le storie

PAROLE SCOLPITE – Ryszard Kapuscinski, Ebano, 1998

Ryszard Kapuscinski è stato uno dei più grandi reporter del secolo scorso, ed è sicuramente quello dotato del maggior talento letterario. Come inviato di una agenzia di stampa del suo paese, la Polonia, ha viaggiato dagli anni ’60 in tutte le parti povere del mondo, regalandoci dei reportage di ineguagliabile efficacia, per profondità di sguardo, capacità di interpretazione e qualità narrativa; i suoi libri sono pubblicati ovunque, ed ovunque sono dei successi. Il suo “luogo del cuore” è sicuramente l’Africa, alla quale ha dedicato molti scritti, e della quale Ebano costituisce una sorta di biografia generale. Di solito chi legge uno dei suoi libri, poi finisce che li legge tutti.

“… nell’attimo in cui la tanica, Leo ed io piombammo sul serpente, l’interno della capanna si trasformò in un inferno. Non avrei mai immaginato che una creatura vivente potesse contenere tanta forza. Tanta terribile mostruosa forza cosmica. Pensavo che il bordo della tanica avrebbe tagliato facilmente il rettile. Figurarsi. Ben presto dovetti rendermi conto che quella cosa sotto di noi non era un serpente, ma una molla d’acciaio tesa, vibrante, impossibile da spezzare o da schiacciare. Il cobra si dibatteva sbattendo contro il pavimento con tale furia impazzita che l’interno della capanna si fece nero di polvere. Sbatacchiava la coda con tanta energia che il pavimento si spaccava, schizzando frammenti d’argilla e accecandoci con raffiche di terriccio. Ad un certo punto pensai con terrore che non ce l’avremmo mai fatta, che il rettile ci sarebbe sfuggito di sotto e, dolorante, ferito, inferocito, ci avrebbe azzannati. Schiacciai con più forza il mio collega. Emise un gemito, il petto premuto contro la tanica, senza più spazio per respirare. Dopo un tempo lunghissimo, una vera eternità, i colpi del cobra cominciarono finalmente a farsi meno impetuosi, vigorosi e frequenti. “Guarda” disse Leo, “Sangue”. In effetti una fessura del pavimento, che ora sembrava un coccio d’argilla rotto, si andava impregnando di un sottile rivolo di sangue. Il cobra si indeboliva e con lui si affievolivano anche i sussulti della tanica tramite i quali la bestia ci trasmetteva il suo dolore e il suo odio; si affievolivano ma non cessavano, continuando a tenerci in allarme e nel panico. Ma quando alla fine Leo ed io ci rialzammo, quando la polvere della capanna cominciò a diradarsi e a ricadere e i miei occhi si posarono sul filo di sangue che il terreno rapidamente assorbiva, invece di provare gioia e soddisfazione provai un senso di vuoto; anzi di tristezza che in quel cuore sul fondo dell’inferno, dove per un incredibile concorso di circostanze ci trovavamo tutti fino ad un attimo prima, avesse smesso di battere.”

Il brano che riporto si riferisce ad un avventuroso episodio personale, in un libro che racconta invece il cuore e l’anima dell’Africa; l’ho scelto al posto di altri, magari dedicati a grandi eventi della politica e della storia, perché riassume in modo emblematico lo stile di Kapuscinski, certo più da romanziere che non da reporter; ci sono molte ragioni per leggerlo: quella che ricordo con maggior gratitudine è la spiegazione chiara, sintetica, profonda e tragica della guerra civile in Ruanda, tredici pagine scolpite nella pietra, che dovrebbero essere lette in tutte le scuole.

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