le storie

Black lives matter (Italian style)

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Montanelli e la rimozione collettiva del nostro razzismo coloniale.

Black Lives Matter (1), contrariamente a molti aspetti socioculturali americani, rimarrà in Italia probabilmente sempre legato alle tematiche di quella nazione, dato che troppi in Italia, giornalisti in primis, la considerano cosa che ha a che fare solo con schiavi e padroni d’oltreoceano, e con i loro discendenti. Questo perché, mentre ci sensibilizziamo tutti sul perdurare del razzismo negli Stati Uniti d’America, di razzismo e schiavismo nel nostro recente passato facciamo finta in troppi di scordarcene. A chi, d’altra parte, farebbe piacere ricordare, o farsi ricordare, che mentre la schiavitù negli USA fu abolita nel 1865, nelle nostre colonie fu abolita  soltanto nel 1938? Un’abietta schiavitù, non apertamente dichiarata, ma tacitamente promossa dal governo del tempo e protetta dalle alte autorità militari, che non disdegnavano affatto di praticarla essi stessi sulla pelle (nera) di bambine a cui fu negata l’adolescenza. Una realtà ancora oggi sminuita dal nostro establishment il quale ha deciso che la nostra storia non è quella che è, ma piuttosto, quella che ci vogliono raccontare. E se ci scandalizziamo è colpa nostra (rif: Montanelli, Corriere della Sera, 12 Febbraio, 2000).

 

Bando contro lo schiavismo in Tigrè, 1935 – Cliccare immagine per migliore risoluzione Black lives matter Black lives matter Black lives matter Black liveP

«L‘imbrattamento della statua di Montanelli per ‘razzismo e stupro’ è gesto condannabile da qualunque parte». Così scrive La Repubblica nell’articolo Il destino delle statue e le colpe riconosciute del 16 Giugno 2020Patetico e insensato lo sfregio alla statua di Montanelli. Così invece titolava un articolo del 4 Maggio 2018 di Milano Post, riprendendo il tema già proposto dalla Fondazione Montanelli Bassi il 20 luglio 2015: Un’accusa ingiusta e strumentale. Il Corriere della Sera del 14 giugno, con l’articolo titolato Oltraggio a Montanelli: scopo pretestuoso, metodo vergognoso, va ben oltre. La vernice sulla statua viene descritta come «stupida emulazione», fino arrivare all’eccesso: «umanità. Quella che Montanelli aveva e che i suoi imbrattatori non hanno».

 

 

Parole forti, piene di sdegno e riprovazione, usate per marginalizzare coloro che osano proporre la rimozione di un nostro scomodo passato. Eppure il razzismo sistematico perpetrato nelle nostre ex colonie, il madamato – eufemismo per descrivere lo schiavismo più meschino e lo stupro di massa perpetrato su minorenni indifese – è verità storica. Se crediamo davvero che Black Lives Matter, sarebbe il caso di includerci anche the lives, le vite di quelle adolescenti nere che la nostra nazione ha ridotto in schiavitù e allegramente seviziato nelle nostre colonie d’Africa.

Non possiamo e non dobbiamo ridurre il nostro passato colonialista a piccole indiscrezioni individuali e sdegnarci con coloro che, come i giovani imbrattatori, chiamano le cose col loro vero nome: razzismo, schiavismo, stupro e pedofilia di massa. All’inizio delle ostilità, con la conquista della regione del Tigrè nel 1935, l’Italia mise formalmente al bando la schiavitù, praticata dai locali, con tanto di bando ufficiale. Fu un’operazione che avvalorava la propaganda del regime sulla colonizzazione come portatrice di civiltà. Ma il bando, come poi visto, fu inteso solo per i locali, facendo da copertura ai conquistatori per agire liberamente di loro comodo.

Al primo contributo di Montanelli per averci dato liberamente una testimonianza della nostra politica coloniale di discriminazione razziale vera, sincera, diretta e autorevole, ne dobbiamo oggi aggiungere uno indiretto, dovuto alle recentissime polemiche, che ci fa prendere coscienza del perdurare di forme di razzismo nella nostra coscienza collettiva ben oltre la fine del fascismo. Per quanto riguarda la nostra umanità nel periodo coloniale, è sufficiente la testimonianza, fatta senza costrizione alcuna, dal maestro di giornalismo che oggigiorno in così tanti si affannano a difendere.

