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Žižek sulla Grecia: Europa sveglia !

SET 150706-10

Slavoj Žižek sulla Grecia: Questa è una possibilità per l’Europa per svegliarsi

I greci hanno ragione: che Bruxelles neghi che si stia trattando di una questione ideologica è ideologia allo stato puroed è sintomatico del nostro processo politico.

di Slavoj Žižek

Traduzione Redazione Modus

 

L’ inaspettato e forte “No” al referendum greco è un voto storico, lanciato in una situazione disperata.

Nel mio lavoro faccio spesso uso della nota barzelletta su Rabinovitch, risale all’ultimo decennio dell’Unione Sovietica e tratta di un ebreo che vuole emigrare. Il burocrate all’ufficio emigrazione gli chiede perché vuol farlo, e Rabinovitch risponde: “Ci sono due motivi. Primo è che ho paura che i comunisti perdano il potere in Unione Sovietica, e chi li sostituirà darà tutta la colpa per i crimini passati dei comunisti a noi, gli ebrei – ci saranno di nuovo i pogrom anti-ebraici. . . ”
“Ma”, il burocrate lo interrompe, «questa è pura sciocchezza. Nulla può cambiare in Unione Sovietica, il potere dei comunisti durerà per sempre! ”
«Vede», con calma Rabinovitch risponde, “questo è il secondo motivo.”

 

Mi hanno informato che circola ad Atene una nuova versione di questa barzelletta. Un giovane uomo greco in visita al consolato australiano di Atene chiede un visto di lavoro. “Perché vuole lasciare la Grecia?”, chiede l’ufficiale.
“Per due motivi”, risponde il greco. “In primo luogo, io sono preoccupato che la Grecia lascerà l’Unione europea, che porterà nuova povertà e caos nel paese…”
«Ma», interrompe il funzionario, “questa è una sciocchezza pura: la Grecia rimarrà nella UE e si sottometterà alla disciplina finanziaria!”
«Bene», risponde il greco con calma, “questa è la mia seconda ragione.”
Parafrasando Stalin, sono peggiori, allora, entrambe le scelte ?

 

SET 150706-11

 

È arrivato il momento di andare oltre i dibattiti irrilevanti sui possibili errori e le valutazioni errate del governo greco. La posta in gioco è ora troppo alta.

 

Che una formula di compromesso sfugga sempre all’ultimo momento nei negoziati in corso tra la Grecia e gli amministratori dell’Unione europea è di per sé profondamente sintomatico, in quanto in realtà non riguarda le questioni finanziarie attuali – a quel livello, le differenze sono minime. L’UE è solita accusare i Greci di parlare solo in termini generali, con vaghe promesse e senza dettagli specifici, mentre i greci accusano l’Unione europea di cercare di controllare anche i più piccoli dettagli, imponendo condizioni alla Grecia che sono più dure di quelle al tempo imposte al precedente governo greco. Ma cosa si nasconde dietro questi reciproci rimproveri è un altro conflitto molto più profondo.

 

Il primo ministro greco, Alexis Tsipras, ha recentemente osservato che se avesse incontrato da solo Angela Merkel per cena, avrebbero trovato una formula risolutiva in due ore. Il suo punto era che lui e la Merkel, i due politici, avrebbero trattato il disaccordo come uno di natura politica, in contrasto con gli amministratori tecnocratici, come il presidente dell’ Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. Se c’è un emblematico “cattivo” in tutta questa storia, è Dijsselbloem il cui motto è: “Se ci si addentra nel lato ideologico delle cose, io non combinerò nulla.”

 

SET 150706-17

 

Questo ci porta al nocciolo della questione: Tsipras e Varoufakis, l’ex ministro delle finanze che si è dimesso oggi, 6 Luglio, parlano entrambe come se fossero parte di un processo politico aperto in cui le decisioni sono in ultima analisi “ideologiche” (anche se basate su preferenze normative), mentre i tecnocrati europei parlano come se fosse tutta una questione di misure normative particolareggiate (prive di ideologie). Quando i Greci rifiutano questo approccio e sollevano questioni politiche più fondamentali, sono accusati di mentire, di evitare soluzioni concrete, e così via. Ed è chiaro che la verità qui si trova dalla parte greca: la negazione del “lato ideologico” sostenuto da Dijsselbloem è l’ideologia allo stato puro. Maschera (presenta falsamente) misure di regolamentazione come se fossero puramente di tecnici esperti ma che sono effettivamente fondate in decisioni politico-ideologiche.

 

A causa di questa asimmetria, il “dialogo” tra Tsipras o Varoufakis ed i loro partner europei appare spesso come un dialogo tra un giovane studente che vuole un dibattito serio sulle questioni di fondo, e un professore arrogante che, nelle sue risposte, ignora, umiliandola, la questione e rimprovera allo studente punti tecnici (“Non hai formulato correttamente quello! Non hai tenuto conto del  regolamento!”). O anche come un dialogo tra una vittima di stupro che riferisce disperatamente su quanto è accaduto a lei e un poliziotto che la interrompe continuamente con richieste di dettagli amministrativi. Questo passaggio dalla pura politica ad una neutra amministrazione tecnocratica caratterizza l’intero attuale processo politico: decisioni strategiche basate su chi detiene il potere sono sempre più mascherate come applicazioni di norme amministrative, interpretate da esperti “neutrali”, e sono, per giunta, sempre più negoziate in segreto e poi applicate senza una consultazione democratica. La lotta che si svolge è la lotta per la Leitkultur economica e politica europea (la cultura dominante). I poteri dell’UE rappresentano lo status quo tecnocratico che ha mantenuto l’Europa nell’ inerzia per decenni.

