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Un lungo giorno di fine estate, tra memoria e storia

Un lungo giorno di fine estate tra memoria e storia…Tra memoria e storia

Inizio estate del 1902, mentre l’Europa vive i bagliori della Belle Epoque, Gabriele D’Annunzio lavora ad una delle sue opere più famose, L’Alcyone, in viaggio tra Firenze e la Versilia, dove lo sviluppo “stagionale” [1] dell’opera trova le sue massime fonti di ispirazione. Eleonora Duse, musa e amante, lo accompagna nelle sue scorribande tra le spiagge del Lido di Camaiore e la pineta di San Rossore, quando improvvisamente il Vate decide di fare i bagagli e cambiare aria; da giugno a ottobre continuerà a scrivere in una tenda eretta in un prato all’interno di una antica fortezza diroccata posta  600 metri di altezza, alle falde dell’appennino tosco romagnolo, nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi: il Castello di Romena. In quella che un tempo era stata la piazza d’armi di un castello medievale, D’Annunzio si tratterrà quasi 5 mesi a scrivere compulsivamente versi, mentre la Duse, ospite dei conti Goretti de’ Flamini, proprietari del castello, vi salirà ogni giorno, per far visita visita all’amante,  con un carro coperto di cuscini per rendere il viaggio meno doloroso [2].

Dopo aver preso ispirazione alla foce dell’Arno, improvvisamente D’Annunzio volle risalire il fiume fin quasi alla sua sorgente, e si fermò in quel luogo, forse non casualmente, forse non solo rapito dalla sua bellezza.

 

 

La storia di Romena si perde nella notte dei tempi; toponimo probabilmente etrusco (Romenna), era l’antico feudo di una famiglia di origine longobarda che ha avuto come capostipite un nobile pistoiese, tal Teudelgrimo, al quale in un atto del 887 risultano intestati numerosi possedimenti . Un di lui discendente, Tegrimo I, sposando la duchessa Engelrada di Ravenna, ingrandì notevolmente il patrimonio e la potenza della casata, tanto che Federico Barbarossa ne sancirà il lignaggio con il nome di Guidi ed il titolo nobiliare di Conti; in quel momento i Conti Guidi erano proprietari di una quantità di castelli, borghi e terreni che forse aveva pochi pari nell’Italia centrale di inizio millennio. Ed è più o meno in quel periodo che viene eretto il Castello di Romena, posto alla sommità di un colle dal quale si domina tutta la vallata giù fino alla piana di Arezzo.

Siamo nell’epoca di passaggio tra l’età feudale e quella dei Comuni; nell’Italia centro-settentrionale il potere dell’imperatore viene messo in discussione dalla crescente voglia di indipendenza delle città che, forti dell’incremento demografico e dello sviluppo dei commerci, si contrappongono alla miriade di feudatari che governavano i territori sotto il sigillo e la protezione imperiale. Singolare la situazione di Firenze, attorniata da decine di castelli fortificati, nei quali, oltre ai Conti Guidi, gli Alberti e gli Aldobrandini presidiavano le principali direttrici dei commerci, mettendo in discussione lo sviluppo economico e la crescita di una città che, sappiamo, a questa situazione reagì spesso in modo assai violento. In particolare ancora oggi un’associazione di un centinaio di volontari rievoca ogni anno la storia del Castello di Semifonte, una cittadella fortificata situata ad alcune decine di chilometri da Firenze ed abitata da non più di 2.000 persone, per la maggior parte contadini/soldati, i quali si erano sempre orgogliosamente e con successo difesi dagli attacchi di Firenze.

 

La Cappella di San Michele

 

Firenze non è mai stata clemente con i suoi nemici, e quando non li ha potuti comprare, ha fatto di tutto per distruggerli; con Semifonte fece l’uno e l’altro: prima acquistò i diritti di proprietà del castello, poi lo assediò, costrinse  gli abitanti alla resa nell’aprile del 1202, li fece evacuare disperdendoli per le campagne, e rase al suolo tutto ciò che sporgeva dal terreno. In ricordo di quell’evento alla fine del XVI° secolo venne eretta la Cappella di San Michele nel luogo esatto dove un tempo si dice vi fosse la parte sommitale del Castello, e da dove la pro loco organizza visite guidate nelle quali, a parte una bella scampagnata condita di tanta fantasia, temo possa offrire ben poco di più, perché Firenze quando faceva le cose le faceva proprio bene.