Il contratto con il quale il giornalista, usando il termine dello stesso Montanelli, aveva preso in leasing una bambina dodicenne non aveva clausole come le hanno oggi i leasing delle automobili. Inoltre, non aveva alcuna scadenza e neanche alcuna penale per abuso merce. Era quindi tutto a convenienza del cliente, il quale poteva disfarsi dell’acquisto quando meglio voleva, senza obblighi di sorta. Questo leasing aveva anche una garanzia che proteggeva pienamente il consumatore. Infatti, come da testimonianza del giornalista, essendo la bambina troppo piccola per comprendere quali fossero le sue mansioni, dovette essere persuasa con maniere che Montanelli ha avuto l’umanità di non descrivere in tutti i particolari.

 

Enrico De Seta, vignetta di satira sulla guerra in Etiopia

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Il costo del leasing, raggiunto dopo due giorni di trattative, fu un vero affare: «L’avevo comprata a Saganeiti assieme a un cavallo e a un fucile, tutto a 500 lire». Per avere un’idea precisa del costo, a quel tempo in Italia la paga mensile di operai e braccianti era tra le 150 e le 300 lire, quella di un impiegato di medio livello oscillava tra le 400 e le 600 lire, quella di un generale dell’esercito era di circa 3000 lire. Gli affitti mensili medi italiani variavano invece dalle 200 alle 300 lire. Oggigiorno anche un cucciolo di razza pregiata certamente costerebbe di più. Ma, per quanto riguarda il giornalista, si trattava di tutto meno che di razza pregiata. Infatti, a sentire lui: «Era un animalino docile, io gli misi su un tucul [capanna indigena di argilla e paglia, ndr] con dei polli… Faticai molto a superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale … ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre». Al cattivo odore di capra si aggiunse quello delle galline. Montanelli se ne dovette fare una ragione, essendo il costo di un altro tucul una spesa extra. Nel tucul, com’è facile immaginare, Montanelli non potette certamente fare cene eleganti, ma dall’espressione del volto del giornalista nel raccontare le sue gesta eroico-erotiche, se ne deduce che furono comunque bei festini casarecci a base di minorenne e polli ruspanti. D’altronde quelli erano tempi di autarchia, imposti dalle democrazie plutocratiche ad una povera Italia che reclamava solamente un posto al sole ed un poco di goduria, tra il buttare in Africa una bomba qua e qualche gas asfissiante là.

Per quanto riguarda l’età della bambina, come ci informa lo stesso Montanelli: «Aveva 12 anni, ma non mi prendere per un bruto: a 12 anni quelle lì sono già donne … Avevo bisogno di una donna a quell’età. Me la comprò il mio sottufficiale … ». Il bruto sarebbe quindi il sottufficiale ascaro, al quale però sarebbe ingiusto attribuire colpe, dato che non poteva certo trovargli una bella schiava diciottenne d’importazione. Navi inglesi e olandesi che rifornissero il mercato di schiavi ahimè non ce n’erano più, fin da quanto la guerra di secessione americana era andata male per gli schiavisti. D’altronde, cosa c’era da aspettarsi? Tutto il mondo è paese e i sudisti, per quanto d’oltre oceano, alla fine erano pur sempre dei meridionali.

 

 

C’è però da domandarsi seriamente se questa nuova forma di schiavismo, lo schiavismo elegante a forma di leasing, fosse comunemente praticato dai tanti italiani presenti in quegli anni in terra d’Africa. Le condizioni dei soldati di leva erano pessime, essendo pagati una miseria e sottoposti ad angherie di ogni sorta da parte dei superiori. Oltre ai soldati, c’erano in Etiopia anche moltissimi lavoratori italiani, la cui retribuzione media era di 25 – 30 lire al giorno per ben dieci ore di lavoro feriale e cinque ore nei giorni festivi. Chi invece di soldi e di tempo per svaghi e divertimenti di ogni tipo ne aveva fin troppo erano gli alti ufficiali e i volontari della milizia fascista, tra i quali il nostro eroe, quasi tutti arruolatisi con ardente spirito patriottico, che fremevano per portare il loro modello di civiltà ai popoli dalla faccetta nera.