 

Nelle sue “Notes Towards the Definition of Culture” (Note per una definizione di cultura), il grande conservatore T.S.Eliot osservò che ci sono momenti in cui l’unica scelta è quella tra eresia e “ateismo”, cioè, quando l’unico modo per mantenere viva una religione è quella di eseguire una divisione settaria dal suo corpo principale. Questa è la nostra posizione di oggi per quanto riguarda l’Europa: solo una nuova “eresia” (rappresentata in questo momento da Syriza) può salvare ciò che vale la pena di salvare dell’eredità europea: la democrazia, la fiducia nelle persone, la solidarietà egalitaria. L’Europa che vincerà se Syriza sarà scavalcata è una ‘”Europa con valori asiatici” (che, ovviamente, non ha nulla a che fare con l’Asia, ma tutti con la tendenza chiara e presente del capitalismo contemporaneo di sospendere la democrazia).

***

SET 150706-12

 

Nell’Europa occidentale ci piace guardare alla Grecia come se noi fossimo osservatori distaccati che seguono con compassione e simpatia la difficile situazione di questa nazione impoverita. Questo comodo punto di vista si basa su un’illusione inevitabile , ma ciò che sta accadendo in Grecia queste ultime settimane ci riguarda tutti; è il futuro dell’Europa che è in gioco. Così, quando leggiamo di Grecia, dobbiamo sempre tenere a mente che, come recita il vecchio detto, de te fabula narratur (il nome è cambiato, ma la storia si applica a voi).
Un’idea sta gradualmente emergendo dalla reazione dei poteri europei al referendum greco, idea resa al meglio dal titolo di un recente articolo di Gideon Rachman sul Financial Times : “L’anello più debole dell’Eurozona sono gli elettori”

 

In questo mondo ideale, l’Europa si libera di questo “anello debole” e gli esperti ottengono il potere di imporre direttamente le necessarie misure economiche – se si indicono elezioni, la loro funzione è solo di confermare il parere degli esperti. Il problema è che questa politica di esperti si basa su una finzione, la finzione di “estendere e far finta” (l’estensione del periodo di recupero, e far finta che tutti i debiti finiranno per essere pagati).

 

Perché una tale narrativa persiste ad essere accettata testardamente? Non è solo che questa narrativa rende l’estensione del debito più accettabile agli elettori tedeschi; ma anche, che la cancellazione del debito greco può innescare richieste simili da Portogallo, Irlanda, Spagna. Il fatto è che chi è al potere non vuole veramente il debito venga interamente rimborsato. I prestatori di denaro e i custodi del debito accusano i paesi indebitati di non sentirsi abbastanza in colpa – sono accusati di sentirsi innocenti. La loro pressione si adatta perfettamente a ciò che la psicoanalisi chiama “Super-io”: il paradosso del Super-io è che, come Freud vedeva, più obbediamo alle sue esigenze, tanto più ci sentiamo in colpa.

 

Immaginate un insegnante vizioso che dà ai suoi allievi compiti impossibili, e poi sadicamente li deride quando vede la loro ansia e il loro panico. Il vero obiettivo di prestare denaro al debitore non è quello di ottenere il debito rimborsato con un utile, ma la continuazione indefinita del debito , che mantiene il debitore nella dipendenza permanente e nella subordinazione. Per la maggior parte dei debitori, perché ci sono debitori e debitori. Non solo la Grecia, ma anche gli Stati Uniti non saranno in grado nemmeno teoricamente di rimborsare il debito, come è ormai riconosciuto pubblicamente. Quindi ci sono debitori che possono ricattare i loro creditori, perché non si può permettere loro di fallire (grandi banche), i debitori che possono controllare le condizioni del loro rimborso (il governo degli Stati Uniti), e, infine, i debitori che possono essere presi in giro e umiliati (Grecia) .

 

SET 150706-13

 

I prestatori – i creditori –  di denaro e i custodi del debito sostanzialmente accusano il governo Syriza di non sentirsi abbastanza in colpa – sono accusati di sentirsi innocenti. Questo è ciò che inquieta chi dirige la UE del governo Syriza: che ammette il debito, ma senza sensi di colpa. Si è sbarazzato della pressione Super-Io. Varoufakis ha incarnato questo atteggiamento nei suoi rapporti con Bruxelles: ha pienamente riconosciuto il peso del debito, e ha sostenuto molto razionalmente che, dal momento che la politica dell’Unione europea ovviamente non ha funzionato, deve essere trovata un’altra soluzione.

