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Il giorno in cui ho trovato morto il mio compagno: “Ti tocco il collo. È freddo”

Carolina Setterwall: "Da qualche parte lungo il cammino, questa esistenza comincerà a    sembrare normale." Foto: Linnea Jonasson Bernholm

Il giorno in cui ho trovato morto il mio compagno il giorno in cui ho trovato morto il mio compagno

 

di Carolina Setterwall
Traduzione Redazione Modus

Il giorno in cui ho trovato morto il mio compagno il giorno in cui ho trovato morto il mio compagno

 

Mi sveglio vicino ad Ivan alle 6.30 del mattino. Abbiamo dormito bene la notte. Beh, tutto è relativo, ma buona per i nostri standard. Ivan – quasi nove mesi – sta passando notti tormentate. Di solito finisco per dormire su un materasso sul pavimento della sua stanza, anche se il piano era che tu ed io avremmo finalmente trascorso le nostre notti insieme di nuovo.

Ieri sera, dopo aver provato a confortare Ivan per quella situazione che sembrava sarebbe durata per sempre, mentre tu eri seduto in cucina a lavorare, alla fine ti ho mandato un sms dalla stanza di Ivan. Ti ho scritto che dovevo stare di nuovo con lui e tu hai risposto con un semplice OK e buonanotte. Non molto tempo dopo, hai spento tutte le luci, ti sei lavato i denti e sei andato a letto.

Mi sveglio quasi riposata. Ivan è di buon umore. Lo sollevo, gli dico che è ora di andare a svegliare papà. Quando apro la porta, la gatta ci sta aspettando. Anche lei sembra appena sveglia. Ci dirigiamo tutti verso la tua stanza.

 

Metto giù Ivan sul letto, così da potersi trascinare verso di te, sarà la prima cosa che vedi quando apri gli occhi. Prende la mira per la tua testa ma, prima che possa davvero andare avanti, noto che qualcosa non va. Il modo in cui sei sdraiato è insolito. Storto e piegato, nella posizione fetale, la tua faccia premuta contro il cuscino. Anche la tua pelle è strana. È più pallida del solito. Senza vita.

Non voglio toccarti la caviglia, che spunta da sotto la coperta, ma lo faccio comunque. È fredda. Sei pallido. Rigido. Non c’è sangue che scorre dentro. Non ci sei più. Sei morto. Adesso lo so.

 

I miei riflessi prendono il sopravvento. Sollevo Ivan e lo stringo in un braccio mentre il mio cervello spegne tutte le mie emozioni e comincio ad agire razionalmente – più che mai. Chiamo i servizi di emergenza e quando una donna risponde, tutto fluisce in un unico respiro. Venite presto, dico. Non posso restare qui , Ivan si allunga verso il letto e io lo trattengo un po’ troppo stretto contro il fianco. La donna al telefono mi chiede di controllare il tuo polso per un battito. Le dico che non ha senso, ma le obbedisco e lo faccio comunque. Con Ivan su un fianco e il telefono in equilibrio tra la spalla e l’orecchio, passo la mia mano lungo il tuo collo. È freddo. Senza vita. Di nuovo, dico alla donna che non serve, non c’è polso, non c’è nessuno, non sei più vivo.

Non so perché lo faccio, ma ti prendo la spalla. Giro il tuo corpo. Sei pesante, e quasi perdo l’equilibrio e cado su di te. La tua guancia sinistra ha un’impronta del tessuto del tuo cuscino e la tua pelle è di un giallo pallido. Sei morto più che mai, e non posso stare in questa stanza un altro secondo.

 

L’ambulanza è arrivata e un gentile paramedico di emergenza è nel nostro appartamento da pochi minuti. Ritorna giù e mi dice che avevo ragione, il mio compagno è morto. Mi dice anche che, se può essere di qualche conforto, non è morto con dolore – sembra che sia successo pacificamente nel sonno.

Una vicina sta scendendo le scale con suo figlio. Sono in pigiama, Ivan è nel suo passeggino, il paramedico indossa un gilet giallo neon con una tuta verde scuro sotto. Il bambino chiede a sua madre chi siamo, cosa è successo. Non rispondo. Neanche la madre gli risponde. Anche il paramedico è silenzioso. Lei passa di fretta. Abbasso lo sguardo sul pavimento di cemento grigio. La polizia arriva allo stesso tempo di tuo fratello. Non so come abbia la forza, ma in qualche modo riesce a prendere il comando della situazione. Continuo a ripetermi: mi rifiuto di entrare di nuovo nella camera da letto. Lui mi dice che non devo.

 

In cucina, una agente di polizia ha iniziato a rovistare nel nostro armadietto dei medicinali. Mi chiede perché abbiamo la prescrizione per i sonniferi. Le dico che mi sono state prescritte per poter dormire dopo essere stata sveglia con Ivan per così tante notti. Le chiedo di aprire il pacchetto in modo che possa vedere che non ne ho preso neanche una. Per me è importante che veda che non ne ho preso alcuna. Mentre apre la confezione, ho improvvisamente paura. Cosa succede se è vuota? Che cosa succede se ti sei tolto la vita? È la prima volta che mi viene in mente il pensiero. Sembra che le sue dita si muovano al rallentatore. La scatola è piena.

Ora la mia matrigna entra in cucina. Quando mi abbraccia, inizio a piangere per la prima volta. Mentre solleva Ivan dalle mie braccia, non riesco a capire cosa fare con le mie mani. Cerco di rilassarmi e raccogliere i miei pensieri. È impossibile. Non tornerò mai più in quella camera da letto, penso. Mai, mai.

Tua mamma, papà, fratello maggiore e nipote sono con noi ora, e anche un dottore che esaminerà il tuo corpo per vedere quando e perché, sei morto.

