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In cerca dell’America di Trump

In cerca dell’America di Trump

 

In alto: Marilynne Robinson, Richard Ford, Walter Mosley
 In basso: Ariel Levy, Lionel Shriver, Malcolm Gladwell

 

 

Da Marilynne Robinson a Richard Ford, sei scrittori in cerca dell’America di Trump.
I giganti dell’attuale letteratura americana rivelano come stanno rispondendo ad una società trasformata.

In cerca dell’America di Trump In cerca dell’America di Trump

di Robert McCrum
(Traduzione Redazione Modus)

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Nella notte dell’8 novembre 2016 gli Stati Uniti, una repubblica matura con 241 estati alle spalle, ha subito un terribile capovolgimento ed è caduta in una condizione che varia tra la catatonia e l’isteria.

Nei campus universitari giovani donne vomitavano. Altri stavano dando fuoco alle cose, o telefonando in lacrime alle loro famiglie. Tra i Democratici sconvolti della classe media c’è stato un picco drammatico di appuntamenti dagli psicoterapeuti. In tutta New York City un graffito spontaneo riassumeva lo stato d’animo metropolitano, “Non è il mio presidente“.

E con il rallentamento del corso della storia che volgeva verso Natale, la reazione nazionale si è andata spostando attraverso le fasi del dolore: negazione, rabbia, negoziato e depressione. Con l’arrivo del nuovo anno ha avuto inizio la quinta tappa, l’accettazione. La sensazione è che la fine sia vicina, ma non molto vicina.

Inoltre ci sono dei rimedi. Gli americani sanno che, sin da quando Jefferson ha redatto la Dichiarazione d’Indipendenza, la loro è una società costruita con tratti di penna, in parole. La loro costituzione è un work-in-progress, costantemente riscritta, e la forza di un’idea è più forte di un demagogo senza ideologia. Gli scrittori americani lo sanno meglio di chiunque altro.

Mentre il passaggio imprevisto da Obama a Trump acquistava slancio, ho viaggiato in tutta la costa orientale per incontrare sei autori – Marilynne Robinson, Richard Ford, Walter Mosley, Ariel Levy, Malcolm Gladwell, e Lionel Shriver – alla ricerca di una nuova società.

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Marilynne Robinson, autrice di Le cure domestiche e di Gilead, è uno degli scrittori preferiti di Obama. Degli americani lei capisce gli istinti di frontiera, e lei è una cristiana che la collega a un’altra parte del sogno americano. Conversando con lei, la riscrittura dell’America sembra al tempo stesso razionale e praticabile. La sua resilienza articolata suggerisce che la repubblica probabilmente non è ancora “rotta”. Nella sua compagnia, la sfida della nuova amministrazione sembra trovar risposta nell’integrità, nella schiettezza, e nel buon umore della mente americana al suo meglio. Parlate con la Robinson, ed è possibile rilevare l’inizio di una opposizione di Trump. Lei ammette di essere stata galvanizzata dalla crisi dell’America. “Ha francamente una sorta di piacere che questa cosa bizzarra sia accaduta,” dice. “Trump ci ha portato ad uno stato in cui avremo da fare un bel po’ di riflessione molto basilare su come la nostra società andrà avanti da questo punto in poi.”

Robinson parla con i suoi colleghi nella comunità letteraria. “Le persone sono cresciute sempre più affezionate al primo e al quinto emendemanto [1]“, ci racconta. “I miei amici dicono: ‘Questo tocca a noi’. Sarà importante come rispondiamo, e coloro che non hanno votato repubblicano devono diventare la resistenza.”

Robinson crede nei suoi concittadini. “Una democrazia seria si basa sull’integrità dei suoi individui,” dice, “e c’è ancora una integrità di base in questa società.” In conclusione, la fede di Robinson nel suo paese risuona forte e chiara. “La gente proverà ogni genere di cose, e si riprenderà un senso di possibilità. La gente è appassionata. Abbiamo molte risorse. Il nostro sistema non è rotto.”