Di là dal Pratomagno, immersa nelle foreste del Casentino, con Romena la sorte fu meno crudele.

 

Busto di Dante a Poppi davanti al Castello dei Conti Guidi

 

Tre cinta di mura fortificate, 13 torri, camminamenti di ronda ed all’interno della cinta più piccola, la piazza d’armi nella quale D’Annunzio secoli più tardi monterà la sua tenda; ed ancora il mastio isolato da un ponte levatoio ed un fossato, in modo tale da resistere anche alla caduta delle altre difese: il castello deve essere sembrato imprendibile anche a Dante Alighieri, che dei Conti Guidi fu ospite immediatamente dopo il suo esilio da Firenze, speranzoso di organizzare, proprio dalle terre della famiglia amica, una riconquista dell’amata/odiata Firenze. Siamo nel bel mezzo della guerra tra guelfi e ghibellini e Dante conosceva bene quei luoghi, era stato a Campaldino, laggiù in fondo alla valle, ed aveva visto scorrere fiumi di sangue in quella battaglia combattuta circa tredici anni prima (siamo nel 1302). La città di Firenze ancora non aveva la potenza economica dei Medici e, come detto, doveva fronteggiare i residui medievali costituiti dai vari feudatari che ancora controllavano tutti i territori intorno alla città, con una fitta ragnatela di fortificazioni che rendevano la vita ai fiorentini sempre piuttosto precaria. Ed è proprio su questa precarietà che Dante basa la sua scelta di consolidare un’amicizia con la famiglia Guidi, protetto tra le mura amiche di Romena. Quando Alessandro Guidi, amico di un ormai povero Dante [3], morirà nel 1303, all’uomo non verrà meno soltanto l’amicizia, ma anche l’unica fonte di sostentamento in Toscana, e la sua pena sarà talmente grande da dedicare al defunto una delle sue Epistole (la seconda, “Ai Conti Guidi” [4] ), nella quale tenterà invano di mantenere lo stretto legame con la famiglia dopo la dipartita del capostipite.

A quel tempo la famiglia dei Conti Guidi si era già scissa, per motivi ereditari, in più tronconi, ed anche se complessivamente vantava possedimenti da Lucca sino ad Arezzo ed in Romagna, ormai ognuno dei rami nobiliari faceva vita autonoma; quello di Romena restava uno dei più ostili a Firenze, tanto che il defunto Alessandro aveva ingaggiato uno dei più abili cesellatori del tempo (Mastro Adamo da Brescia) perché nei sotterranei del castello di Romena desse vita ad una delle prime truffe valutarie che si ricordino, falsificando i fiorini fiorentini con una quantità di oro inferiore a quella degli originali; braccato per Firenze mentre spacciava fiorini falsi, Mastro Adamo venne imprigionato, processato ed arso vivo in una località vicino Firenze il cui toponimo (Lommorto o Omomorto) evoca ancora l’evento; Dante, nella Divina Commedia così racconta l’incontro con Mastro Adamo nel XXX° Canto dell’Inferno, quando giunse con Virgilio nella bolgia dei falsari:

La rigida giustizia che mi fruga

tragge cagion del loco ov’io peccai

a metter più li miei sospiri in fuga.

Un lungo giorno di fine estate tra memoria e storia

 Ivi è Romena, là dov’io falsai

la lega suggellata del Batista;

per ch’io il corpo sù arso lasciai.

 

Ma s’io vedessi qui l’anima trista

di Guido o d’Alessandro o di lor frate,

per Fonte Branda non darei la vista.

 

Mastro Adamo, con il corpo deformato dall’idropisia (accumulo d’acqua nell’addome e negli arti), per contrappasso ha le labbra arse dalla sete e citando la fonte (Fonte Branda) presente all’interno del Castello di Romena, menziona i fratelli Guidi che lo avevano assoldato.