Trovare volontari per andare a farsi ammazzare per la causa della civiltà e la gloria della stirpe italica non era affatto semplice, e qui il genio di Mussolini risolse la cosa. L’aggressione in Africa fu ammantata dai sogni di gloria di un Impero Romano che rinasceva dopo venti secoli, e, dato che questo non bastava, da tutta una serie di allusioni sulla procacità e disponibilità delle donne africane, descritte da popolari canzonette – tra cui la più famosa di tutte, Faccetta Nera – e illustrate su cartoline, giornali e settimanali, ben confezionate come si fa oggi con i migliori prodotti usa e getta.

Fu questa un’operazione subdola di avallo silenzioso a razzismo, schiavismo, prevaricazione e sfruttamento sessuale su scala industriale, nel quale la pedofilia finì per primeggiare. Così, mentre la censura fascista silenziava le voci discordanti emarginandole come nemiche della patria, la propaganda di regime promuoveva la legalizzazione virtuale di un razzismo viscerale, inducendo stermini e violenze di ogni tipo nel nome di una indiscussa e imprescindibile superiorità razziale. Così scriveva Montanelli sulla rivista Civiltà Fascista nel gennaio del 1936, alla vigilia della nostra aggressione armata in Etiopia: «Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà» (2).

 

1923 , il Governatore Italiano, e Quadrumviro della Marcia su Roma, Cesare Maria De Vecchi sbarca a Mogadiscio (calvo a sinistra del centro).

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La riduzione a schiavitù di ragazze e bambine africane era fatta tranquillamente alla luce del sole, con l’idea di dar loro una civiltà, cosa poi che si ridusse semplicemente al dar loro una prole indesiderata e, neanche a dirlo, abbandonata a se stessa. Quanto poi all’umanità di Montanelli, fa testo il fatto che, cosa della quale lui stesso ci informa, quando decise di disfarsi della bambina, invece di riportarla dai genitori e perdere l’investimento, ne cedette il leasing – a netto ammortamento – al generale Alessandro Pirzio Biroli. Costui era nientemeno che il governatore della zona dell’Amara Durata, carica ricoperta dal 1º giugno 1936 al 15 dicembre 1937. Questo signore, oramai sulla sessantina, disponendo dello stipendio che conosciamo, aveva potuto mettere su un harem con minorenni tale da far invidia anche a quello di uno dei massimi esponenti della seconda repubblica. Uno, tra l’altro, ancora più vecchio del generale.

La storia militare di questo socio d’affari di Montanelli sarà in seguito ancora più edificante. Dal 3 ottobre 1941 al 20 luglio 1943 fu nominato Governatore del Montenegro, dove era stato inviato per reprimere una rivolta delle popolazioni locali. Prese lì ad esempio i metodi tedeschi. Ma, essendo i tedeschi in gamba ma mai quanto noi, ordinò rappresaglie molto più feroci nelle quali per ogni nostro soldato ucciso o ufficiale ferito fece fucilare dalle nostre truppe 50 ostaggi inermi (3). Poi, con l’armistizio, abiurò il giuramento fatto alla patria e al re e si unì alla Repubblica, quella di Salò naturalmente, dando la caccia ai partigiani. Il caso volle che Montanelli si trovasse a quei tempi in Svizzera, evitando così qualsiasi possibilità di doversi scannare con un business partners. Sempre il caso inoltre volle che, oltre alla repubblica farlocca di Mussolini, anche la nuova repubblica italiana riconoscesse i meriti del generale. Nel dopoguerra infatti, mentre molti dei suoi parigrado tedeschi, o stavano in galera o nascosti in Sud America, il nostro si godette tranquillamente i sui ricordi di guerra con tanto di lauta pensione. Questo nonostante che la Jugoslavia ne richiedesse a gran voce l’estradizione: mai e poi mai il nostro paese, culla di umanità, avrebbe patteggiato con un paese comunista, dominato delle forze del male! (4)  Che poi Montanelli avesse riguardo non solo per il generale Biroli ma anche per tutti i comandanti dell’asse italo tedesco, lo si nota dalla sua difesa a “penna tratta” del comandante tedesco Herbert Kappler, fatta in solitaria, senza esitazione e tentennamenti di sorta. Per inciso, Kappler fu condannato in Italia per il massacro delle Fosse Ardeatine, in quanto colpevole di aver trucidato ostaggi inermi a rappresaglia dell’uccisione di militi tedeschi. Contrariamente a Biroli, il rapporto tra tedeschi e ostaggi italiani fatti uccidere dal criminale nazista fu poco più di uno a dieci.

