsky in Messico
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La prima parte della storia, l’ha raccontata Christian De Sica sulle pagine de Il Giornale 

Ramon Mercader, il figlio di una cubana comunista diventato in seguito agente segreto russo, è l’uomo che ha ucciso Trotsky ed “era mio parente” rivela De Sica.

 

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  Christian De Sica, Vittorio De Sica, Maria Mercader, Manuel De Sica

 

“Era zio di mia madre – specifica l’attore -, non proprio il tipo che inviti al pranzo di Natale. Era un aristocratico che ad un certo punto è diventato comunista. Poi l’hanno mandato in Messico ad ammazzare Trotsky. Ci hanno fatto anche un film: con Richard Burton che faceva Trotsky e Alain Delon nella parte di mio zio”. Poi l’attore rivela come la madre, Maria Mercader, ci scherzasse sopra: “Non mi contraddite perché c’ho uno zio assassino”.                 Trotsky ed il Che: aneddoti italiani

 

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Il piccone che uccise Trotsky e Ramon Mercader, l'assassino
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Come è noto, dopo la morte di Lenin, la politica russa visse un breve periodo di feroce contrapposizione tra la volontà di Stalin di concentrare le energie nella creazione di uno stato socialista forte, in quella che poi diventerà l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, e Trotsky, postosi a capo dell’ala oltranzista di sinistra del nascente partito, il quale vedeva nella Rivoluzione permanente (nel senso di tensione ideale da esportare anche in altri Paesi), l’unico modo per realizzare il socialismo.

 

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           Trotsky fu ospite di Diego Rivera e Frida Kahlo in Messico,
                          qui tra Rivera ed André Breton

 

 

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L'arrivo dei Trotsky in Messico al porto di Tampico, Gen. 1937, scattata a bordo
della nave petroliera norvegese che li portò in esilio, la foto dell'accoglienza
ritrae - da sinistra - Natalia Sedova, seconda moglie di Trotsky, Frida Kahlo,
Lev Trotsky, e Max Shachtman, sindacalista e trotskyista americano.
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Lo scontro tra i due divenne talmente aspro e così radicalmente profondo, specialmente dopo che Stalin aveva assunto un ruolo egemonico nel Partito, da portare il Paese sull’orlo di una nuova guerra civile ben presto vinta da Stalin, alla quale seguì, prima la deportazione e poi l’espulsione di Trotsky. E fino a qui, non gli era andata neppure male. Il fatto è che Trotsky, una volta fuori dal suo Paese, continuò la sua forte opposizione a Stalin e questa sua ostinazione finì con il pagarla amaramente per mano di un sicario messicano, zio della madre di Christian De Sica, il 21 agosto del 1940.                      Trotsky ed il Che: aneddoti italiani

 

 

La seconda storia è molto più articolata, in parte nota (la vita e la morte del Che), in parte assai meno (come la morte del Che venne vendicata). Tutto inizia a La Higuera, in Bolivia, il 9 ottobre del 1967 quando il Colonnello Roberto Quintanilla Pereira mostra orgoglioso il cadavere del Che crivellato di colpi, esposto senza alcun pudore alla vista dei boliviani e del mondo come monito ai “criminali” ribelli.

 

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       Il cadavere del Che a La Higuera, Bolivia, 9 Ottobre,1967
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Quel giorno viene ucciso un mito per milioni di persone, ed anche per una ragazza tedesca che non farebbe notizia, confusa nella moltitudine delle numerose donne in quegli anni perdutamente innamorate del Che, se non fosse che, probabilmente, proprio da quel momento Monika Ertl (questo il suo nome) decise di pianificare la vendetta, cioè l’omicidio del Colonnello Quintanilla.                           Trotsky ed il Che: aneddoti italiani

 

Monika Ertl

 

Ma fatto ancora più sorprendente è che Monika provenisse da una famiglia profondamente legata ad Hitler ed al nazismo; infatti il padre Hans Ertl, pur essendo persona mite che mai si iscrisse al Partito Nazista, è stato il documentarista e fotografo più apprezzato del terzo Reich; fu colui che filmò le Olimpiadi di Berlino e molte delle parate oceaniche nelle quali Hitler esaltava la volontà di rivincita del popolo tedesco dopo le umiliazioni della Prima Guerra Mondiale e dei successivi periodi bui della Repubblica di Weimar.