A Romena Dante rimase poi non molto a lungo; Firenze incombeva e con la morte di Alessandro la sua permanenza nel feudo dei Conti Guidi non era più sicura, a Romena o in qualsiasi altro loro castello del Casentino; fu così che prese la strada dell’esilio che alla fine lo porterà forse non a caso in Romagna, a Ravenna, dove poi morirà e verrà sepolto, la città dalla quale un tempo era partita Engelrada per andare a sposare Tegrimo I .

 

G.Stradano, "Inferno Canto XXX I falsari di monete: Mastro Adamo e Sinone (49-90) ".  Cliccare immagine per migliore risoluzione.

Un lungo giorno di fine estate tra memoria e storia

Nel 1357 il Castello di Romena venne venduto alla città di Firenze; quindi guerre, devastazioni e persino un terremoto: quando nel 1786 il Conte Ascanio Goretti de’ Flamini acquistò ciò che restava della fortezza, due cinte murarie erano ormai crollate insieme alle 11 torri che ne delimitavano i lati, e gran parte delle pietre erano state nel frattempo trafugate per essere utilizzate nella costruzione delle fattorie adiacenti. I nuovi proprietari si impegnarono così nel recupero di ciò che era recuperabile, restaurando l’ultima cinta muraria, il mastio e le tre torri superstiti ai lati della piazza d’armi, divenuta nel tempo pascolo per il bestiame. Purtroppo le due fortificazioni più esterne non erano più recuperabili ed il castello che prima ospitava circa 300 tra soldati e la famiglia nobiliare, era ormai ridotto a poco più che luogo di sosta e meditazione, mantenendo però un fascino immutato dovuto non solo alla posizione invidiabile, oltre che ai filari di cipressi piantati ove un tempo si trovavano le maestose mura ormai distrutte. In quel prato D’Annunzio compose, tra le altre, una delle sue liriche più famose “La pioggia nel pineto”:

 

Taci. Su le soglie

del bosco non odo

parole che dici

umane; ma odo

parole più nuove

che parlano gocciole e foglie

lontane.

Ascolta. Piove

dalle nuvole sparse.

Piove su le tamerici

salmastre ed arse,

piove sui pini

scagliosi ed irti,

piove su i mirti

divini,

su le ginestre fulgenti

di fiori accolti,

su i ginepri folti

di coccole aulenti,

piove su i nostri vólti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggieri,

su i freschi pensieri

che l’anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

t’illuse, che oggi m’illude,

o Ermione.

 

Ripensando ad una domenica di questa estate nella quale risalivo la valle della Rufina verso il passo della Consuma, per andare a Romena, in una bella giornata estiva minacciata da scure nubi temporalesche, mi resta difficile capire come D’Annunzio, immerso in una vegetazione tipica di montagna, abbia pensato a tamerici e pini, piante tipiche della costa, di quella Versilia che aveva lasciato insieme alla Duse per salire fino ai contrafforti dell’Appennino, laddove la Toscana e la Romagna si toccano e convivono da sempre; e riflettendo sulle scure nubi quel giorno sopra di me, ho pensato che probabilmente anche a lui era capitato in quella lontana estate di trovarsi sotto un temporale estivo, e chissà che non gli sia sembrato consolatorio immaginarsi in riva al mare, dove i temporali finiscono sempre per dare sollievo dalla calura estiva.

 

Strana giornata quella domenica; era da tanto che volevo andare a Romena, però all’Abbazia, poco sotto il castello; Fabrizio ne parlava continuamente, come il suo luogo dell’anima e ci andava spesso per trovare conforto nel momento peggiore della sua vita; tra una chemio e l’altra, con il fisico provato, spesso partiva la domenica con la famiglia per fare un viaggio della speranza e del conforto, in quei momenti per lui, per loro, molto difficili; purtroppo invano.

 

"...risalivo la valle della Rufina verso il passo della Consuma per andare a Romena, una bella giornata estiva minacciata da scure nubi temporalesche..."