 

 

Il tono della propaganda fascista per suscitare entusiasmo sull’impresa africana, nonostante risultasse efficace nel reclutare giovani volontari, non produsse però i risultati sperati, in quanto l’impresa coloniale fu presa da molti volontari non come una guerra di conquista, ma come una vacanza erotica all’estero, non dissimile da quelle che si faranno poi nell’Italia del benessere. Così Montanelli descrisse in un suo libro sulla guerra in Etiopia, le sue imprese belliche: «Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo in premio di tredici anni di scuola. E, detto fra noi, era ora» (5). Sentimento d’altronde riecheggiato dallo stesso Vittorio Mussolini, primogenito del duce e esponente di punta della nuova stirpe italica, erede delle glorie di Roma imperiale: «La guerra è uno sport, il più bello, il più completo … Laurea per essere uomini» (6).

Come e perché l’Italia finisse poi per perdere la guerra non è certo necessario leggerlo nella Storia d’Italia del famoso giornalista, dove, per inciso, non c’è accenno alle matrici razziali del nostro colonialismo, al madamato o al premio del duce in veste di babbo natale. D’altronde come non dar ragione a questi volontari della milizia fascista, dato che per gran parte di loro fu una grande e bella vacanza durante la quale la guerra coloniale non fece loro alcun danno. La Guerra in Etiopia infatti ha contato molti caduti italiani, la maggior parte dei quali risultarono essere soldati di leva. Poveracci che non potevano permettersi di andare in vacanza in Italia, ma al massimo all’estero, in un posto dove c’era una guerra.

Per l’ironia della storia, l’avallo del regime fascista allo schiavismo sistematico del madamato (7), terminò quando il razzismo in Italia passò dall’essere tacitamente sostenuto dall’apparato fascista ad essere vietato dalle leggi razziali del 1938. Naturalmente, come molto spesso è accaduto e accade nel nostro paese, di schiavitù nel testo legislativo non c’è accenno, limitandosi solamente a vietare rapporti sessuali con razze inferiori alla nostra. Misura questa che, come sappiamo, fu adottata per evitare che la nostra stirpe, dopo duemila anni di colonizzazioni e invasioni greche, saracene, vichinghe, longobarde, turche, germaniche, slave, ecc., perdesse la sua italica purezza.

 

Razzismo e colonialismo sono due aspetti del medesimo problema. Mentre però il razzismo può essere fenomeno a sé, il colonialismo è strettamente correlato al razzismo. Nel nostro paese, infatti, la sopraffazione coloniale fu presentata come portatrice di civiltà nel contesto di un ragionamento profondamente intriso del concetto di superiorità razziale. Operazione che è possibile compiere soltanto tramite una copertura ideologica che operi una vera e propria rimozione del conscio per agire invece sulle parti tenebrose dell’inconscio.