 

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   Olimpiadi di Berlino, 1936 : Hans Ertl (padre di Monika) direttore della
           fotografia e dietro di lui la regista Leni Riefenstahl

 

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la famiglia Ertl si incamminò, fuggitiva, sulla “Via dei Ratti” che portò nell’emisfero australe gran parte degli ex gerarchi nazisti e di tutti coloro i quali, a vario titolo, avrebbero potuto temere di essere perseguitati dalla giustizia dopo la caduta di Hitler. La strada della famiglia Ertl fu lunga e passò per vari paesi prima del definitivo approdo in Bolivia, alla corte dello “Zio Klaus” (Klaus Barbie – Il boia di Lione).

 

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   Klaus Barbie in Sud America, lo “Zio Klaus”, prima in Peru e poi in Bolivia
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Durante il lungo pellegrinare in luoghi dalla natura incontaminata, Monika apprese dal padre le tecniche della filmografia e, colpita dal nuovo Paese di adozione iniziò a collaborare con il documentarista boliviano Jorge Ruiz . Fu in quel periodo che sentì parlare delle gesta del Che appassionandosi alla figura epica e divenendone sostenitrice, tant’è che alla sua morte, rinnegando totalmente le tradizioni familiari, aderì al movimento chiamato “Nancahuazu” dal nome della località nella quale mosse i primi passi l’Esercito di Liberazione Nazionale boliviano, fondato dal Che.

Fin dall’inizio, però, ebbe ben chiaro in mente che lo scopo al quale avrebbe anche sacrificato la vita, sarebbe stato quello di vendicare l’assassinio del rivoluzionario argentino e fu per questo che, ad un certo punto, venne in Europa per seguire le orme di Roberto Quintanilla divenuto nel frattempo, console boliviano ad Amburgo. Nonostante Quintanilla temesse una rappresaglia, per Monika, tedesca, giovane, bella e colta, fu facile trovare un pretesto per incontrarlo e fu alla prima occasione che lo uccise con tre colpi al petto disegnando, con essi, una “V” simbolo di uno dei motti più famosi della rivoluzione cubana: “Victoria o Muerte”. Era il 1971.

 

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   Analisi forense dell'assassinio di Roberto Quintanilla ad Amburgo, l'arma
  Colt Cobra 38 Special, il locale ad Amburgo e la "V" scritta con proiettili
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In una sorta di nemesi storica, con l’omicidio di Quintanilla, Monika Ertl si trasforma da sicario in perseguitato nel breve volgere di un attimo e da quel momento tutte le polizie degli stati che, in qualche modo, avevano motivo per sostenere i regimi dittatoriali sudamericani (con annessi “ratti” da questi protetti), si impegnarono in una caccia senza quartiere per vendicare, a loro volta, l’eroe caduto, colui il quale aveva inferto un duro colpo ai rivoluzionari.

Dopo due anni di latitanza, tornata in Bolivia, purtroppo Monika probabilmente cadde nelle peggiori mani nelle quali poteva cadere: quelle dello “zio Klaus” il quale, oltre alla connivenza con i rivoluzionari voleva farle pagare l’alto tradimento, l’aver rinnegato le comuni origini naziste. Suo padre, nonostante la vicinanza a Barbie non ebbe mai più notizie della figlia ed il corpo non venne mai ritrovato. Della donna che vendicò il Che non resta alcun ricordo, neppure, sembra, una via o una piazza dedicata al suo nome in un una qualsiasi parte del mondo, al di fuori di una tomba simbolica nel cimitero di La Paz.                      Trotsky ed il Che: aneddoti italiani

 

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    Segrate, 14 Marzo 1972, il corpo di "Osvaldo", Giangiacomo Feltrinelli,
  ai piedi del traliccio Enel.   (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

E l’Italia? Che cosa c’entra con questa vicenda? In realtà quasi niente se non per il fatto che la pistola Colt Cobra 38 Special con la quale “Imilla” (questo era il nome di battaglia di Monika) assassinò il macellaio de La Higuera, risultò poi essere appartenuta a Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dell’omonima Casa Editrice, ma anche di uno dei primi gruppi armati che segnarono, in Italia, gli anni cd. “di piombo”, e del quale ella divenne amica durante la sua breve permanenza in Europa.

 

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