Tuo padre crolla con un ululato, una specie di grido senza fondo. Completamente incomprensibile, dice: “voglio silenzio”. Tua madre tace. I suoi occhi non sono presenti. Né immagino sono i miei.

 

"Non ho alcun interesse a imparare a vivere senza di te": Carolina con Aksel. Foto:   per concessione di Carolina Setterwall

 

Ora il dottore sta uscendo dalla tua camera, la nostra camera. Non voglio sentire cosa ha da dire. Si siede e parla lentamente. L’ha già fatto molte altre volte. “Carolina, ascolta, e ti dirò quel che posso su quel ch’è successo. Aksel è morto nel sonno la scorsa notte, probabilmente solo poche ore prima che entrassi nella stanza. In questo momento non posso dire con certezza perché sia ​​morto. Ma Carolina, ascolta adesso, è morto senza dolore. È successo nel sonno. E voglio che tu capisca, Carolina, che non avrebbe fatto alcuna differenza se tu fossi stata nella stanza quando è successo. Ma prima di spostare il corpo di Aksel, voglio che tu vada in camera da letto e gli dica addio .. ”
No! No!

Non ce la faccio, dico. Sono entrata quando mio padre è morto e sono entrata quando è morta mia nonna, ma ora non ho più la forza. È impossibile.

 

Crollo in un pianto. Un flusso di muco e saliva scorre sulla maglietta del tuo fratello maggiore e lui mi abbraccia forte. Sparisco tra le sue braccia e non voglio mai più lasciarle. Ce la puoi fare, mi sussurra all’orecchio. Lo facciamo insieme, dice. Facciamolo. Questo è importante.

Non so per quanto restiamo lì. Ma in qualche modo, i tuoi genitori, la mia matrigna e Ivan sono già stati qui per vederti ora. Ci circondano dove ci troviamo, con un abbraccio goffo che quasi mi soffoca. Non riesco a prendere aria, le loro braccia mi circondano e non riesco a respirare. Mi dicono che va bene, che tu hai un aspetto sereno.

Il tuo fratello maggiore mi tiene stretto ed entriamo insieme per un ultimo addio. Mentre scavalchiamo la soglia, chiudo stretti gli occhi.

 

***

 

Lunedi mattina. Oggi è passata una settimana. Il mio corpo ha commemorato quella pietra miliare definitivamente addormentandosi la scorsa notte. Quando mi sono svegliata, non avevo memoria delle ultime ore. Non ricordavo l’allattamento al seno, né il risvegliarmi al pianto di Ivan, niente pensieri e niente sogni. Questo dovrebbe essere un buon segno. Quando mi sono svegliata erano le cinque, e l’ho saputo subito: oggi è passata una settimana.

D’ora in poi, conto le settimane invece dei giorni. Le settimane si trasformeranno in mesi e mesi in anni. Imparerò che sei morto per una malattia cardiaca non diagnosticata. Da qualche parte lungo la strada, questa esistenza inizierò a sentirla normale. Un giorno, ogni respiro smetterà di far male, smetterò di sentirlo come uno sforzo di cui non sono sicura d’essere capace.

I miei amici e la mia famiglia si sono sobbarcati tutte le attività che possono svolgere per mio conto. Insieme e senza molte discussioni, sono diventati i miei polmoni, cuore, gambe e braccia artificiali. Gestiscono tutte le pratiche burocratiche, gli orari, la posta. L’unica cosa che devo fare è continuare a respirare e continuare a cercare di superare questi giorni. Ed esser lì per Ivan.

Ignaro della tragedia che darà forma alla sua vita, riempie pannolino dopo pannolino. Striscia e incespica. Piange e poi è di nuovo felice. Ride e gioca, spruzza nella vasca da bagno e prova nuovi suoni. A volte mi fa persino ridere in maniera spontanea.

L’immensità di ciò che è accaduto sta iniziando ad essere assimilata. Nei libri presi in prestito dalla biblioteca, sui traumi e la gestione delle crisi, ho letto tutto sulle fasi del dolore. Leggere che cosa succede può infondere un po’ di speranza. Voglio arrivare a quel dopo il più presto possibile. Ma i libri non mi danno chances di poterci arrivare presto.

Allo stesso tempo, di tanto in tanto arriva una nuova sensazione. Una che probabilmente diventerà più rilevante. Una voce lamentosa, insoddisfatta, lamentosa dentro di me, che nonostante tutti gli angeli intorno a me, nonostante tutto l’aiuto e l’amore che ricevo, vuole dire loro grazie ma preferisco di no. Dopo cinque anni e mezzo con te, non ho alcun interesse a imparare a vivere senza di te. Penso che lascerò perdere.

Se solo tornassi, se solo potessi svegliarmi da questo bizzarro sogno, allora potrei rifare tutto di nuovo. Prometto di non stressarti mai più. Ti lascerò dormire di più. Non mi lamenterò mai dei tuoi ritmi. Puoi essere chiunque tu voglia e devi essere. Dammi più tempo e lo saprò fare.

 

Il giorno in cui ho trovato morto il mio compagno il giorno in cui ho trovato morto il mio compagno

Il giorno in cui ho trovato morto il mio compagno il giorno in cui ho trovato morto il mio compagno

 

Estratto da Speriamo per il meglio (Let’s Hope For The Best) di Carolina Setterwall, originalmente pubblicato da Bloomsbury nel 2018, in Italia da Mondadori, 2019 .

Carolina Setterwall è nata a Sala, in Svezia. Ha studiato Media e Comunicazione a Uppsala, Stoccolma e Londra. Ha lavorato nell’ambito dell’editoria musicale e libraria come redattore e scrittore. Attualmente vive a Stoccolma con il figlio.

 

 

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