Il razzismo, come ideologia pseudo scientifica a base collettiva, ha radici che in Italia risalgono all’unificazione nazionale, portato avanti da tutto l’establishment politico e intellettuale del tempo, inclusa la sua parte più progressista. Pasquale Stanislao Mancini, avvocato ed esponente politico di spicco della sinistra storica, teorizza il razzismo come parte della moderna dottrina del diritto delle nazioni. Mancini nei suoi scritti e discorsi considera la razza, «espressione di identità di origine e di sangue», e l’identità nazionale come «il vincolo più tenace tra gli individui di una medesima stirpe in confronto di quelle che le sono estranee». Mancini così, inaugura l’ideologia politica coloniale all’interno della nostra giovane nazione, intesa come portatrice di civiltà in contrapposizione alla barbarie di altri popoli, quali quelli africani. Altro importante esponente del progressismo culturale italiano di quegli anni è Giovanni Bovio; secondo il filosofo e giurista, le razze migliori hanno il dovere di trasformare quelle peggiori, se necessario anche con la violenza, secondo il principio della legge naturale di selezione, valevole sia per ogni singolo individuo che per tutto un popolo. L’inferiorità delle razze ha quindi per lo studioso una base scientifica che giustifica un’operazione di civiltà. (8) Per ironia della sorte, uno degli esempi di barbarie nel terzo mondo sui quali lo studioso punta il dito nei suoi scritti è l’Etiopia, paese, antropofago oltre che di dissolutezza morale e di costumi. A dargli ragione furono in seguito le prodezze di Montanelli.

In questo contesto si inserisce il fascismo che, con tutti i mali che ha portato, ha almeno avuto il merito di dare una giustificazione e una copertura al razzismo italiano elevato a sistema, prendendosi colpe sia sue che ad esso precedenti. Le sofferenze di una guerra, nella quale siamo entrati semplicemente per stupidità, ha poi steso un velo pietoso e attuato un’opera di rimozione che ha fortemente contribuito a far si che il razzismo in Italia sia stato tutto attribuito al ventennio, rendendolo tutt’ora un problema largamente irrisolto nel nostro paese (9).

 

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La strenua difesa del Montanelli volontario colonialista ad opera di tanti giornalisti e uomini pubblici odierni, con in prima fila insieme ai maggiori quotidiani del paese la Fondazione Montanelli Bassi, ne è la riprova. Così dal dopoguerra ad oggi, nelle scuole e sulla stampa, ci sono venuti a raccontare che in Etiopia abbiamo costruito palazzi e strade, tacendo sul fatto che i palazzi servivano ad amministrazioni coloniali o caserme, e le strade a spedizioni militari. Così razzismo, stupro, schiavitù e pedofilia, elevati a sistema, sono diventate operazioni oggi ben messe in sordina, con tutta una serie di giustificazioni, come l’affermare che Montanelli aveva contratto regolare matrimonio con la bambina. Insomma, invece di ammettere come le cose stanno, e che cioè i nostri giovani e meno giovani militari coloniali hanno tenuto al giogo e abusato di tante ragazzine nere … andiamo ripetendoci che gli avevano fatto la festa, sposandole.

Ieri e oggi, nella nostra nazione affrancata dal fascismo, come affrontiamo questa nostra storia coloniale, e come vi abbiamo fatto ammenda? Montanelli in vecchiaia pare proprio che, a giudicare dai video in circolazione, ammende non ne abbia fatte (10)… ma il dubbio su un suo pentimento potrebbe restare, non essendo più interpellabile. Dove non c’è invece alcun dubbio è nel leggere articoli dove viene spesso menzionato quell’antico matrimonio farlocco, uno dei tanti in terra d’Africa, contratti con donne che ieri chiamavamo negre e oggigiorno extracomunitarie. Eufemismo che farebbe ridere, non fosse per il fatto che è impossibile non pensare alla povera ragazzina, una delle tante, riempita di botte perché non sapeva fare quello che il catechismo chiama santificare il matrimonio, cioè consumare un’unione che è oggi, di fatto, condonata da tanti nostri bravi padri di famiglia, impegnati in politica e nel giornalismo.

Fanno testo le parole finali di Montanelli nel riassumere il 12 Febbraio 2000 sul Corriere della Sera le sue avventure ad una scandalizzata lettrice diciottenne (contenute in un articolo on line del sito ufficiale della Fondazione Montanelli Bassi titolato: Un’accusa ingiusta e strumentale): «Spero di non averti scandalizzata. Se l’ho fatto, è colpa tua». Si, c’è scritto proprio così. Colpa della ragazzina di turno, che ha avuto la ventura di imbattersi sulla strada del giornalista, con tanto di statua a imperitura memoria.