 

Scendendo con la macchina verso Stia ad un certo punto ho visto quel poggio, i cipressi, le torri, la nebbia in fondo alla valle ed il sole che ancora resisteva alle nuvole minacciose; ho preso la strada sterrata e mi sono fermato nel parcheggio, appena all’inizio del piccolo borgo costruito con i resti delle mura. Il cancello chiuso a breve si sarebbe aperto per consentirmi una visita a quel luogo antico. Quindi pago il biglietto e mi inoltro nel vialetto verso l’apertura nelle mura, per accedere a quella che un tempo era stata la piazza d’armi ed oggi è solamente un bel prato curato; passo il ponte levatoio sulla destra ed entro nella parte dove vivevano i castellani di allora, una visita breve, con lo sguardo rivolto spesso la vallata immersa nella nebbia ed al cielo minaccioso, con il sole tagliente ormai insidiato dalle nubi, quando improvvisamente la ragazza della biglietteria si avvicina avvisandomi di interrompere la visita perché il temporale incombeva e per motivi di sicurezza il castello doveva essere chiuso.

Uscendo dal ponte levatoio mi cade lo sguardo verso il limite del prato, ad una delle torri, quella in fondo, isolata, e chiedo alla guida che cosa ci fosse stato all’interno: è la torre, mi dice, dove si trovavano le prigioni del castello, anch’essa ristrutturata ma praticamente vuota, e purtroppo senza che fossero state mantenute le particolarità che l’avevano resa un tempo famosa. Incuriosito chiedo: “la torre era divisa in livelli, a ciascuno dei quali corrispondeva, scendendo verso il basso, una crescente gravità del reato commesso”. Continua dicendo che vi si accedeva un tempo salendo sulla sommità da una stretta scala laterale posta all’interno, ed i condannati venivano poi calati dall’alto sino al piano di destinazione: una sorta di girone infernale che Dante aveva sicuramente visto e dal quale, si dice, aveva tratto ispirazione per la Commedia, ispirazione che forse anche D’Annunzio è venuto a cercare per una delle sue opere più famose, in quel luogo così prolifico di suggestioni.

I tuoni minacciosi non mi hanno  consentito ulteriori divagazioni, e sono riuscito appena in tempo a rientrare in macchina che si è scatenato il temporale; l’acqua incessante, il buio e troppi chilometri da fare sui tornanti dell’appennino per tornare a casa: all’Abbazia di Romena ci tornerò un’altra volta

Un lungo giorno di fine estate tra memoria e storia

Un lungo giorno di fine estate tra memoria e storia

 

Un lungo giorno di fine estate tra memoria e storia

 

[1] L’opera dannunziana è divisa in 5 sezioni, ciascuna dedicata ad un momento della stagione estiva:

  1. l’attesa dell’estate (La sera Fiesolana)
  2. l’arrivo dell’estate (La pioggia nel pineto)
  3. l’estate al culmine
  4. primi presagi autunnali
  5. la fine dell’estate (I pastori)

Composta tra il 1899 ed il 1902, vide il suo massimo sviluppo proprio nel 1902 durante la lunga permanenza in Toscana del poeta.

[2]  Alcuni commentatori dicono si trattasse addirittura di una treggia, una sorta di slitta trainata da            cavalli sulla quale veniva trasportato il fieno.

[3] Si ricorda che in seguito all’esilio, la famiglia di Dante, oltre alla perdita di ogni rendita e privilegio, venne privata anche di tutte le proprietà e la casa dove Dante aveva abitato a Firenze venne rasa al suolo secondo il costume dell’epoca. Girando per il centro di Firenze, oggi si trovano ancora cartelli indicanti la “Casa di Dante”; in realtà quella casa non esiste più ed al suo posto furono eretti nuovi edifici 

     [4] In realtà il titolo originale dell’Epistola è “ A Oberto e Guido, Conti di Romena, dopo la morte dello zio    Alessandro

 

Bibliografia:

  • Documenti per la Storia dei Conti Guidi in Toscana (natale Rauty – Olschki Editore 2003)
  • La lunga storia di una stirpe comitale…(federico Canaccini – Olschki Editore 2009)
  • Il Castello di Raggiolo ed i Conti Guidi (Marco Bicchierai – Editori Il Grifo 1994)

 

 

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