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La Vandée di Joshua Slocum

La Vandée di Joshua Slocum

Il 24 aprile del 1895, all’imbrunire, lo Spray, uno sloop lungo poco più di 11 metri, più tardi sarà trasformato in yawl, uscì dal porto di Boston facendo rotta verso est; a bordo c’era il capitano Joshua Slocum, un marinaio esperto che aveva allora 51 anni e che aveva navigato in tutti gli oceani del mondo fin dai 16 anni d’età, e nessun altro.

 

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          Joshua Slocum e lo Spray
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Lo Spray aveva quasi un secolo, era stato costruito probabilmente nel 1801, ed era stato regalato a Slocum nel 1892, ridotto ormai ad un rottame; Slocum, che era andato in rovina a seguito del naufragio sulle coste del Brasile dell’Aquidneck, il suo brigantino da 326 tonnellate, non fece una piega, ed essendo anche un ottimo mastro d’ascia lo ricostruì completamente in poco più di due anni, “saldo, robusto e bello”, oltre che con poca spesa, come scriverà più tardi nel suo libro, “Sailing alone around the world”.

 

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             Joshua Slocum e lo Spray

 

Il libro è molto bello, sicuramente il migliore nel suo genere, lo dice Björn Larsson, non io, e lo conferma il successo che ha avuto dal momento in cui è arrivato in libreria ad oggi, consentendo al suo autore di risollevarsi economicamente e di replicare in tono sia pur letterariamente molto minore la contemporanea biografia di Joseph Conrad.

Dopo una brevissima puntata nel Mediterraneo, lo Spray ha fatto rotta per lo stretto di Magellano, superato dopo mesi di atroci difficoltà, ha risalito le coste cilene e attraversato il Pacifico, per arrivare in Australia, e poi, oltre l’oceano Indiano ha toccato le coste del Sud Africa, per concludere infine il suo viaggio negli Stati Uniti, gettando l’ancora nel porto di Newport, dopo aver risalito l’Atlantico dal lato opposto a quella dell’andata.

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   Joshua Slocum e il viaggio dello Spray
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Era il 27 giugno del 1898, erano passati tre anni, due mesi e due giorni dalla partenza, era notte fonda, e lo Spray, dopo aver navigato per oltre 46.000 miglia, aveva fatto il primo giro del mondo a vela in solitario, ben prima dell’invenzione del timone a vento, contando solo sulla sua incredibile stabilità di rotta, sul talento non comune del suo solitario equipaggio, che era stato personalmente al timone solo per pochi giorni complessivamente, e sulla scelta oculata di rotte meteorologicamente non impossibili, quelle di Magellano.

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           Diagramma vele dello Spray
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Certo, Slocum evitando il sud del mondo aveva fatto più del doppio della strada teoricamente necessaria, e aveva fatto moltissimi scali, per riposarsi, per rifornirsi, per vendere in affollate conferenze le sue incredibili avventure, e perché non aveva alcun record di velocità da battere, in fondo ne stava stabilendo un altro, che mai era stato neppure immaginato, e si riteneva sicuramente soddisfatto di aver fatto fare un gigantesco passo in avanti alla navigazione a vela, nel momento stesso in cui stava cedendo il passo al motore.

Dopo di lui per molti anni c’è stato il vuoto, il mondo ha avuto ben altri problemi, e solo l’argentino Vito Dumas si è cimentato con successo nell’impresa, diventando fra il ’42 e il ’43 il primo uomo a circumnavigare in solitario il Polo Sud, a bordo del Lehg II.

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      Francis Chichester sulla Gipsy Moth
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Poi sono venuti altri marinai, all’inizio erano pochi, Bernard Moitessier e Francis Chichester sono stati i più famosi fra quelli che hanno domato i tre oceani e i tre grandi capi, poi il loro numero è via via aumentato, e oggi il giro è diventato un vero e proprio mestiere: le barche sono sempre più veloci, sono arrivati i timoni a vento, i piloti automatici, l’informatica, ed infine, negli ultimi anni, materiali, vele e attrezzature così avveniristiche e così tecnologicamente sofisticate da rendere il giro del mondo in solitario un’avventura simile ad una Parigi Dakar corsa con una macchina di Formula 1, senza le fermate ai box.

 

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Moitessier e Chichester, a bordo del Joshua e del Gipsy Moth, negli anni ’60 e ’70 navigavano ancora come Slocum, con barche che lo stesso Slocum avrebbe potuto concepire e condurre, tutti accomunati da un comune spirito d’avventura e da un’identica cultura del mare, una cultura che il mare lo temeva e lo rispettava, che lo accarezzava e non lo sfidava.