Paradossalmente, il punto che Varoufakis e Tsipras stanno continuando a ripetere è che il governo Syriza è l’unica possibilità per i fornitori di debito per ottenere almeno una parte dei loro soldi indietro. Varufakis si interroga sull’ enigma del perché le banche hanno investito soldi in Grecia e hanno collaborato con uno stato clientelare pur sapendo benissimo come stavano le cose – la Grecia non si sarebbe mai così pesantemente indebitata, senza la connivenza dell’establishment occidentale. Il governo Syriza è ben consapevole che la principale minaccia non viene da Bruxelles – ma risiede nella Grecia stessa, uno Stato devastato dal clientelismo quanti altri mai. La burocrazia dell’UE dovrebbe essere biasimata perchè, mentre criticava la Grecia per la sua corruzione e inefficienza, sosteneva la principale forza politica (il partito Nuova Democrazia), che incarna questa corruzione e inefficienza.

Il governo Syriza mira proprio a rompere questa situazione di stallo – vedi la dichiarazione programmatica di Varoufakis (pubblicata sul Guardian), che rende l’obiettivo strategico finale del governo Syriza:

“Un’uscita greca o portoghese o italiana dall’eurozona porterebbe presto ad una frammentazione del capitalismo europeo, ottenendo un surplus di carattere gravemente recessivo nella regione a est del Reno e a nord delle Alpi, mentre il resto d’Europa sarebbe nella morsa di una viziosa stagflazione. Chi pensate che beneficerà di questo tipo di sviluppo? La sinistra progressista, che risorgerà come la fenice dalle ceneri delle istituzioni pubbliche europee? O i nazisti di Alba Dorata, i neofascisti assortiti, gli xenofobi e gli imbroglioni? Non ho il minimo dubbio su quale dei due schieramenti uscirà meglio da una disintegrazione della zona euro. Io, per esempio, non sono disposto a soffiare vento fresco nelle vele di questa versione postmoderna del 1930. Se questo significa che siamo noi, i marxisti accettabilmente erranti, che dobbiamo cercare di salvare il capitalismo europeo da se stesso, così sia. Non per amore del capitalismo europeo, della zona euro, di Bruxelles, o della Banca centrale europea, ma solo perché vogliamo ridurre al minimo l’inutile tributo di vite umane dovuto a questa crisi.”

SET 150706-15

La politica finanziaria del governo Syriza ha seguito strettamente queste linee guida: no deficit, disciplina severa , più denaro raccolto con le tasse. Alcuni media tedeschi hanno recentemente rappresentato Varoufakis come uno psicotico che vive nel suo universo diverso dal nostro – ma è davvero così radicale?
La cosa snervante riguardo a Varoufakis non è la sua radicalità, ma la sua modestia razionale e pragmatica – se si guardano da vicino le proposte avanzate da Syriza, non si può fare a meno di notare che una volta erano la parte moderata dell’agenda socialdemocratica standard (nella Svezia del 1960, il programma del governo era molto più radicale). È un segno triste dei nostri tempi che oggi si debba appartenere a un’area “radicale” di sinistra per sostenere queste stesse misure – un segno dei tempi bui, ma anche la possibilità per la sinistra di occupare lo spazio che, decenni fa, era quella del centrosinistra moderato.

Ma, forse, il ripetere all’infinito quanto modesta sia la politica di Syriza , l’ennesima buona vecchia social-democrazia, in qualche modo manca il bersaglio – come se, se lo ripetiamo abbastanza spesso, gli eurocrati finalmente potessero capire che non siamo veramente pericolosi e che vi aiuteremo . Syriza effettivamente è pericolosa, è una minaccia per l’attuale orientamento della Ue – il capitalismo globale di oggi non può permettersi un ritorno al vecchio stato sociale.
Quindi c’è qualcosa di ipocrita nelle rassicurazioni sulla modestia di ciò che vuole Syriza: si vuole effettivamente qualcosa che non è possibile entro le coordinate del sistema globale esistente. Deve essere fatta una seria scelta strategica: e se fosse giunto il momento di abbandonare la maschera di modestia e sostenere apertamente quel cambiamento molto più radicale che è necessario per garantire anche solo un modesto guadagno?

Molti critici del referendum greco hanno affermato che si trattava di un caso di puro atteggiamento demagogico, sottolineando beffardamente che non era chiaro “su che cosa” era il referendum . Se non altro, il referendum non era su euro o dracma, sulla Grecia nell’UE o fuori di essa: il governo greco ha ripetutamente sottolineato la sua volontà di rimanere in Europa e nella zona euro. Anche in questo caso, i critici hanno tradotto automaticamente la questione politica fondamentale sollevata dal referendum in una decisione amministrativa su particolari misure economiche.

***

 

In un’intervista a Bloomberg, il 2 luglio , Varoufakis ha chiarito la vera posta in gioco del referendum. La scelta era tra la continuazione della politica dell’UE degli ultimi anni che ha portato la Grecia sull’orlo della rovina – la finzione di “estendere e far finta” (l’estensione del periodo di recupero, ma far finta che finiranno per essere pagati tutti i debiti) – e un nuovo inizio realista che non potrebbe più contare su tali finzioni, e fornirebbe un piano concreto su come avviare una effettiva ripresa dell’economia greca.

Senza un tale piano, la crisi sarebbe solo destinata riprodursi all’infinito. Lo stesso giorno, anche il Fondo monetario internazionale ha ammesso che la Grecia ha bisogno di un alleggerimento del debito su larga scala per creare “uno spazio di respiro” e rimettere in moto l’economia (proponendo una moratoria di 20 anni sui pagamenti del debito).

