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Uno spettro si aggira per l’Europa: secessionismo

Uno spettro si aggira per l’Europa: quello del secessionismo

Non me ne vorranno Karl Marx e Friederch Engels se prendo a prestito (storpiandolo) l’incipit di quel Manifesto del Partito Comunista che, scritto verso la metà del XIX° secolo, ha animato e alimentato la fantasia di tutti i rivoluzionari vissuti sino agli anni ’80 del secolo scorso, ma quella frase si presta perfettamente a descrivere il clima che attualmente stiamo vivendo nel vecchio continente all’alba del nuovo millennio.     Secessionismo

Stavolta ad alimentare il fuoco non sono alti ideali di uguaglianza sociale e giustizia civile ma semplicemente bassi istinti egoistici di chi vuole affrancarsi, più che da un’idea unitaria di stato, dal concetto mutualistico che dovrebbe stare alla base di ogni comunità.                    Uno spettro si aggira per l’Europa: quello del secessionismo

Da un punto di vista politico i piani si sono confusi ed una netta differenziazione di posizionamento dei vari partiti non è più possibile darla dal momento che le destre si sono fatte portavoce, più di quanto attualmente possano le sinistre, delle classi che una volta formavano il nocciolo duro dei partiti di sinistra e questi ultimi hanno spesso finito per sostenere i sentimenti nazionalisti ed irredentisti da sempre patrimonio della cultura di destra:

 

Tutti noi ce la prendiamo con la storia

Ma io dico che la colpa è nostra

È evidente che la gente è poco seria

Quando parla di sinistra o destra.

Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…

Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…

 

Questo l’inizio di una celebre canzone di A. Luporini e G. Gaberscik (questo il suo vero cognome) che dovremmo ascoltare o, meglio ancora, leggere e rileggere trascorsi ormai 23 anni da quando Giorgio Gaber la lanciò all’interno di un suo album dal titolo eloquente: “E pensare che c’era il pensiero”.                     Uno spettro si aggira per l’Europa: quello del secessionismo

La crisi economica degli ultimi anni ha portato i nervi allo scoperto riaprendo ferite mai completamente rimarginate e mettendo in discussione il modello europeistico nato dalle ceneri della seconda guerra mondiale per dare un segnale forte alle nuove generazioni dopo secoli nei quali l’Europa era stata, più che un continente, un gigantesco campo di battaglia. Si sa però che la memoria, spesso ha vita breve e le nuove generazioni, tutte protese verso un futuro assai incerto, poco hanno voglia di studiare e comprendere il passato, e chi quel passato lo ha vissuto direttamente sulla sua pelle o indirettamente dal racconto di genitori e nonni, ha sempre meno la forza di mantenere intatte le proprie convinzioni, dopo aver visto dilapidare un patrimonio di idee e sentimenti assolutamente mal gestiti dalla classe politica in quasi tutti i paesi che fanno parte dell’Unione Europea.     Secessionismo

Egoismo, paura, mancanza di ideali e di idee stanno portando molti paesi sull’orlo della disgregazione e c’è anche chi sostiene che questo sia un passo necessario per arrivare ad una federazione di popoli dopo che quella possibile tra gli stati non sembra dare risposte adeguate alle tante attese suscitate nei decenni passati.         Secessionismo

Nell’ignoranza totale dei meccanismi che sottendono un passaggio che dovrebbe essere indolore tra stati artificiali (quali sono quasi tutti quelli europei) a stati formati da un popolo omogeneo, veri stati nazionali, si alimentano  del tutto dissennatamente aspirazioni irredentiste destinate a produrre più danni di quanti potrebbero essere i benefici finali, sia per un possibile intervento armato per ripristinare le sovranità statutarie, ma anche e, direi soprattutto, per le conseguenze economiche le quali caratterizzano le dichiarazioni di indipendenza.           Secessionismo 

In un mondo globalizzato, non basta una consultazione popolare per ottenere il successo di una dichiarazione di indipendenza, ma occorre anche fare bene i conti (anzi sarebbe meglio farli prima) sulle autonome decisioni degli attori coinvolti, a partire dai governi esteri assai riottosi a riconoscere nuovi stati per non dover subirne conseguenze interne analoghe, per finire alle aziende le quali, in qualsiasi momento possono legittimamente decidere di lasciare il paese ove si erano insediate nel momento in cui le condizioni che ne avevano reso appetibile la residenza vengono irrimediabilmente mutate. E se il Regno Unito ancora deve fare interamente i conti con i costi che deriveranno dall’uscita dall’UE, per la Catalogna pare che le conseguenze siano state pressoché immediate dato che migliaia di aziende grandi e piccole, visto il vento che tirava, se ne sono frettolosamente andate e credo non vi faranno ritorno a breve anche qualora la situazione, come sembra, dovesse andare incontro ad una normalizzazione.