Moitessier era partito per vincere il giro del mondo, dopo aver doppiato Capo Horn era abbondantemente in testa alla regata, ma ci ha ripensato e invece che far rota a nord verso l’Inghilterra ha proseguito per Tahiti perché riteneva i mari del sud, dove fra l’altro era nato, molto più belli e intriganti dei freddi mari inglesi: avrebbe poi passato tutta la vita a navigare, naufragare e raccontare le sue avventure.

 

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            Sir Francis Chichester

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Sir Francis Chichester era stato un aviatore e un esperto di navigazione aerea i cui lavori ancora oggi sono utilizzati, che alle soglie dei 60 anni ha deciso di darsi alla vela e di fare il giro del mondo sulla rotta dei Clipper; dopo qualche anno di apprendistato oceanico, nei quali fra l’altro inventa e vince la Ostar,  è partito da Plymouth nell’agosto del 1966 e vi fa ritorno dopo 266 giorni, avendo fatto una sola tappa a Sidney, guadagnandosi titolo, gloria e un posto nella storia della vela.

 

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             Michel Desjoyeaux
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I marinai che partono oggi per il giro del mondo sono invece di una razza parzialmente diversa, che col mare si prende molte confidenze e a volte ne paga il prezzo; sono quasi tutti francesi, solo in Francia esiste una passione di massa per “le grand large” capace di portare un milione di persone alla partenza della regata, Vandée Globe si chiama, e capace di accogliere l’ultimo che arriva al traguardo come se fosse il primo.

Dal 1989 l’Everest della vela viene scalato ogni quattro anni partendo dal campo base di Les Sables d’Olonnes, nel cuore della Vandea che dà il nome alla regata, e dopo un tuffo fino all’Atlantico del sud sfiorando le coste sudamericane, le barche fanno rotta a est girando attorno al Polo, lasciandosi a sinistra i tre grandi capi che delimitano gli oceani della terra, Good Hope, Leeuwin e Horn, per poi risalire l’Atlantico fino al porto di partenza, seguendo una rotta che nella fase finale incrocia quella di Slocum.

 

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                Morgan Lagraviere
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A quella latitudine, 40/50 gradi sud, si fanno solo 21.000 miglia per girare attorno alla Terra, ma la metà viene percorsa mei mari più freddi e tempestosi del globo, lontano dalle isole più sperdute e dalle rotte commerciali più rischiose e disperate, in luoghi dove un tempestivo soccorso è del tutto impossibile.

Sono quasi 10.000 miglia ad andatura portante, e in quella condizione le barche volano; gli Imoca 60, questo il nome attuale della Classe, sono lunghi 18 metri, fanno agevolmente 24/25 nodi e sono così tecnologicamente sofisticati che dopo quattro anni il vincitore dell’edizione precedente può al massimo ambire alla media classifica, mentre dopo otto anni sono dei semplici ferrivecchi che i neofiti usano per fare esperienza.

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Costano milioni di euro, e a bordo non hanno nulla di economico, hanno ormai tutti la chiglia basculante che si arrampica fino a 30° sopravento per diminuire lo sbandamento della barca, e quelli di ultima generazione hanno montato dei foils laterali che sollevano la carena dall’acqua e trasformano dei monoscafi di fatto in multiscafi; hanno nomi orribili, ovviamente quelli degli sponsor, ma è grazie a queste barche che in 25 anni la storia della Vandée si è trasformata in un vera e propria epopea del mare che tiene assieme il massimo della tecnologia col massimo dell’avventura, e fa coincidere la modernità della vela con la sua storia antica e con le pulsioni più ancestrali degli uomini.

Fino ad oggi, senza contare quella in corso, si sono svolte sette Vandée, sono partite complessivamente 138 barche, e ne sono arrivate al traguardo 71; delle 67 imbarcazioni ritirate diverse sono andate perdute per ribaltamenti, disalberamenti, rottura della scafo, distacco della chiglia, rottura del timone o collisioni più o meno veritiere con oggetti galleggianti, perché oggi gli oceani sono anche pattumiere, e se sbatti a 25 nodi è sicuro che di danni ne fai tanti, quando ti va bene; infine, fra tutti i marinai partiti, tre sono scomparsi in mare.

 

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I numeri ci dicono anche che dai 13 concorrenti della prima edizione siamo arrivati ad una media di circa 25 delle ultime, mentre per vincere la regata si è passati dai 110 giorni dei primi ani ’90 ai 78 del 2013, con il vincitore che stacca l’ultimo di almeno un mese, e spesso di molto di più.