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Richard Ford vive più a nord, nel nevoso Maine, ma molti dei suoi personaggi vivono negli stati-rossi-Repubblican dell’America. Frank Bascombe, il protagonista di quattro romanzi a cominciare da Sportswriter, potrebbe non avere votato per Trump, ma conoscerà di sicuro un sacco di maschi bianchi di mezza età che lo hanno fatto.

Ford è tutto americano. Caccia, spara, ed è un libertario istintivo, appassionato di parole ed idee, e delle libertà da quelle sancite. Lui è più pessimista della Robinson, forse perché è stato spiazzato dal voto di novembre. “Avevo detto che Trump fosse una cosa impossibile. Il fatto che avevo così completamente sbagliato mi ha fatto dubitare di quello che ho capito del mio paese.

Ford ammette che “dobbiamo incolpare noi stessi. Siamo noi cittadini che abbiamo fatto questo. La nostra unica risposta è quella di ripiegare sul nostro senso di cittadinanza.” Ma mentre c’è un certo ottimismo nelle istituzioni di governo, egli non è compiacente: “Questo è un momento buio della storia americana“.

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Walter Mosley, della stessa generazione, è cresciuto a Los Angeles. Suo padre era afro-americano, la madre ebrea, e lui si è fatto le ossa durante gli scontri di Watts nel 1965.  Acclamato scrittore di gialli e crimine, vede l’elezione di Trump come “un passo falso necessario. Abbiamo avuto gli stati-blu (Democratici) su entrambe le coste piene di liberali e progressisti che hanno respinto il Midwest e gli stati del sud come “stupidi bifolchi” per così tanto tempo che queste persone alla fine han detto: ‘Non mi importa proprio per chi io voto basta che sia una persona che non ha nulla a spartire con voi (liberali).‘  La gente negli stati-rossi si è sentita ignorata e trascurata. Posso simpatizzare con, e rispettare, quella protesta.”

Mosley sta tenendo un occhio clinico sulla transizione del neo-presidente e sul suo insediamento. “Dovremo vedere cosa Trump farà. Se sarà abbastanza grave, non starò a scrivere romanzi, preferirò parlarne e scriverci su.” Mosley è sanguigno circa lo stile trash, e l’indisciplina di Trump. “Dal mio punto di vista,” mi ha detto, “abbiamo avuto un sacco di cattivi presidenti.”  Dopo aver respinto JFK, Reagan e due Bush, è ancora incline a guardare il lato positivo. “C’è così tanto potenziale qui ora“, dice. “Soprattutto ora che i progressisti si renderanno conto che dovranno fare qualcosa per avere il mondo che vogliono, per rendere l’America migliore“.

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Ariel Levy, intellettuale femminista e autrice di Sporche femmine scioviniste, fa eco a questo sentimento. Lei dice: “Hillary sarebbe stata un grande presidente, ma le persone sono stufe delle élites. Dove vado adesso? Questa è la mia sfida.”  Levy ha ancora una voce. “Possiamo ancora fare quello che facciamo, e continuare a scrivere. Una stampa libera è essenziale. Dovresti essere un strano grumo inanimato per non essere influenzato da Trump. Non c’è niente che non tocca. Questo è il nostro mondo ora, e ci infonderà energia.

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Se c’è una scrittrice in sintonia con lo spirito del tempo, questa è Lionel Shriver il cui romanzo di un massacro ad un liceo, …E ora parliamo di Kevin, ha inchiodato gran parte dell’America contemporanea. La sua immaginazione distopica scandaglia le zone più scure degli Stati Uniti. Shriver, la guida perfetta per questo nuovo “Nuovo Mondo”, si gode le buffonate del presidente eletto. “Entertainment è la cosa principale che mi arriva da Trump,” mi dice. “Questo non può essere una buona cosa, ma ho intenzione di godere, in un modo perverso. È un tale spettacolo.” Tuttavia, come molti americani lo rispetterà come il suo presidente. “Non possiamo augurare del male a Trump“, mi insegna, “perché sarebbe come desiderare del male a noi stessi. Ho ogni speranza che passeremo attraverso questi quattro anni, e che il nostro sistema sopravviverà.