Il No al referendum greco era quindi molto più di una semplice scelta tra due diversi approcci alla crisi economica. I cittadini greci hanno eroicamente resistito alla campagna spregevole di paura che ha mobilitato gli istinti più bassi dell’autoconservazione. Hanno visto al di là dellla brutale manipolazione dei loro avversari che falsamente presentavano il referendum come una scelta tra euro e dracma, tra la Grecia in Europa e “Grexit”.

Il loro è stato un No agli eurocrati che dimostrano ogni giorno che non sono in grado di trascinare l’Europa fuori dalla sua inerzia. E’ stato un No al proseguimento del “business as usual”; un grido disperato che ci dice che le cose non possono andare avanti come al solito. E ‘stata la scelta di un’autentica visione politica contro la strana combinazione di fredda tecnocrazia e caldi luoghi comuni razzisti sui greci pigri e spendaccioni. E’ stata una rara vittoria dei principi contro un opportunismo egoista e in ultima analisi autodistruttivo. Il No che ha vinto era un sì alla piena presa di coscienza della crisi in Europa; un sì alla necessità di proclamare un nuovo inizio.

Spetta ora all’Unione Europea agire. Sarà in grado di risvegliarsi dalla sua inerzia autocompiaciuta e di capire il segno di speranza espresso dal popolo greco? O scatenerà la sua ira contro la Grecia, al fine di continuare il suo sogno dogmatico?

SET 150706-16

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19 comments

  1. Berto Al 11 luglio, 2015 at 17:12

    Politica ed Economia sono due aspetti indissolubili della vita di uno Stato; una patologia degenerativa del Sistema ha portato l’Economia a prevalere sulla Politica. Gli eventi degli ultimi giorni non indicano quella svolta auspicata da Zizek

  2. M.Ludi 9 luglio, 2015 at 09:02

    Rispondo in blocco alle argomentazioni fatte da Kokab e Dinamite. Credo che tutti concordiamo con Zizek che sia la politica a doversi riappropriare pienamente del proprio ruolo in modo tale da ricondurre ognuno nei propri ambiti e, soprattutto, nel rispetto delle regole. Non ho difficoltà alcuna ad accettare il fatto che il Capitalismo, trasformandosi da liberale in liberista, abbia finito per diventare un mostro implacabile, del tutto avulso dal senso di civiltà che noi vorremmo veder trionfare; aggiungo anche che il processo degenerativo sta continuando imperterrito se è vero, come pare (e di questo, prima o poi credo che dovremo cominciare seriamente a parlare) che il Parlamento europeo stia per approvare una norma, nell’ambito del trattato cd. TTIP, in base alla quale sarà possibile per una multinazionale portare in giudizio uno Stato laddove quest’ultimo si sia reso reo di aver introdotto, nel proprio ordinamento, una qualsiasi norma lesiva del libero scambio di beni da essa prodotti (la cosa è assai complessa e, per brevità, l’ho banalizzata).
    Tutto ciò premesso, la mia critica a Zizek deve intendersi come ristretta al momento determinatosi in seguito alle iniziative “forti” prese dal governo greco, tese a forzare la mano in una sorta di gioco (parola che ormai ricorre spesso) del puntare tutto su di un bluff che non ha funzionato ma, nel quale, tutti rischiamo di perdere.
    Il mio riferimento a due date importanti nella storia moderna del nostro Paese era evidentemente teso a fare una critica all’idea, secondo me, entusiasticamente prematura che Zizek ha di questa fase storica la quale, potrà si portare ad un cambiamento radicale che veda la politica riappropriarsi pienamente del prorpio ruolo, ma, probabilmente, solamente dopo che avremo vissuto un periodo molto difficile nel quale potremmo, tutti, dover pagare prezzi molto salati; è indubbio il fatto che, alla fine, Tsipras potrà fregarsi del merito di aver innescato questo processo, ma la mia domanda è: ne sarà valsa la pena?

    • Gennaro Olivieri 9 luglio, 2015 at 10:38

      Nè sarà valsa la pena se tornerà a imporsi il principio che lo scopo di tutto sono il benessere dell’uomo e l’espansione dei suoi diritti; che i conti in ordine hanno senso solo se il denaro viene immediatamente e continuamente utilizzato per la collettività. Oggi invece vediamo il pareggio di bilancio e la puntuale restituzione del debito pubblico come valori in sè e come un fine ultimo, proprio allo stesso modo in cui vediamo una vittoria elettorale come valore definitivo, lasciando in secondo piano cosa faremo di questa vittoria e quali contenuti avrà l’esercizio del nostro potere. Tra parentesi, i greci stanno già pagando duramente sia gli errori passati che l’attuale contingenza economica; ma naturalmente, un eventuale futuro sacrificio nostro ci importa assai di più della attuale e concretissima sofferenza dei greci.

      • M.Ludi 9 luglio, 2015 at 11:25

        Concordo a condizione di ricordare che tra il 25 aprile e l’8 settembre non sono passati mesi, ma anni di grandissima sofferenza; è su questa misura che va calibrato quel “sarà valsa la pena?”.