Se ci scandalizziamo vedendo imbrattare statue, preferendo piuttosto lasciarle lì immacolate e rimuovendo dalla nostra coscienza collettiva il razzismo e lo schiavismo dei quali l’Italia si è macchiata in passato, ebbene, ha ragione il nostro grande giornalista. La colpa non è tanto del Montanelli attore, quanto piuttosto di noi tutti, registi e sceneggiatori di un altro capitolo del filone Matrimonio all’Italiana, parte dell’infinito tormentone della Commedia all’italiana. Una commedia, questa, dove come da antichissimo copione sono presenti sempre gli stessi tre protagonisti: Isso, Essa e o Malamente (11); con Isso, il prestante volontario italiano in terra d’Africa, Essa, la malcapitata bambina etiope e Malamente, che se ne sta ben lontano a distanza di sicurezza nell’America del Black Lives Matter.

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L'Africa d'oggi. Mentre faticano gratuitamente in pozzi avvelenati di mercurio a setacciare nel lavaggio dell'oro, famiglie intere non hanno scelta e portano i loro figli alle fosse, in Ghana. Foto: Lisa Kristine

 

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Note:

(1) “Black lives matter” (Le vite dei neri contano).

(2) Antonella Randazzo, L’Africa del Duce: i crimini fascisti in Africa, Arterigere-Chiarotto, 2007.

(3) Davide Conti, L’occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della «brava gente» (1940-1943), Odradek

(4) Nel dopoguerra, la stragrande maggioranza dei comandanti militari italiani che avevano commesso crimini di guerra non furono sottoposti a processo. Questo non soltanto perché i governi italiani del dopoguerra frapposero ostacoli, ma anche per la  strategia anticomunista perseguita da Stati Uniti e Gran Bretagna che considerava favorevolmente gli ex militari fascisti. Per quanto riguarda i crimini commessi durante le guerre coloniali fasciste, i casi più eclatanti furono quelli dei Generali Graziani e Badoglio, i quali beneficiarono grandemente della loro  reputazione anticomunista per rimanere impuniti. Unico alto ufficiale italiano ad essere giudicato e condannato nel dopoguerra fu il generale Bellomo. Caso estremamente controverso, sul quale c’è un articolo su Modus: L’enigma Bellomo.

(5) Indro Montanelli, XX Battaglione eritreo, Milano, Panorama, 1936.

(6) Vittorio Mussolini, Voli sulle Ambe, Firenze, Sansoni Ed., 1937.

(7) Uno studio autorevole sul madamato e sulle politiche razziali nelle colonie italiane è quello di Giovanna Trento, Madamato and Colonial Concubinage in Ethiopia: A Comparative Perspective. In Aethiopica 14 (2011), pp. 184-205. Studio significativamente disponibile soltanto in inglese. Per quanto ci risulta non ci sono altre ricerche accademiche approfondite su questa materia, né in italiano né in altre lingue.

(8) Sulle posizioni di Mancini e Bovio, vediOlindo De Napoli, Il diritto coloniale dall’età liberale al Fascismo: tra missione civilizzatrice e razzismo, Università degli Studi di Napoli Federico II.

(9) La mancanza di una seria valutazione pubblica dei crimini razzisti e colonialisti ha reso difficile valutare correttamente il nostro passato coloniale, al punto che nel ventesimo secolo il colonialismo italiano è rimasto una sorta di tabù. Questo almeno fino alla ricerca pionieristica di Angelo Del Boca (Gli italiani in Africa orientale. La conquista dell’Impero, Roma – Bari: Laterza, 1979, a cui lo studioso ha aggiunto poi: L’Africa nella coscienza degli italiani. Miti, memorie, errori, sconfitte, Milano: Mondadori, 2002). Tuttavia, la questione di come la cultura italiana abbia affrontato la rappresentazione del razzismo nelle imprese coloniali, prima e durante il periodo fascista, rimane attualmente in gran parte inesplorata.

(10) Montanelli e la sposa bambina: un animalino docile – YouTube

(11) Titolo di una nota “sceneggiata” napoletana.

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