Cosa, gli chiedo, potrebbe sostenere questa capacità di recupero? “Il senso dell’umorismo ci aiuterà meglio dell’indignazione“, dichiara. “Le persone di sinistra sono così gonfie d’indignazione ipocrita.”  Shriver si è rivolta a Elmer Gantry (Il Figlio di Giuda) per consolazione, ma è circospetta sul collegamento del libro al politico che diventò un’ossessione per il suo autore, Sinclair Lewis: il demagogo del sud Huey Long, che è stato assassinato nel 1935.

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Nel Greenwich Village lo scrittore e giornalista Malcolm Gladwell, autore dei bestseller The Tipping Point e In un batter di ciglia, condivide l’appetito di Shriver per il potenziale caos di un “Trumpismo sfrenato.” Gladwell sottolinea, provocatoriamente, che sotto il genio retorico di Obama “gli scrittori hanno perso la loro lingua. Ora abbiamo di nuovo la nostra voce, e, teniamoci forte, sta andando ad essere una cavalcata selvaggia.”  È diventato nostalgico per i suoi giorni da giornalista: “Farei qualsiasi cosa per avere il mio vecchio lavoro al Washington Post. Questo è il tipo di situazione che si vive quando si è scrittore, momenti di sconvolgimento e confusione. Come reporter, per i prossimi quattro anni, si avranno le miglior opportunità che la gente di Washington parli con te. Ci si divertirà. Sarà ‘caccia aperta‘ durante l’amministrazione Trump.

Man mano che il giorno dell’inaugurazione si avvicina, Gladwell fa considerazioni convincenti per le limitazioni al potere di Trump. “È probabilmente troppo pigro e indisciplinato per usurpare il potere. Il suo primo errore è stato quello di marginalizzare sia gli afro-americani che gli ispanici. ‘Solo i bianchi‘ non è una strategia vincente. Alla fine cederà vaste aree a favore dei democratici. ”

Durante la settimana in cui la CIA e Trump sono stati in guerra per la Russia, Gladwell mette in discussione anche la saggezza di alienarsi la comunità dei servizi. “Una cosa che non si dovrebbe mai fare è storcere il naso alla comunità di intelligence. La CIA non è piena di incompetenti sfortunati, ma bensì di persone intelligenti che hanno, per giunta, tutti i segreti, e troveranno un modo per farlo fuori, prima o poi. ”

Gladwell disegna un intrigante parallelo storico. “L’ultimo vero bullo americano che abbiamo avuto è stato Joe McCarthy. Per un certo numero di anni, tanti lo hanno seguito, ed ebbe un enorme successo – nel breve periodo. Ma le persone si stufarono di questo tipo di strategia retorica.  La pazienza dell’America con la volgarità di Trump, vedrete, sarà limitata.  La gente fondamentalmente per bene vorrà un ritorno alla dignità. Questo è quello che è successo con McCarthy. Alla fine qualcuno si alzerà e dirà, ‘Basta!

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[1] Il quinto emendamento sancisce: “Nessuno sarà tenuto a rispondere di reato, che comporti la pena capitale, o che sia comunque grave, se non per denuncia o accusa fatta da un “Grand Jury” (in italiano “gran giudice”), a meno che il caso riguardi membri delle forze di terra o di mare, o della milizia, in servizio effettivo, in tempo di guerra o di pericolo pubblico; e nessuno potrà essere sottoposto due volte, per un medesimo reato, a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica; né potrà essere obbligato, in qualsiasi causa penale, a deporre contro se medesimo, né potrà essere privato della vita, della libertà o dei beni, senza un giusto processo; e nessuna proprietà privata potrà essere destinata a uso pubblico, senza equo indennizzo”. da wiki

 

 

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