  3. M.Ludi 8 luglio, 2015 at 20:42

    Il debito degli Stati Sovrani appartenenti al Vecchio Continente ed a quel concetto allargato di “Occidente” che siamo soliti considerare come fulcro centrale del Capitalismo Moderno, è un debito che, a conoscenza ormai di tutti, in larga parte, non potrà mai essere onorato in quanto le sue dimensioni travalicano ogni possibilità di rimborso.
    Assodato questo punto che è bene tenere a mente per non essere coinvolti in ragionamenti devianti, cosa è che tiene in piedi tutta la complessità di cui questo debito è costituita? E’ solo ed esclusivamente la possibilità per i debitori di sostenere un adeguato flusso di reddito che renda la rinnovabilità di questo debito un fatto automatico, privo di alcun pathos se non quello relativo al tasso che regolerà ogni nuova emissione quando una tranche della vecchia andrà in scadenza.
    Ecco che a quel punto diventa fondamentale la percezione che i creditori hanno di quei debiti che dovrebbero teoricamente incassare e che, in realtà, finiranno per non incassare mai; e questa percezione si trasforma in un rating al quale corrisponde uno spread che ciascun debitore verrà chiamato a pagare in più rispetto al tasso di minor rischio, ad ogni scadenza e sulle nuove emissioni.
    Tecnicismi? Può darsi, ma non si può tutte le volte che si affronta questi problemi prescindere da essi perchè si rischia, come temo faccia anche Zizek, di andare per prati più confortevoli ove pascolare e dove essere seguiti da molti puri di spirito, mentre il mondo continua ad andare da un’altra parte.
    Per quanto ci è dato sapere, i tagli operati sui tassi del debito Greco avevano reso il peso degli interessi assolutamente gestibile sul bilancio di quel Paese visto che, ormai, erano ben inferiori anche ai nostri, e questo al di fuori delle regole sopra enunciate: non sembrava essere un passo da poco.
    Intendiamoci; questo non è il migliore dei mondi possibili: ci sono nato e non ho mai nutrito la speranza di poterlo cambiare e, lo ammetto, questo è un mio grandissimo limite, ma fino a quando qualcuno non mi fa vedere, concretamente, che ne esiste uno migliore e possibile, io non vedo via di uscita se non cercare di conviverci al meglio.
    Il Capitalismo ha le sue regole le quali, al netto di inefficienza, delinquenza e furbizia, avrebbero potuto funzionare se la politica avesse fatto il suo mestiere, quello cioè di dettare le regole del gioco, controllare che esse vengano rispettate e, infine, colpire duramente chi le rispetta, ma ciò non è avvenuto.
    Il problema, come spesso accade, si risolve in una barzelletta: “Se tu hai un debito di 100.000 euro, hai un grosso problema, ma se il tuo debito è di 100.000.000 di euro, il problema è dei tuoi creditori”. La relazione che intercorre tra i termini della questione posta in una battuta, non è rigida ma estremamente flessibile, nel senso che, di volta in volta vanno verificati i rapporti tra le variabili in gioco. Se, per esempio prendiamo a riferimento le dimensioni, in termini economici, della Nazione Greca rispetto al resto dell’Europa o, del mondo, ne perdiamo la cognizione tanto essa è piccola sia in termini economici e demografici; ma se, ci avviciniamo e guardiamo un popolo allo stremo, composto da individui, non tutti, peraltro, coinvolti o beneficiati da tutte quelle manovre che ne hanno determinato lo sfacelo, allora il discorso cambia e, da un lato, vediamo lo sfacelo individuale di vite distrutte, ma dall’altro non possiamo non considerare un Paese che, nell’insieme, ha vissuto, come del resto noi, al di là delle proprie possibilità.
    Tutte queste considerazioni probabilmente non hanno pesato se non in termini di geo-politica globale per cui il popolo greco ha pagato questa situazione, probabilmente ben oltre i propri demeriti, ma la classe politica che li ha amministrati in questi anni, sono loro ad averla votata e non i tedeschi, gli olandesi ed i finlandesi (per parlare solo dei più rigidi oppositori ad un accordo meno rigido).
    Le notizie che si hanno sul disastro che in questa caldissima estate si consuma negli ovattati uffici delle varie cancellerie è impressionanante ma temo che a tutti sia completamente sfuggito (a me per primo) quale realmente sia stato il livello di confronto e di concessioni reciproche non accolte, in quanto la stampa ha riportato notizie contraddittorie e spesso confutate, o comunquq, non confermate; la verità, temo, è che in questi sciagurati confronti, non solo sia mancata la reciproca volontà di un accordo, ma ciascuno abbia giocato il suo patrimonio elettorale nel modo più egoistico e utilitaristico.
    Se è vero che la distanza, al culmine delle trattative, si era ridotta a soli 60.000.000 di euro (come alcuni hanno riportato), non si capisce come non si sia potuti arrivare ad un accordo e con tutte le colpe che sono disponibile ad attribuire alla Merkel, sono del tutto convinto che Tsipras ne abbia, se non altrettante, almeno una bella parte.
    Il dialogo doveva proseguire in tutti i modi ed il Referendum è stata un’opzione folle, una sorta di cul de sac nel quale Tsipras ha infilato scientemente il Paese e dal quale, al momento, non sembra avere idea alcuna su come farlo uscire.
    Forte del fresco successo elettorale Tsipras doveva accettare il confronto sino all’inverosimile perchè sono convinto che, alla fine, un accordo si sarebbe potuto trovare, ma così non è stato; e temo che il problema più grande sia stato quello che aveva promesso, in campagna elettorale, più di quello che era ragionevole attendersi.
    Zizek individua in questa fase l’inizio di un percorso nel quale la politica si potrà riappropriare di quel ruolo che ormai da troppo tempo la finanza si è appropriata (gestendolo assai malamente); io temo che il mancato raggiungimento di un accordo sia, al contrario, la negazione di quel percorso e quella che il filosofo sloveno sembra voler indicare come l’alba di un giorno migliore, sia solo una tregua apparente di una tempesta che deve ancora iniziare ed i cui esiti nessuno, al momento, riesce a prevedere; no caro Zizek, non siamo al 25 aprile, ma all’8 settembre

