Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no 

Si è andato intensificando in questi ultimi giorni il dibattito sull’imminente referendum confermativo, in cui saremo chiamati ad approvare o a respingere il taglio lineare di 345 parlamentari (230 deputati e 115 senatori) su 945. Se vincessero i Sì, ci ritroveremmo dunque 400 deputati e 200 senatori, contro gli attuali 630 e 315, con una percentuale complessiva del 36,5% in meno.

Molto è stato scritto dai sostenitori delle posizioni contrapposte, ma poco convincenti mi sembrano le argomentazioni di coloro che si dichiarano a favore della riduzione, anche nelle voci autorevoli, per esempio, di Carlo Fusaro e Michele Ainis.

Fondamentalmente si individuano nel risparmio economico, nella selettività degli eletti (che però nessuno spiega con quale automatismo si realizzerebbe) e nell’aumento di produttività ed efficienza del lavoro parlamentare, gli obiettivi di tale ridimensionamento delle assemblee elettive. Modifica propedeutica, nelle intenzioni dei sostenitori, a successive riforme, a partire da quella dalla legge elettorale, che a quel punto sarebbe ancor più urgente e necessaria, insieme alla ridefinizione dei collegi elettorali, a causa degli scompensi di rappresentatività che la riduzione dei parlamentari comporterebbe. E proprio per questo motivo considero questa riforma sostanzialmente un pericoloso assegno in bianco nelle mani dei futuri governi, compresi quelli, più che probabili, di destra (la destra sovranista e populista di Salvini e Meloni naturalmente, ché una liberale ed europea non ce l’abbiamo). È dunque, un passo estremamente rischioso, per la facilità con cui eventuali successive modifiche costituzionali in senso antidemocratico potrebbero essere attuate (come già è stato ben sottolineato da Stefano Sani di recente su questo sito).

Nessuno ci assicura infatti che la necessaria riforma elettorale e la ridefinizione dei collegi sarà attuata prima delle future elezioni e neanche che lo sarà in modo ottimale, con i rischi per la rappresentanza di tutti i territori. È vero, come sottolinea Carlo Fusaro, che esistono i parlamenti regionali a presidiare i territori, ma sulla formulazione di leggi riguardanti temi generali, intere fette di popolazione si potrebbero trovare sottorappresentate o non rappresentate affatto.

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È anche vero che non esiste una regola universale, né un numero perfetto da applicare, ma penso che se i Padri costituenti hanno stabilito, dopo meditate riflessioni e lunghe discussioni, un rapporto di 1 deputato ogni 80.000 abitanti (o per frazioni superiori a 40.000) e 1 senatore ogni 200.000 abitanti (o per frazioni superiori a 100.000), invece che tagliare di un numero a caso, sarebbe saggio non allontanarsi eccessivamente da quelle “studiate” proporzioni (come fecero appunto i revisori costituzionali nel 1963, quando fissarono gli attuali numeri).

Se passasse questa riforma, il rapporto tra deputati e abitanti passerebbe da 1:95.873 a 1:151.000 e avremmo 1 senatore ogni 302.000 abitanti invece che ogni 191.746. Non mi sembra proprio una modifica irrilevante.

Eliminare 345 parlamentari (mi rifiuto di chiamarle poltrone) fa certamente molto effetto in un immaginario collettivo intriso da decenni di antipolitica, ma riduce inevitabilmente non solo la rappresentanza, ma anche il peso, e di conseguenza, l’autonomia dell’organo legislativo. Va da sé che in un regime parlamentare, indebolire il Parlamento, significa automaticamente indebolire la democrazia. Temo anch’io infatti che un minor numero di persone – che siedano in un parlamento, oppure nel consiglio d’amministrazione di un’azienda, o attorno al tavolo di un club – siano comunque in generale più facilmente manovrabili rispetto a uno maggiore.

Circolano in rete accurate tabelle che raffrontano i numeri dei vari parlamenti europei; ma tale confronto non mi sembra particolarmente significativo, perché si paragonano sistemi in parte diversi (parlamentari e presidenziali), che implicano meccanismi di equilibrio dei poteri non proprio omogenei, e dunque  non immediatamente paragonabili tra loro; ma poiché qui potrei addentrarmi in temi che richiederebbero competenze giuridiche specifiche che non ho, mi limito a sollevare il dubbio.

Il problema reale però, a mio parere, prima ancora che nel merito, è nel metodo,  con cui si tagliano questi  345 parlamentari, la cui utilità – se producessero buone leggi lavorando come tutti i comuni lavoratori, che non possono permettersi assenze ingiustificate per intere giornate o addirittura per mesi – penso non sarebbe affatto in questione.