 

 

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               Francois Gabart
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                  Ellen MacArthur

 

La regata ha i suoi grandi vincitori e i suoi grandi sconfitti: fra i primi vanno ricordati Michel Desjoyeaux, due volte primo al traguardo, e François Gabart, vincitore contro pronostico all’esordio, a neanche 30 anni nel 2013; fra i secondi merita una citazione particolare Ellen MacArthur, una inglesina alta meno di un metro e sessanta che a 24 anni ha messo in croce fino al traguardo Desjoyeaux, dopo essere rimasta attardata per portare soccorso ad un altro concorrente, aver rimontato fino al primo posto ed essere poi messa definitivamente fuori gioco a causa di una collisione con il solito container galleggiante nel nord Atlantico, e relegata per questo ad un secondo posto che vale più di una vittoria.

 

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              Michel Desjoyeaux
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Gli altri due grandi sconfitti in attività, il francese Armel Le Cleac’h, già due volte secondo, e l’inglese Alex Thomson, che ha per la prima volta una barca pari alle migliori, e forse la migliore del lotto, entrambi dei fuoriclasse, si stanno giocando la vittoria nell’edizione in corso, e al netto di sempre possibili rotture, uno dei due, al momento il francese è in netto vantaggio, cancellerà lo zero dal suo palmares, con un tempo che potrebbe essere attorno ai 70 giorni, e anche se entrambi da bambini hanno sicuramente sognato il grande largo sui libri di Moitessier, nessuno dei due farà rotta per Tahiti.

 

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               Francois Gabart
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Un secolo dopo Slocum il giro del mondo a vela in solitario non è più solo un’avventura, non puoi partire senza aver preparato la barca e la regata per quattro anni, e senza aver speso una vagonata di soldi, somme che rendono ridicoli i 500 dollari che sono stati necessari a Slocum per il restauro dello Spray, ma dopo la partenza tutto torna come prima, per quanto tutto sia utile, alla fine non conta più lo staff a terra, non conta la tecnologia, e non conta aver preparato tutto alla perfezione, a parità di barca contano il talento, il senso del vento, l’istinto per l’onda, la capacità di evitare le rotture o di porvi rimedio, la precisione nell’interpretare il meteo e come sempre in mare conta la fortuna, soprattutto quando vai a cercare il limite estremo della barca, del vento e delle onde.

 

 

Perché questi uomini lo fanno? Chiunque sia andato per mare, chi ha visto dal basso un’onda di dieci metri, ce ne sono anche di molto più alte, chiunque abbia surfato spinto da 30 o 40 nodi di vento, risponderà che è una domanda stupida, lo si fa per l’adrenalina, per l’emozione indescrivibile che si prova, per il piacere della competizione, con gli altri e con sé stessi, e per danzare sul confine che separa la sfida dalla provocazione alla natura, ed è un confine che alcune volte viene superato; lo si fa anche, alla fine, per il denaro, ma è solo l’ultima delle ragioni.

La Vandée di Joshua Slocum La Vandée di Joshua Slocum

C’è una cosa che separa i navigatori solitari dagli altri uomini che affrontano il pericolo in una attività sportiva, a parte forse gli alpinisti, che però devono usare essenzialmente il proprio corpo e non uno strumento tecnologico, ed è il teatro vuoto in cui si svolge lo spettacolo, diluito in un tempo lentissimo: nessuno ti ammira, nessuno ti applaude, tutto quello che fai deve essere immaginato, come l’uomo solo in mezzo al mare deve immaginare la forza dell’onda che lo insegue nella notte nei mari antartici.

C’è il silenzio interiore sul quale si frange il rumore delle onde, c’è la solitudine su cui si abbatte la furia del vento, ma le onde e il vento sono sempre uguali, e il mare offre ovunque lo stesso spettacolo, un’emozione lunga giorni o mesi, anni nel caso di Slocum, è solo di chi la prova, non di chi la guarda, e a me pare un miracolo che milioni di persone al mondo provino ad immaginare una cosa che non conoscono e che non potranno mai provare.

 

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                Alex Thomson
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È un’idea indimostrabile, ma se guardo ad Alex Thomson che fa il funambolo per il suo sponsor arrampicandosi in giacca e cravatta fino alla testa d’albero della barca sbandata, per poi tuffarsi in mare, e penso a Joshua Slocum che per primo ha venduto il suo giro del mondo in solitario per trovare sé stesso e saldare il conto delle spese, toccando contemporaneamente il limite estremo del suo tempo e della sua anima, mi viene da pensare che se oggi Slocum fosse vivo si presenterebbe alla partenza della Vandée.

 

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Damnatio memoriae
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