    • dinamite bla 8 luglio, 2015 at 22:44

      vedi ludi… di tanto in tanto, fin da ragazzino, soprattutto studiando storia ma a volte anche con altre materie, quando leggevo gli accadimenti nodali, chessò la caduta di roma o quella degli atzechi o dei maya mi ponevo una domanda: “eccheccacchio ma non se ne accorgevano PRIMA che il loro mondo stava per finire… perché sono andati avanti a fare gli stessi errori che li avrebbero portati inevitabilmente alla fine?” evidentemente no, non se ne accorgevano e proseguivano inesorabili verso l’ultima china. ecco, credo che l’europa stia vivendo uno di questi periodi… non è questione di valutare se ha più ragione l’intransigenza estone o lituana piuttosto che il coraggio greco… se i punti di contatto fossero a qualche manciata di euro in più o in meno… il fatto è che o si cambiano radicalmente le regole del gioco o l’europa perderà del tutto ogni speranza di futuro, l’austero sistema alemanno si è dimostrato inefficace, funzionando (peraltro a discapito di altra parte d’europa) si e no in un terzo del continente… non ha una massa critica sufficiente, che piaccia o meno. o si cambia o si fa la fine dell’ultimo sacerdote maya, o re azteco o imperatore romano arriva un tolteco, un ispano o un goto qualsiasi… e si viene cancellati.

    • Kokab 8 luglio, 2015 at 23:47

      se la politica avesse fatto il suo dovere avremmo probabilmente un occidente liberale e non un occidente liberista, ma siccome così non è stato ci siamo ritrovati esattamente nella situazione opposta, e oggi è il capitalismo liberista che detta le regole alla politica; io credo che questa sia esattamente la patologia e non la fisiologia del capitalismo, il quale, quando smette di rispettare le regole dello stato liberale, si trasforma, oltre che in una fonte di iniquità feroce, anche in un permanente fattore di destabilizzazione: le crisi del ’29 e del 2008 sono entrambe figlie di questo tipo di capitalismo e di questa subalternità della politica, della prima conosciamo l’esito, della seconda lo conosceremo nei prossimi anni.
      è possibile, direi persino probabile, che il percorso indicato da zizek non porti al XXV aprile, ma questo non significa che l’8 settembre prossimo venturo sia da imputare al lui, o a tsipras e varoufakis, il prossimo 8 settembre sarà figlio dei populismi che stanno montando in europa e che finiranno col divorarla, populismi che sono a loro volta figli dell’impoverimento diffuso causato dal liberismo, perché il nodo dei debiti viene sempre al pettine, e un debito che non può essere rimborsato è, come dici giustamente tu, un problema (anche) per il creditore: non credo che saranno i banchieri che hanno portato il sistema sull’orlo del collasso a restituire alla politica il suo ruolo di creatore e di guardiano delle regole, meno che mai gli attuali banchieri tedeschi.

      • nemo 9 luglio, 2015 at 08:44

        Credo caro Kokab, che i due termini, liberale e liberista, si siano talmente confusi tra loro che per qualcuno non sono più distinguibili. Di liberale c’è la politica , anche quella che viene osteggiata, anche, di sinistra, ovviamente la parte che, la sinistra, radicale definisce sprezzantemente liberista. Appunto, di liberista c’è solo la economia !

        • Kokab 9 luglio, 2015 at 09:19

          è esattamente questo il problema, si sono confuse due cose diversissime, che è essenziale restino distinte; quando il liberalismo non mitiga e contiene il liberismo, il liberalismo muore e la politica viene riassunta nel liberismo economico, ossia nella sua negazione; in tutto questo la sinistra radicale non c’entra nulla, a prescindere da quello che pensa, da quello che dice e dalle colpe che le si attribuiscono.