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L’auspicato taglio non assicura infatti nessuna selezione futura, né l’ottima qualità dei “superstiti”. Potremmo addirittura ritrovarci ad aver tagliato i pochi buoni e tenerci una massa (seppur ridotta) di campioni trasversali di assenteismo e incompetenza. Se la scelta dei candidati rimanesse tale e quale ai criteri dell’attuale legge elettorale, ne avremmo addirittura certezza, perché le segreterie dei partiti ai più capaci e competenti tendono a prediligere i più servili o i più “maneggioni” (voto non olet, si potrebbe dire, e la mafia lo sa benissimo…)

Discutibile mi pare anche l’idea che un parlamento alleggerito aumenterebbe significativamente la produttività, la fluidità e l’efficienza del lavoro, perché, come scrive Ainis, “Se ci mettiamo in otto intorno a un tavolo, discuteremo meglio che se fossimo ottantotto”. Argomento rischiosissimo questo, perché allora sarebbe ancor più comodo discutere in quattro invece che in otto, oppure in due, e ancor meglio non discutere con nessuno e fare subito quel che si vuole…

Ma al di là della delicata questione di principio, in molti hanno anche sollevato dubbi circa le difficoltà che si verrebbero a creare nel lavoro concreto delle commissioni parlamentari, dove il calo di rappresentanza sarebbe ancor più palpabile. Certo, dice Ainis, dovranno essere riorganizzate; ma chi ce lo assicura che lo saranno in tempi ragionevoli? Nel frattempo un minor numero di parlamentari lavorerà su più commissioni, e quindi su più temi, col rischio aumentato di assenze per sovrapposizione, ma anche di incompetenza e approssimazione (che abbiamo già in abbondanza) perché pare evidente che occuparsi solo di sanità, o di infrastrutture, non è la stessa cosa che occuparsi contemporaneamente di sanità, infrastrutture, istruzione ed economia.

Il tema dei costi e del conseguente risparmio economico, tanto sbandierato in questa campagna, lo ritengo di grande effetto ma di nessuna sostanza e quindi non mi ci soffermo neanche, anche perché è stato già smontato da Carlo Cottarelli; ma se un caffè, o anche un pranzo a testa, fossero proprio un grande problema, basterebbe tagliare stipendi, diarie, prebende e magari rivedere pure i regolamenti parlamentari. Qui l’argomento di Carlo Fusaro, quando dice che parlamentari peggio pagati sarebbero ancor peggiori, lo trovo davvero discutibile, perché se così fosse, i parlamentari di tutti gli altri paesi europei, molto meno pagati dei nostri, dovrebbero essere dei fenomenali nullafacenti e degli avidissimi corrotti; ma così non è.

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Se è davvero pletorico questo parlamento perfettamente bicamerale, allora forse sarebbe più ragionevole eliminare il Senato: ma anche qui, la storia repubblicana ci mostra che, quando hanno voluto, i nostri numerosi parlamentari sono riusciti a scrivere leggi in tempi ragionevoli nonostante il bicameralismo; con lo stesso bicameralismo perfetto in altri periodi abbiamo ricostruito il paese distrutto dalla guerra, siamo diventati una potenza industriale, abbiamo costruito uno stato sociale, una sanità e una scuola pubblica, ecc… che poi però, con lo stesso identico bicameralismo, abbiamo lentamente distrutto negli ultimi vent’anni; argomento sufficiente a dimostrare, credo, che la qualità della politica non dipende tanto dalla forma delle istituzioni, quanto dai contenuti che la politica pensa e realizza.

Nulla vieta che la presunta velocità di pochi parlamentari possa produrre pessime leggi, così come l’attuale lentezza non ne produce automaticamente di ottime.

ll punto, ancora una volta non è, a mio parere, la velocità del lavoro, ma la qualità dello stesso, e la qualità è garantita innanzitutto dalle persone che siedono in Parlamento, non dal loro numero. Un problema enorme, che riguarda la formazione e la selezione della classe dirigente, non solo nella politica, e che è la vera e prioritaria emergenza del nostro Paese.

 

Per tutti questi motivi, ritengo anch’io l’attuale legge di riforma non solo inutile e demagogica, ma anche potenzialmente pericolosa e pertanto voterò no, anche se ciò rappresenta un rischio per la tenuta dell’attuale governo, dopo il quale ci ritroveremo sicuramente a sorbirci ancora una volta le fanfare inconcludenti e nefaste di un esecutivo fascio-sovranista alla perenne ricerca di pieni poteri.

Ci rimarrà però la nostra Costituzione, che è stata scritta col dolore, l’impegno e l’intelligenza di chi considerava quella Carta un baluardo a difesa della democrazia e la democrazia una conquista irrinunciabile per le generazioni presenti e future (compresa la nostra), e non merce di scambio per raccattare voti, salvare governi e tirare politicamente a campare.

Ancora una volta, a questa classe politica miope e mediocre, che imputa la causa di tutti i nostri mali, invece che alla sua incapacità, ad una Costituzione che non siamo neanche riusciti ad attuare, dico che… preferirei di no!

Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no Preferirei di no 

 

 

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