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Il filosofo che voleva trasformare il mondo. Un commento a “Il giovane Karl Marx”, di Raoul Peck

I protagonisti del film nei panni di Jenny Von Westphalen, Karl Marx e Friedrich Engels

 

Non è solo una biografia romanzata e la storia di un’amicizia, quella che Raoul Peck ricostruisce in questo bel film, ma è soprattutto la lunga genesi di un ideale politico, che nel Manifesto del Partito Comunista ha raggiunto la sua forma definita e riconoscibile per intere generazioni di lavoratori.

Sono gli anni della giovinezza quelli che il regista mette a fuoco, con attenzione filologica per il contesto in cui i fatti si svolgono e con il gusto per le vicende umane, che rende avvincente la trama. Una giovinezza politicamente impegnata e in perenne fuga quella dell’intellettuale Marx; agiata ma insoddisfatta e altrettanto critica, quella del ricco rampollo borghese Engels.

Il risultato è un pregevole racconto in cui il rigore storico e la passione ideale raggiungono un equilibrio, che raramente riesce quando si parla di figure che emergono potentemente dalla storia e arrivano a sfiorare il mito.

 

 

Lo sguardo realistico e rigoroso dunque, non è mai distorto da tentazioni agiografiche, sbavature retoriche o sentimentalistiche, neanche quando si concentra sulla vita privata dei protagonisti. E qui non si può fare a meno di citare la figura di Jenny Von Westphalen, figlia di un barone prussiano, che per amore del giovane Karl, intelligente quanto spiantato, rinuncia ad agi, ricchezza e noia, per seguire e sostenere il marito nelle sue battaglie, nell’esilio e nella povertà fino alla morte.

Jenny però non è solo la brava sposa che offre sostegno pratico e materiale alla vita quotidiana di Marx, ma la donna consapevole del proprio ruolo, che in ogni momento condivide con lui ideali, passioni e fatiche con la forza salda e autonoma della sua intelligenza. Una donna decisamente in anticipo sui tempi, dunque.

Sono, quelli tra il 1842 e il 1848, gli anni in cui l’Europa è attraversata da una profonda crisi sociale che, col concorso di un potere politico anacronistico e ottuso, stabilito oltre vent’anni prima a Vienna, inchioda enormi masse di uomini, donne e bambini alla miseria e allo sfruttamento, e in cui di pari passo serpeggia con la povertà e la disperazione lo “spettro” famigerato e ancora confuso del comunismo. Ed è proprio Jenny a pronunciare ad Engels una delle frasi cruciali di questa storia, in cui si intrecciano amicizia, amore, pensiero e politica: “Non c’è felicità senza rivolta e spero di vedere il vecchio mondo crollare presto!

 

Sul set del film "Il giovane Karl Marx" con (da sx) Stefan Konarske(Engels), August Diehl (Marx) e il regista haitiano Raoul Peck

 

Marx allora aveva ventisei anni e quell’amico, che conosceva al tempo stesso “la miseria dei proletari e i privilegi della borghesia”, ventiquattro.
I due giovani, che si erano incrociati e detestati la prima volta a Colonia nella redazione della Rheinische Zeitung, si sono incontrati di nuovo a Parigi (è il 1844) a casa dell’editore Ruge, per iniziare stavolta quell’intenso e indissolubile sodalizio amicale, intellettuale e politico, che avrebbe unito le loro vite nell’impegno di trasformare la società e che avrebbe legato per sempre i loro nomi sul frontespizio di un’opera imprescindibile per i proletari di tutto il mondo, e poi i loro volti barbuti e maturi sui sogni e sulle bandiere di un’intera epoca.

Nel corso di quegli anni, in una vita piena di impegno, di stenti e di debiti, vissuta dai Marx tra Parigi e Bruxelles, i due giovani – affiancati da donne forti, determinate e intelligenti – studiano gli economisti classici, criticano le utopie socialiste di Proudhon, discutono, fumano, si ubriacano, scrivono articoli e lavorano incessantemente per analizzare economia e società capitalista e pensare nuove idee in un linguaggio chiaro, con cui dare ai movimenti operai d’Europa unità, coscienza di classe e direzione politica.

E in quegli stessi anni Marx (con il contributo dell’amico, che lo stesso Engels definirà, forse ingenerosamente, marginale), elabora le basi teoriche del materialismo dialettico, a cui avrebbe dato più tardi ampia e organica espressione in quell’opera immensa e incompiuta che è Il capitale.

La narrazione scorre sobria e lineare per tutto il film, la recitazione è nel complesso buona, ottima quella di August Dihel e Vicky Krieps nei panni di Karl e Jenny, un po’ più debole forse quella di Stephen Konarske in quelli di Friedrich. Nonostante nel doppiaggio si perda il realismo della recitazione in tre lingue, la verosimiglianza strutturale della storia non viene mai meno.
Il ritmo risulta sempre sostenuto, ma si fa decisamente più serrato e coinvolgente nelle scene finali quando, meno di un mese prima che la scintilla del ’48 infiammi l’Europa intera, tutto il lavoro e l’impegno prendono finalmente forma definita nelle parole rivoluzionarie del Manifesto, scritte al lume di candela e recitate alla lettera: “Uno spettro s’aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi…

 

La prima edizione de "Il Manifesto comunista" pubblicata a Londra nel 1848
                 (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

E ancora più belle sono le ultime immagini, reali e di repertorio, che scorrono insieme ai titoli di coda e che proprio da quella visione rivoluzionaria in qualche modo sono scaturite; sono i fotogrammi sgranati che, con la musica epocale di Like a rolling Stone di Dylan, riassumono in un minuto la storia di un intero secolo e oltre, fino ai nostri giorni: il Venerdì nero e la Grande Depressione, le due Guerre Mondiali, la Guerra fredda, il Che, il Maggio francese, il Vietnam, l’Apartheid in Sudafrica, il Muro di Berlino, la Palestina occupata, la Rivoluzione di Praga, il colpo di stato in Argentina e il trionfo neoliberista di Reagan e Thatcher, fino all’ultima crisi di Wall Street, con il precario movimento che ne è seguito…
Mancano invece tra quelle immagini, significativamente, riferimenti alle varie forme del socialismo reale del Novecento, forse perché, secondo Peck, dell’umanesimo marxiano e di quell’ideale mai del tutto realizzato di una società più giusta e più libera, quei regimi sono stati i primi traditori.

 

 

 

Varoufakis: il Manifesto di Marx ha predetto la nostra crisi attuale e indicato la via d’uscita

 

   Il trailer ufficiale de "Il giovane Karl Marx"


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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