          • M.Ludi 9 luglio, 2015 at 11:24

            Non sono del tutto sicuro della tua ultima affermazione; la mossa di Tsipras del Referendum ha fatto saltare un tavolo che non porterà ad una corretta reimpostazione del rapporto tra Capitalismo e Politica, ma potrebbe essere la premessa di qualcosa che non conosciamo e della quale non abbiamo gettato minimamente le basi; alla fine il liberalismo potrebbe addirittura uscirne rafforzato in quanto ha una maggiore capacità di adattabilità alle situazioni nuove e velocità di esecuzione

  4. Jane 7 luglio, 2015 at 18:50

    la vicenda greca sembra tutta indicare il paradosso del vissuto sociale oggi. Chi vuol far politica di idee finisce col fare populismo, chi é responsabile é solo responsabile di numeri. Se fosse vero ciò che battono le agenzie ora ovvero se la Grecia non avesse null’altro da mettere sul tavolo oltre al suo 61% di NO saremmo nel primo caso, senza se e senza me. Tsipras, per quanto encomiabile per tattica e etica, avrebbe solo fatto esibizione di sé, muscoli in patria che se non fossero retti da una qualche piano siginificherebbero che la Grecia vuole l’uscita dall’euro, un default assistito. Perché no? D’altro canto tanti economisti non allineati come Krugman consigliano ai Greci di uscire e i fatti hanno ampiamente dimostrato che Tsipras (a differenza del nostro PDC) ha capacità strategica da vendere..e se avesse fatto volutamente il passo più lungo della gamba per poi non aver nulla da mattere sul tavolo al solo scopo di uscire? Con in mano già accordi di salvataggio geopolitico con Russia e Cina? Se fosse così noi altri avremmo perso la nostra culla storica, Varoufakis resterebbe solo una copia scialba di Achille che vince Ettore, e la Merkel la nostra Medusa che tutto tramuta in pietra

    • M.Ludi 7 luglio, 2015 at 18:59

      Se sarà vero ciò che ipotizzi, lo sapremo molto presto; domani la Grecia dovrà fare una proposta all’Europa e da lì si capirà che aria tira. Sul finale (un pò romanzato invero) temo che le perdite saranno maggiori per tutti, Grecia compresa, ed alla fine resterà solamente da chiedersi se, tutto questo, non sarebbe stato meglio racchiuso nelle pagine di un romanzo epico, anzichè far parte delle cronache di questi giorni.

      • Jane 7 luglio, 2015 at 19:07

        …please: metaforizzato sui miti greci :-))..sai a me l’epica piace, dovremmo farcene invadere un po’, é stato tutto così grigio negli ultimi decenni, nessuna spinta davvero rivoluzionaria, non un afflato di popolo che abbia vinto decisamente come il No di due gg fa. E’ politica questa e di buon livello. Economicamente la Grecia é già in default, che resti o meno nell’euro

        • M.Ludi 7 luglio, 2015 at 19:16

          …Sorry 🙂 . Siamo tutti in default; dipende dalla prospettiva e da quanto gli altri ci considerino ancora solvibili. Concordo con te sullo squallore, ma quello a cui stiamo assistendo è solo un salto nel buio e mi aspettavo di meglio da questa età che sto vivendo

    • Tigra 8 luglio, 2015 at 18:34

      Se l’ho capita bene, mi sembra interessante l’idea di legare la politica al populismo, e la responsabilità ai numeri, che interpreto in questo caso come le regole della finanza; il tramonto delle ideologie giustifica ampiamente un quadro del genere, nel quale, chi comanda veramente, sono i tecnocrati, i burocrati, i banchieri e gli oligarchi, ai quali la politica spesso va a rimorchio.
      Poi a volte succede che il tavolo viene rovesciato, anche dal populismo, perchè no, o semplicemente dalla forza dei numeri, e i creditori rimangono con un pugno di mosche, che si uniscono alle lacrime e sangue dei debitori; dal 1972 ci sono stati nel mondo 36 default, sia di piccoli paesi, sia di paesi importanti, fra i quali la Russia (due volte) la Turchia, l’Argentina, il Brasile, il Sud Africa, il Messico, la Polonia e l’Iran, mentre nell’ultimo secolo si segnalano quelli della Germania, del Giappone e della Cina, per 3 volte a testa.
      Al confronto di tutti questi la Grecia è evidentemente una robetta insignificante, che assume importanza perchè incide sull’Euro, e perchè, per denaro, può cambiare di campo, ma questo, se succederà, mi sembra un fallimento che politici e tecnocrati hanno fatto di tutto per non evitare.
      Sarà un caso, ma Obama li guarda tutti come se fossero deficienti.

  5. dinamite bla 7 luglio, 2015 at 14:15

    Come al solito zizek è brillante ed obliquo.
    Il punto di fondo rimane che l’europa o si da una condivisa regola politica o… di economia muore, e, con tutto il rispetto lasciar le sorti continentali ad un modestissimo agrimensore frisone piuttosto che ad un cocciuto commercialista teutonico può essere cosa che sorte solo da una generale ominicchitudine dei politici europei; nel medio sarà di danno a tutti, crucchi e loro kapò inclusi, nel breve e già di danno, e cospicuo, soprattutto a noi.
    Solo l’ineffabile dentone rignanese e la sua pletora di econosguatteri da noi stipendiati in quanto parlamentarizzati da dentibill(lepri, guerrieri&co) riesce a non vederlo… e gode perché dopo un triennale >-10% ora facciamo un trimestrale +0,15%

  6. Kokab 7 luglio, 2015 at 12:47

    žižek scrive cose che non sono mai banali, unendo alla complessità del discorso la semplicità della visione, che poi vuole dire portare al loro livello di base i concetti che vengono utilizzati per spiegare i fatti e le loro dinamiche; proviamo a vedere che succo si può estrarre da questo lungo articolo.

