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Le persone sono pecore

 

Le persone sono pecore

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della serie “Questa idea deve morire”

 

 

di David Berreby
Giornalista e autore
(Traduzione Redazione Modus)

Le persone sono pecore

Nella tarda estate del 1914, mentre la civiltà europea si avviava verso un prolungato suicidio, poche erano le voci dissenzienti. In ogni importante capitale i cinegiornali mostravano folle felicemente inneggianti sotto l’ultimo sole d’estate. Guerre e invasioni si sono succedute nei decenni seguenti, senza mai carenza di volenterosi carnefici e di obbedienti lacchè. Nella metà del secolo scorso, ai tempi di Stalin, di Mao e della schiera degli imitatori di piccolo calibro, era diventata impellente la necessità di capire il perché per tutto il ventesimo secolo milioni di persone non erano riuscite ad affrancarsi dal giogo di coloro che li mandavano in guerra, nei campi di concentramento e nei gulag. In questo ambito, esperti di scienze sociali arrivarono ad una conclusione, poi consolidatasi e diffusasi nella credenza popolare: l’umanità è fatta di pecore, pecore vigliacche e deplorevoli.

Questa idea, che la maggior parte di noi non è disposta a “pensare autonomamente”, preferendo invece conformarsi al pensiero comune, stare lontana dai guai e obbedire alle regole,  fu presumibilmente stabilita da rigorosi esperimenti di laboratorio. ( “Abbiamo trovato”, scrisse il grande psicologo Solomon Asch nel 1955, “che la tendenza a conformarsi nella nostra società è così forte che giovani ragionevolmente intelligenti e ben intenzionati sono disposti a dire che il bianco sia nero”.) Un sacco di articoli di ricerca fanno ancora riferimento a uno o all’altro aspetto del modello pecore o effetto gregge, come se si trattasse di una verità universalmente riconosciuta, una specie di pilastro sul quale basare nuove ipotesi sul comportamento di massa. Peggio ancora, è dilagante nella conversazione tra laici istruiti – politici, elettori, funzionari di governo. Eppure è un assunto falso. Fomenta cattive ipotesi e peggiori politiche. È arrivato il momento di metterlo da parte.

Alcuni anni fa, gli psicologi Bert Hodges e Anne Geyer esaminarono uno degli esperimenti di Asch del 1950. In quell’esperimento Asch chiedeva alla gente di guardare una riga stampata su un cartoncino bianco e poi di dire quale di tre linee simili fosse della stessa lunghezza della prima. Ogni volontario era seduto in un piccolo gruppo, nel quale gli altri membri erano in realtà collaboratori nello studio, che davano deliberatamente risposte sbagliate, per vedere se le loro scelte influenzavano la risposta. Asch segnalò che quando il gruppo sceglieva in maggioranza le linee di lunghezze sbagliate, molti individui li seguivano, contro l’evidenza dei propri sensi.

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Ma va tenuto presente che l’esperimento coinvolgeva ben 12 confronti separati per ogni soggetto, e gran parte delle volte, la maggioranza dei soggetti non concordava col gruppo. Infatti, anche se, di media, ogni persona concordava con la maggioranza tre volte su 12, rimase convinta del suo punto di vista le altre nove volte. Far equivalere questi risultati ai mali della conformità vale a dire, come notarono Hodges e Geyer, che “messo in tale situazione, l’obbligo morale di un individuo è quello di  ‘dire come la pensa’  senza tener conto di quello che dicono gli altri. ”

Per spiegare le loro scelte, i volontari non dissero che i loro sensi erano stati deformati o che fossero terrorizzati dall’andare contro il consenso maggioritario. Invece, ammisero che avevano scelto di essere concordi solo quella volta. Non è difficile capire perché una persona ragionevole potesse farlo.

Il modello “le persone sono pecore” ci limita al pensare in termini o di obbedienza o di sfida, la conformità muta contro la solitaria affermazione di sé (secondo la quale, per evitare di essere una pecora, è necessario essere un lupo solitario). Tale modello non riconosce che le persone hanno bisogno di porre la loro fiducia negli altri, e di meritarsi la fiducia degli altri, e che ciò guida il loro comportamento. (I famosi esperimenti di Stanley Milgram, nei quali degli uomini erano disposti a dare delle forti scosse ad uno sconosciuto, sono spesso citati come Prova A per il modello “le persone sono pecore”. Ma quel che quei studi realmente testarono fu la fiducia che i soggetti avevano nello sperimentatore. )

Infatti, domande circa la fiducia negli altri – come è vinta e come è mantenuta, chi la vince e chi no – sembrano essere essenziali per capire come operano gruppi di persone, e come influenzano i loro membri. Cosa altro entra in gioco?

Sembra che il comportamento sia anche suscettibile a quel tipo di influenze immediate, che una volta erano considerate rumore irrilevante (per esempio, in un esperimento eseguito da John M. Darley e Batson Dan, dei seminaristi che andavano di fretta erano molto meno pronti ad aiutare uno sconosciuto di quanto lo fossero i seminaristi che non erano in ritardo). E poi c’è evidenza di influenze che sconcertano gli psicologi, perché queste influenze non hanno a che fare con la psicologia. Ad esempio, Neil Johnson della University of Miami e Michael Spagat della University College di Londra ed i loro colleghi hanno scoperto che la gravità e la tempistica di attacchi bellici in molte guerre diverse tra loro (diversi attori, diversi scopi, culture diverse, diversi continenti) aderiscono ad una legge del potere. Se questo è vero, allora la motivazione di un combattente individuale, la sua ideologia, le sue credenze incidono molto meno di quanto pensiamo sulla decisione, gerarchicamente decisa, di attaccare Martedì prossimo.

O, per fare un altro esempio, se come suggerisce il lavoro di Nicholas Christakis, i rischi del fumo, avere una MTS, prendere l’influenza o essere obesi dipendono in parte dai legami sociali, allora quanta differenza fa quello che, tu come un individuo, senti o pensi?

Forse il comportamento delle persone nei gruppi finirà per essere spiegato come una combinazione di influenze, momento per momento (come le onde di superficie sul mare) e motivatori potenti che lavorano al di fuori della consapevolezza (come le correnti oceaniche profonde). Tutte le domande aperte sono importanti e affascinanti, ma sono visibili solo dopo che abbandoniamo la nozione semplicistica che noi siamo delle pecore.

 

 

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Le altre puntate della serie “Questa idea deve morire”

8 – La razza
7 – La stazionarietà
6 – I mercati sono buoni, i mercati sono cattivi
5 – Gli opposti non possono entrambi avere ragione
4 – L’altruismo
3 – Il potere della statistica
2 – La scienza rende la filosofia obsoleta
1 – La vita è sacra
Introduzione alla serie

 

Le persone sono pecore

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