Le separazioni non sono mai indolori e ben lo sanno i coniugi che si lasciano o i soci di una società che si scioglie, ma alla base di esse, fatta salva la fine delle motivazioni sentimentali e di condivisione dello stare insieme, esiste sempre il modo, disciplinato dalle leggi di tutti gli stati occidentali, di definire una spartizione patrimoniale partendo sia da dati certi che presunti, ma sui quali si può raggiungere un discreto grado di condivisione; e comunque, alla fine, c’è sempre un giudice a poter dire l’ultima parola ed a mettere tutti d’accordo.             Secessionismo

Il bilancio di uno Stato unitario è qualcosa di assai più complesso da interpretare in tal senso perché, volenti o nolenti, del fatto che in quasi 70 anni di vita si sia provveduto ad un accentramento totale di certe poste in bilancio (come per esempio il debito pubblico) oppure un decentramento funzionale di attività (la scelta politica di industrializzare certe aree di un paese anziché altre vocate diversamente), difficilmente può rientrare nell’ambito di un’equa ripartizione di attivo e passivo, debiti e crediti, cosa relativamente più facile all’interno di una comunione coniugale dei beni o di una ripartizione di quote/azioni, all’interno di una Società.         Secessionismo 

Pressoché la totalità dei leader indipendentisti ha, al contrario, una visione monoculare del bilancio di uno Stato: l’attivo, il gettito fiscale e basta. Essi basano la loro azione politica solamente facendo brillare gli occhi dei propri elettori con le ricchezze che potrebbero essere altrimenti distribuite anziché gettate nel calderone dell’inefficienza dello Stato centralizzato, senza niente dire, però di quanta parte del debito pubblico (solo per fare un esempio tra i più importanti) sarebbero disposti ad assumere in caso di una separazione più o meno consensuale; ma con quale criterio questo calcolo potrebbe essere fatto? Naturalmente le regioni più ricche, poiché maggiormente hanno contribuito alla fiscalità generale, riterrebbero di dover essere agevolate in questo passaggio lasciando il cerino in mano agli altri. Non occorre particolare intelligenza per comprendere come le cose, così, non possano in alcun modo funzionare e non è certo un caso il fatto che secessioni più o meno recenti siano nate con largo spargimento di sangue oppure in seguito a dissoluzione di stati precedentemente costretti alla convivenza in blocchi determinatisi in seguito ad importanti eventi bellici (Urss, Jugoslavia, Cecoslovacchia); talvolta l’uno e l’altra nello stesso tempo.              Secessionismo

La nascita di nuovi stati susseguente ad un evento traumatico sarà accompagnata da violenza fisica e/o economica e questo difficilmente potrà avvenire con il beneplacito di un organismo sovranazionale che basa la sua esistenza  sull’adesione di stati ad un progetto (come l’attuale UE) e che può sopportare al massimo modificazioni interne dell’assetto pilotate nel tempo e nei modi. Ma non si comprende come, nella situazione attuale, si possa passare ad una federazione di stati/nazione (sul modello degli Stati Uniti d’America per intenderci) senza che prima si sia provveduto ad un accentramento totale del debito pubblico dei singoli stati nei quali, purtroppo, esistono tali e tante differenze da aver reso, sino ad oggi, impossibile la decisione perché, come al solito, chi ha più debiti sarebbe favorevole, ma chi ne ha meno non ha la benchè minima intenzione di fare monte comune.   Secessionismo

Solo la politica ed il tempo potrebbero risolvere il rebus ma purtroppo la politica latita e di tempo non sembra che ne abbiamo poi molto: lo spettro continuerà, temo, ad aleggiare.              Uno spettro si aggira per l’Europa: quello del secessionismo

L’ideologia, l’ideologia

Malgrado tutto credo ancora che ci sia

È il continuare ad affermare

Un pensiero e il suo perché

Con la scusa di un contrasto che non c’è

Se c’è chissà dov’è, se c’é chissà dov’é.

 

Uno spettro si aggira per l’Europa: quello del secessionismo

Uno spettro si aggira per l’Europa: quello del secessionismo

 

 

 

 

 

 

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1 comment

  1. Tigra 9 novembre, 2017 at 23:43

    Mi pare particolarmente interessante la riflessione sul debito pubblico da ripartire in caso di scissione di uno stato nazionale, sia in generale, che in questo caso.
    Non ne ho personalmente la più pallida idea, ma mi piacerebbe sapere quanta parte della maggior ricchezza catalana può derivare proprio da una condizione di autonomia particolarmente forte e vantaggiosa come quella di cui ha goduto Barcellona; ciò senza minimamente voler discutere che effettivamente i catalani sono un popolo diverso dagli spagnoli…

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