    1) il debito greco, come la maggioranza dei debiti sovrani, non è sostanzialmente rimborsabile, perché negli ultimi 30 anni troppi soldi sono finiti nelle mani di un numero troppo piccolo di soggetti, che non rappresentano in alcun modo un interesse pubblico (cioè della collettività), ma solo gli interessi del denaro.
    2) che il debito greco sia stato creato con la sostanziale connivenza dei creditori, che certamente sapevano di prestare denaro ad un paese che si trova economicamente ai confini del terzo mondo, a me pare indubitabile, come mi sembra ugualmente evidente che il meccanismo che soggiace a queste dinamiche è tale per cui il miglior debitore possibile è quello che non estingue mai il suo debito e lo rinnova di continuo; che la classe politica greca che ha determinato questa situazione sia la stessa che oggi vorrebbe proseguire la cura degli ultimi 5 anni mi sembra perfettamente logico e coerente.
    3) che la posizione della troika non sia tecnica ma ideologica lo trovo particolarmente convincente, perché rappresenta in modo plastico il capitalismo liberista che ha trionfato nel mondo a partire dalla fine degli anni ’70, trasformando l’economia da industriale a finanziaria; è chiaro che oggi questo capitalismo distribuisce le carte e fissa le regole, che ciò sia una buona cosa è cosa di cui mi permetto di dubitare; per inciso, l’immagine del capitalismo di natura asiatica mi sembra assolutamente geniale.
    4) che la posizione altrettanto ideologica di syriza, che ha però un quid di politica in più, sia inconciliabile con quella liberista è del tutto ovvio, perché rappresenta un’idea dello stato sociale prereganiano del tutto incompatibile con il liberismo oggi imperante; peraltro, in un mondo dove obama ha un’idea di politica sociale che è forse più a destra di quella di nixon, non potrebbe essere diversamente. ciò sia detto senza alcuna concessione allo stato sociale greco, che diversamente da quello tedesco ha avuto e ha natura esclusivamente assistenzialista e distruttiva.

    alla fine la domanda, già posta in altro thread, è “chi paga”, e le risposte possono essere molteplici, andando dai soliti noti, ossia i poveri sempre più numerosi, a nessuno, perché i creditori impersonali sono forti nella misura in cui si strutturano riescono ad esercitare anche una leadership politica; io non so che tasso di ruffianeria sia contenuto nel populismo di tsipras, e non so neanche se ha un livello di coscienza sulla natura dello scontro che ha gestito paragonabile a quello di varoufakis, però di fatto è stato il primo che ha messo in discussione un’europa fondata su basi finanziarie e non politiche, e di questo credo gli si debba essere riconoscenti, a prescindere dalle soluzioni che verranno trovate, semai succederà.

    poniamoci un’altra domanda, se domani saltassero, cioè diventassero inesigibili, il debito italiano e quello spagnolo, chi pagherà? e davvero schäuble ritiene che il pur virtuoso debito della germania sia rimborsabile? suvvia…, l’anello debole dell’eurozona sono gli elettori, per tutti, anche per il liberismo trionfante, che ha rifondato il mondo sui debiti.
    debito infinito?

  7. Gennaro Olivieri 7 luglio, 2015 at 10:30

    Zizek individua giustamente nel referendum greco il primo esempio di ribellione democratica al perenne ricatto del debito. E’ logico che l’establishment politico e finanziario europeo fosse spaventato e abbia usato ogni mezzo e ogni argomento, più o meno logico, per delegittimare la scelta di Tsipras di lasciare che fosse il popolo greco a esprimersi. L’argomento meno logico di tutti è proprio quello che a prima vista sembrava il più piano e lineare: se gli Stati non pagano i debiti contratti, ne conseguiranno disastri a catena e, alla lunga, la fine dell’Unione Europea. Forse ci volevano proprio dei marxisti eccentrici e un po’ burloni come Varoufakis e Zizek a sollevare il velo su questa illogicità. Se la Grecia non paga una rata qualsiasi dei suoi debiti verso chicchessia, si tratta di una somma talmente piccola da essere del tutto irrilevante rispetto all’enorme partita di giro di tutti i debiti pubblici mondiali (ma anche di quelli solo dei paesi europei), quindi ogni ripercussione negativasui mercati è illogica e “drogata” dagli interessi di altri giocatori. Se l’insolvenza riguardo a una rata (ma anche a più di una) invece deve essere presa come indicatore di uno stato di insolvenza generale della nazione greca (rispetto alla totalità del suo debito), Zizek ci ha appena ricordato che nessuno Stato (nè nessuna banca) è minimamente in grado di rientrare della sua esposizione debitoria generale. Se proprio a livello ragionieristico mancano le ragioni logiche per allarmarsi della parziale insolvenza della Grecia, appare chiaro che tutta la battaglia intorno al debito greco è esclusivamente politica, e concerne la situazione di sudditanza in cui molte nazioni e molti popoli vengono tenuti con il pretesto del debito pubblico. Vogliamo tornare a pensare, in maniera sana, che il debito deve servire alla crescita economica di una nazione, e deve cessare di essere uno strumento di ricatto?

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